Cos’hanno in comune un gigantesco albero di frutta, un sistema di telecamere a circuito chiuso e un castello del periodo Edo? È una domanda lecita per chi, tra agosto e ottobre, avesse visitato «Asia Corridor», collettiva realizzata a Kyoto nell’ambito di un’iniziativa per la promozione del dialogo internazionale attraverso arte e cultura. L’intenzione dei curatori Akira Tatehata, Mayumi Yamamoto e Hirokazu Tokuyama è quella di riflettere insieme ad alcuni dei nomi più autorevoli del panorama artistico contemporaneo di Cina, Corea del Sud e Giappone sul concetto di spazio, con particolare attenzione al binomio innovazione/tradizione.
Tra i partecipanti alcuni prediligono il linguaggio audiovisivo, come il collettivo hyslom (Tao Hui, Yang Fudong e Lu Yang) che mette in atto una critica radicale al processo di spettacolarizzazione degli individui, quella «vetrinizzazione sociale» di cui parla anche Vanni Codeluppi. Sorprendente e perturbante è poi l’installazione di Oh Inhwan: un sistema di telecamere a circuito chiuso collegato ad un proiettore trasmette su di una parete le riprese della stessa sala espositiva, con uno scarto di pochi secondi, accendendo così un riflettore su quelli che l’artista definisce blindspots, ovvero luoghi di passaggio intimamente pubblici e pubblicamente privati.
Il bisogno di superare il conflitto tra innovazione e tradizione trova, poi, nuove possibili soluzioni nelle installazioni scultoree di Aiko Miyanaga, Sawako Tanizawa, Zon Ito, Nobuhiro Hanaoka, Gyon Hyon, Kyungah Ham e Hajime Imamura, ma anche nell’opera site-specific di Ritsue Mishima e nel progetto della coppia Yuta Nakamura e Ken Tanimoto, che in questa occasione presenta l’ultimo capitolo del lavoro che dal 2014 li porta alla ricerca di piccoli templi, frammenti urbani che divengono prima foto e poi installazioni, con l’obiettivo di ridisegnare i percorsi turistici in estremo Oriente nel segno dell’ecosostenibilità.
Guo-Qiang Cai, Tsuyoshi Hisakado e Xijing Men, invece, scelgono di adottare il punto di vista della critica sociale e politica, mentre Jeonghwa Choi, Sadaharu Horio + On-Site Art Squad KUKI e Mixrice puntano l’indice verso l’ambiente e gli elementi naturali. Hanno inclinazione introspettiva infine le opere di Xiangyu He, Kodai Nakahara, Kimsooja, Miwa Yanagi e Kusama Yayoi, frutto di un indagine legata al corpo e ai suoi movimenti.
«Asia Corridor» è dunque un coro di voci polifoniche armonizzate da una strategia vincente basata sulla duplicità dello spazio espositivo: il Nijo-jo, l’antico castello imperiale da un lato e il Kyoto Art Center, il nuovo polo culturale dall’altro.
Asia Corridor, Kyoto
immagini: (cover 1) Bonsai ship. Project for Kyoto Culture City of East Asia, Guo-Qiang Cai, 2017 (2) Looking Out for Blind Spots, Inhwan Oh, 2014-in corso (3) Void, Sawako Tanizawa, 2017 (4) Tiles, Small Shrine and Tourism, season 4. Bon Voyage!, Yuta Nakamura + Ken Tanimoto, 2014 – in corso (5) Nijo-jo.