Il lavoro di Antonio Della Guardia ci fa riflettere sulla psicologia del lavoro e del potere e lo fa attraverso opere estremamente curate dal punto di vista estetico e formale. For a Forthcoming Reality, realizzato per Arshake e curato da Gianpaolo Cacciottolo, ha letteralmente abitato il banner e accompagnato molti dei mesi di isolamento in questo periodo di pandemia. A riflessioni sullo stress lavorativo dei tempi moderni, particolarmente attuale ora che vita e lavoro si sono trasferiti online, Della Guardia è arrivato con l’appropriazione di una serie di esercizi formulati da William Horatio Bates nei primi decenni del Novecento, impiegati come riconquista dell’emancipazione dal lavoro, partendo dalla vista. Sette animazioni per ogni giorno della settimana, hanno invitato gli utenti a compiere esercizi rivolti a distogliere l’assuefazione di mente e sguardo, in questo caso dallo schermo. Le animazioni contengono alcuni disegni dell’omonimo progetto presentato a Kiev nel 2019 nell’ambito della mostra «The corrosion of character», curata da Alessandra Troncone e Kateryna Filyuk alla Fondazione Izolyastia. Dopo questo passaggio sul banner, il lavoro prosegue in un ulteriore percorso avviato da una commissione dell’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, anticipazione della personale curata da Vasco Forconi, posticipata al 2021 a causa della Pandemia che sarà online sui canali, dal 16 al 24 Dicembre 2020. Non solo. Le animazioni avranno altra, ulteriore, vita e significato come edizioni che saranno disponibili presso la Tiziana di Caro a Napoli, la galleria che il lavoro di Antonio della Guardia lo rappresenta da diversi anni Vi invitiamo a leggere (o rileggere) il saggio di Cacciottolo che ha accompagnato il progetto per il banner, a conoscere il suo lavoro attraverso la Galleria Tiziana di Caro, e a continuare a seguirlo da oggi nel corso dei prossimi mesi con l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma. Vi lasciamo alle riflessioni di artista a curatore nella conversazione che segue.
E.G. Rossi: Gianpaolo, inizierei con il chiederti come è nato il progetto con Antonio. Perché avete pensato al banner di Arshake come luogo e supporto ideale per realizzarlo?
G. Cacciottolo: Seguo il lavoro di Antonio Della Guardia da qualche anno ormai, è uno degli artisti ai quali mi sento più vicino sia per anagrafe e provenienza geografica, che per traiettoria di ricerca. Siamo entrambi trentenni, io di poco più grande, e condividiamo le stesse preoccupazioni legate al futuro di una società sempre più scandita da incertezza e precarietà. La sua indagine sulla condizione umana stressata da regimi lavorativi totalizzanti ha sempre trovato, a mio avviso, delle traduzioni formali estremamente funzionanti. È uno degli artisti con cui ho instaurato un dialogo costante, non solo sui temi dell’arte. Già qualche mese prima della pubblicazione del progetto per Arshake, Antonio mi ha raccontato che il suo progetto stava evolvendo e che forse era arrivato il momento di sperimentare nuove forme. Lo spazio espositivo virtuale del banner mi è sembrato perfettamente aderente alle sue esigenze, ho da subito pensato che in quella cornice Antonio potesse raggiungere uno stadio ulteriore del suo percorso. L’emergenza sanitaria da Covid-19, il lockdown e la conseguente esplosione dello smart-working con inevitabile aumento dell’esposizione della vista di noi tutti alla luce artificiale degli schermi, poi, ci hanno servito un assist preziosissimo.
Antonio, le tue opere provengono da un forte interesse politico – sociale. In particolare affermi che la tua ricerca «tenta di analizzare la sottile soglia tra cambiamento e fallimento, appartenenza e frustrazione tra individuo e società». Quali direzioni ha intrapreso il tuo percorso da allora fino al lavoro più attuale, passando per la mostra di Kiev, dove iniziavano prendere forma alcuni disegni che fanno parte delle animazioni di oggi?
Mentre la mostra del 2018 dal titolo La luce dell’inchiostro ottenebra alla galleria Tiziana Di Caro analizzava le dinamiche del potere che le grandi aziende esercitano nelle procedure di reclutamento del personale, portando a uniformare le personalità dei propri dipendenti per essere il più possibile competitivi sul mercato globale, il progetto For a forthcoming reality del 2019 alla Fondazione Izolyatsia, invece, era una riflessione sull’esaurimento del tempo libero causato dalla digitalizzazione del lavoro, e di quanto questo aspetto possa portare a intorpidire così tanto i sistemi percettivi da non permettere di avere più un senso di fuga. È una riflessione che non sento per niente esaurita, e nel portarla avanti, mi sprona ogni giorno a cercare delle piccole formule di evasione visiva da innervare in una realtà quotidiana. Detto questo, il filo conduttore che muove l’evoluzione della mia ricerca, rimane sempre sull’essere umano, la sua sottomissione a un sistema di lavoro precario, la sua difficile sopravvivenza, le sue introiezioni delle dinamiche di controllo, insomma continue analisi a cui tento di formulare dei percorsi di pensiero alternativi e svincolanti.
La tua ricerca politico-antropologica è sempre incanalata in una ricerca formale che la esterna in opere e installazioni incredibilmente curate nella forma. Quando importante è il supporto per i tuoi lavori?
Cerco di avere sempre un’attenzione chirurgica su ogni lavoro, non lasciare mai niente al caso, tutto deve essere così come l’ho pensato e progettato, in modo da presentarsi diretto al punto della questione. Il lavoro pur avendo un linguaggio visivo immediato, deve portare sulle sue spalle un macigno riflessivo di mesi prima di essere presentato. Per questo è sempre l’idea a determinare il supporto e mai viceversa.
Cosa ti aspettavi dal banner quando avete iniziato ad immaginare il progetto con Gianpaolo per questo particolare spazio liminale, come ci piace definirlo?
Quando Gianpaolo mi ha chiamato per la proposta di Arshake, ero a Kiev alla Fondazione Izolyatsia, a presentare per la prima volta For a forthcoming reality e non avevo ancora idea che sarebbe stato questo il lavoro che avrei proposto sul banner. Ritornato in Italia, subito dopo la mostra, ho sentito un’esigenza di concentrarmi di più su questo lavoro e di chiarirlo il più possibile in modo da poter fare dei passi in avanti. Discutendone insieme, è stato chiaro che la componente evasiva per la quale il lavoro nasce ed è finalizzato, poteva scaturire delle riflessioni eversive interessanti all’interno del banner. Uno spazio bianco che balzandoti subito allo sguardo, ha anche una componente di rapimento immediato e per questo funzionale all’idea del lavoro. A distanza di mesi dalla presentazione di Arshake, una riproposizione video di For a forthcoming reality mi è stata richiesta per il progetto Exscenario di Studioconcreto e ancora una volta l’evoluzione di questa ricerca, mi è stata commissionata online dall’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma. Sarà una piccola anticipazione del progetto, che doveva concretizzarsi in una mostra personale curata da Vasco Forconi all’interno degli spazi dell’Istituzione progettati da Gio Ponti quest’anno, ma che per causa Covid è stata posticipata al 2021.
Lascerei a Gianpaolo commentare l’esito di questo incontro tra il lavoro di Antonio e il banner di Arshake…
I video di Antonio hanno funzionato per la semplicità della loro costruzione e per l’attualità del loro messaggio. L’intenzione di entrambi è stata non tanto promuovere un metodo che è ritenuto comunque alternativo e privo di basi scientifiche rispetto alla medicina ufficiale, ma fornire le coordinate di uno spazio di evasione e le istruzioni per un esercizio di pacifica ribellione a ritmi e condizioni imposte.
Il banner, tecnicamente, è uno spazio pubblicitario che alimenta il mercato nero dei dati e il cosiddetto capitalismo della sorveglianza. Quello di Arshake riesce a disattivare questo sistema e, come ogni manifestazione di dissenso, crea le condizioni per un’espressione alternativa. Questa sua natura sovvertita mi ha sempre affascinato. L’ho sempre considerato come una zona temporaneamente autonoma, per dirla con Hakim Bey. La sua elasticità e la possibilità di gestirlo e approcciarlo come uno spazio espositivo virtuale lo rende una piattaforma aperta e accessibile a sperimentazioni artistiche e curatoriali, una utopia positiva.
Antonio, c’è qualcosa che ti ha sorpreso nel risultato e nella sua fruizione?
Ho pensato allo spazio del banner come una dimensione non statica ma dinamica, che avesse una sua temporalità giornaliera, ritmica. Il fatto di presentare un lavoro che ogni giorno proponesse un esercizio diverso di rieducazione della visione, ha fatto assumere all’insieme del progetto una componente performativa. Colui che, dall’altra parte dello schermo, si concentra anche per pochi minuti o secondi a compiere gli esercizi proposti, si trasforma inconsapevolmente in un performer autonomo del mio lavoro. Aziona un processo di evasione della propria visione, delle tecniche che una volta assimilate, possono diventare delle armi di difesa dai pressanti flussi della digitalizzazione. Vedendo il lavoro durante le settimane rimasto in azione sul banner, mi ha sorpreso di quanto ogni esercizio potesse avere un’influenza mirata alla riconquista della propria attenzione, portando a fondere di nuovo mente e corpo, una dicotomia che l’iperconnessione mira a stabilire. Soffermandomi su questa riflessione, ho pensato di realizzare una cartella di trenta esemplari ognuna delle quali presenta nel suo interno sette disegni-frame stampati, uno per ogni esercizio della settimana presentato sul banner di Arshake. Il lavoro è in fase di esecuzione e sarà presentato tramite la galleria Tiziana Di Caro.
immagini: (cover 1) Antonio della Guardia, «Alfabeto del potere», 2018, installation view Galleria Tiziana Di Caro, courtesy l’artista e Galleria Tiziana Di Caro (2) Antonio della Guardia, «For a Forthcoming Reality», 2019, installation view, Izolyatsia Foundation, courtesy l’artista e Galleria Tiziana Di Caro (3) Antonio della Guardia, «For a Forthcoming Reality», 2020, still video, courtesy l’artista e Galleria Tiziana Di Caro (4) Antonio della Guardia, «For a Forthcoming Reality», 2020, still from video (5) Antonio della Guardia, «Permanent illusion», 2017, polaroid e pirite, courtesy l’artista e Galleria Tiziana Di Caro