«Le modalità dell’immaginazione seguono le modalità secondo cui la tecnologia si evolve, e la futura efficienza tecnica susciterà una nuova immaginazione»[1]. Baudrillard, accorto lettore del proprio tempo e di una evoluzione estetica che punta l’indice verso sentieri legati via via all’oggetto, al valore, alla seduzione, al caos, alla fine, all’innocenza e alla trasparenza del male, all’osceno e al virtuale, pone al centro del proprio discorso parole cardinali (e a volte irriverenti) per infiltrarsi all’interno delle cose con idee, appunti, pensieri che, mediante un divenire costante, filano e rifilano le trame del presente. Si tratta di un tracciato, di un elettrocardiogramma che, sulla via lattea di riflessioni irrinunciabili legate all’arte e alle sue complesse relazioni con i nuovi strumenti del comunicare (McLuhan) e con un’età che si fa sempre più soffice[2], pongono fiducia in un un mondo ondiforme i cui discorsi, tra cose e non cose (Undinge, suggerirebbe Flusser)[3], gonfiano le vele creative – con insistenza sempre più incisiva – con i venti del nebuloso, dello spettrale, del gassoso, per corteggiare le coste del meccanico, dell’elettronico, dell’informatico. Ma anche per costruire spazi d’interrogazione e di azione che si fa riflessione visiva, esame estetico, giudizio critico, costante esperimento su software e hardware, con lo scopo di manipolare informazioni[4], di costringere l’apparato a fare qualcosa di diverso. A formulare interazioni, a produrre osservatori privilegiati, a riprodurre la realtà mediante azioni, dialoghi e cooperazioni estetiche.
Attorno a questo ampio racconto[5], irriducibile a pochi nomi o fatti, Ekmel Ertan e Darko Fritz hanno modellato, per gli spazi dell’AKBANK SANAT di Istanbul, un itinerario verbovisivo che ricostruisce, con puntualità, due esemplari avventure creative. Da una parte 9 Evenings: Theatre and Enginerring, la manifestazione organizzata nel 1966 per gli spazi del Regiment Armory di New York che «is a milestone in the field of art and tecnology, an event where many of this field’s firsts originated»[6]. Dall’altra l’atmosfera internazionale delle Tendencije nate a Zagreb nel 1961 e che, con le due ultime manifestazioni, la quarta del 1968-1968 e la quinta del 1973, ha ispirato una «discussion meant that the computer has come of age as an artistic medium»[7]. Quasi a ripensare e mettere a confronto due modelli – quello americano e quello europeo, più esattamente – Dijital Sonrası Tarihçeler. 1960’lav ve 1970’lerin Medya Sanatından Kesitler / Histories of the Post-Digital. 1960S and 1970s Media Art Snapshots ricostruisce, infatti, e con precisione, un clima unico e prezioso che vuole restituire allo spettatore un panorama estetico, un labirinto riflessivo che trasforma e metabolizza le conquiste tecnologiche, in «una sorta di evoluzione a spirale che tutto comprende e ingloba»[8], e le spinge, fino ai nostri giorni, sui bordi delle nuovissime sperimentazioni, dei nuovissimi controlli, delle nuovissime esperienze digitali.
«Today we can hardly distinguish between the digital and non-digital realms of contemporary reality that reflects in arts and humanities», suggerisce Darko Fritz. «Most 1960s and 1970s digital artworks are actually hybrid in nature» specifica Fritz: «they used both analogue and digital technologies. This trend developed into a digital-born art dominating around the turn of millennium, and came back again swinging the full historic circle – but now created within the post-digital conditions»[9].
Al piano terra, infatti, per evidenziare l’avanzamento tecnologico, la mostra si apre con una sorta di preambolo indispensabile (Off-Line Medya Köşesi Cumartesi Seminerleri / Off-Line Media Corner Saturday Seminars), con una riflessione che, attraverso una serie di libri, di cataloghi e di magazine (tutto consultabile senza problemi) sollecitano lo spettatore e lo invitano – accanto ad una straordinaria mappa che considerare e sintetizza a 360° la linea temporospaziale 1960-2014 (non concordo soltanto la scelta agambeniana) e ad alcuni indispensabili seminari – ad interrogarsi sulla storia della tecnologia e dei nuovi mezzi elettronici. Come non emozionarsi, poi, al primo piano, di fronte ad una documentazione accuratissima e a una serie di lavori che fanno rivivere appieno le sperimentazioni di quel periodo? E come non immergersi con gioia nei vari filmati newyorchesi o nei vari lavori delle tendencije, in una costellazione estetica – e in una serie di vocabolari – che saltano il fosso della quotidianità per bucare il luogo comune e aprire nuove isole felici sulla piattaforma dell’elettroestetica?
Ad arricchire il viaggio offerto da Ekmel Ertan e Darko Fritz, Art and Electronic Media, una piattaforma open source legata all’omonimo book di Edward A. Shanken (Phaidon, 2009) – assieme alle argomentazioni, sempre di Shanken, messe in campo con Inventar el Futuro: arte, electricidad, nuevos medios (Departamento de Ficción, 2013), scaricabile gratis – invita a guardare materiali multimediali comodamente da casa per approfondire la polifonia disciplinare, per accrescere il brivido della conoscenza, per ammirare le metamorfosi fatali del mondo, i successi (instabili) dell’umanità.
«Histories of the Post-Digital:1960s and 1970s Media Art Snapshots», a cura di Ekmel Ertan e Darko Fritz, AKBANK SANAT, Istanbul, fino al 21 Febbraio, 2015
Potete visitare qui la piattaforma online (Inglese/Turco)
Immagini (tutte): «Histories of the Post-Digital:1960s and 1970s Media Art Snapshots», AKBANK SANAT, exhibition view, photo by Antonello Tolve.
[1] J. Baudrillard, Le système des objets, Éditions Gallimard, Paris 1968; trad. it., Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano 1972, p. 153.
[2] P. Giannangeli, A. Tolve, a cura di, L’età soffice. Teoria e pratica dell’arte nell’epoca dei new media, con interventi di R. Barilli, L. Fabrizi, P. Giannangeli, J. Kounellis, A. Tolve e A. Trimarco, Quodlibet, Macerata-Roma 2014.
[3] V. Flusser, Medienkultur, hrsg. v. S. Bollmann, Fischer Taschenbuck Verlag, Frankfurt am Main 1997.
[4] Per tali questioni rimando a A. Tolve. Ubiquità. Arte e critica d’arte nell’epoca del policentrismo planetario, Quodlibet, Macerata 2013, e particolarmente il capitolo 1, Ubiquità, obliquità e zapping planetario. Per tali questioni si veda anche l’indispensabile V. Flusser, Medienkultur, hrsg. v. S. Bollmann, Fischer Taschenbuck Verlag, Frankfurt am Main 1997; trad. it., La cultura dei media, postfaz. di A. Borsari, Bruno Mondadori, Milano 2004.
[5] Attorno al quale si disegnano alcune importanti riflessioni di Benjamin, di Heidegger, Habermas, di Mc Luhan e di Ted Nelson, di Lyotard, di Foucault, di Deleuze, di Guattari, di Kittler, di Mandelbrot, di Flusser, di Mandelbrot, di Maldonado, di Colombo, di Wodaski, di Arthur & Marilouise Kroker, di Virilio e di Levy, di Gibson, di José Jiménez, di Diodato ecc.
[6] E. Ertan, testo senza titolo, in Dijital Sonrası Tarihçeler. 1960’lav ve 1970’lerin Medya Sanatından Kesitler / Histories of the Post-Digital. 1960S and 1970s Media Art Snapshots, volumetto pubblicato in occasione della mostra, Akbank Sanat, Beyoğlu | İstanbul 2014, p. 13.
[7] E. Ertan, testo senza titolo, cit., p. 13.
[8] J. Baudrillard, Mots de passe, Pauvert – département des Éditions Fayard 2000; trad. it, Parole chiave. L’oggetto, il valore, la seduzione, l’osceno, la trasparenza del male, il virtuale, il caos, la fine, il destino, il pensiero, Armando Editore, Milano 2002, p. 9.
[9] D. Fritz, testo senza titolo, in Dijital Sonrası Tarihçeler, cit., p. 14.