Visitare la mostra “Archimede: arte e scienza dell’invenzione”, che si estende nelle grandi sale affrescate ai Musei Capitolini di Roma, ha rappresentato per me il piacere di tornare in uno dei cuori più antichi della storia museale in Italia, ma anche lo stimolo a riflettere sul glorioso passato italico, fatto di uomini illustri capaci di imprese e conquiste intellettuali meravigliose.
Nelle sette sezioni della mostra trovano spazio libri a stampa, sculture, dipinti, ricostruzioni di orologi ad acqua e altri dispositivi archimedei. Ma soprattutto vi sono reperti archeologici, materiali da costruzione e strumenti di calcolo, maschere da teatro, stoviglie in terracotta, feticci e affreschi, il tutto corredato da pannelli di sala, video e animazioni, che mettono efficacemente in relazione il materiale esposto con gli studi effettuati, agevolando la comprensione e la lettura da parte del fruitore. Un contributo importantissimo per aver ricostruito il contesto storico del personaggio di Archimede e per aver saputo valorizzare il passato di Roma, in uno dei suoi periodi di maggiore splendore economico e militare.
Ma proseguirei adesso in qualche spontanea osservazione seguita alla mia visita. La prima è che questa mostra dimostra come per i grandi inventori la penuria di mezzi, se così vogliamo classificare la limitatezza di materiali antichi – dal legno alle corde di crine, dalla terracotta alla carta grezza, alla pietra – non fosse affatto un limite alla loro scienza. Se oggigiorno sembra sempre più difficoltoso il calcolo senza calcolatrice o la stesura di progetti senza il software adatto, all’epoca intelligenze straordinarie, come quella di Archimede, erano capaci di intrecciare fisica e teoria matematica, abaco e astrazione, senso pratico e bellezza ornamentale, tutto con i pochi mezzi a disposizione.
Seconda osservazione. Al di là della rivalità politico-economica tra l’antica Roma e Cartagine, di sfondo all’opera di Archimede, il mondo antico si offre agli occhi del visitatore come un crogiolo di culture, di lingue, una fucina di commerci e scambi culturali, un melting pot diremmo oggi, nelle quali trovavano amplia applicazione teorie e tecnologie atte alla risoluzione dei problemi pratici, legati all’agricoltura o alla guerra.
Il dialogo serrato tra antichi romani, egiziani, cartaginesi e greci, prescindeva da qualunque contrapposizione culturale; e oggi non avremmo il loro sapere come ineguagliabile eredità se davvero ci fosse stata una qualche rivalità intellettuale o di copyright. Il mondo del passato era terreno fertile per un valore per noi dimenticato: la condivisione. E con la condivisione, col superamento della differenza – che è essa stessa il valore – avevano luogo traduzioni di testi, appropriazioni di tecnologie e linguaggi, di teorie e quindi di nuove soluzioni lungo l’arco dei secoli. Senza un sapere e un Archimede ‘open source’ quanti frutti avremmo raccolto?
La mia terza e ultima riflessione riguarda il senso della tecnologia di ultima generazione. E’ straordinario quanti e quali strumenti si abbiano oggi a disposizione per sfuggire a una inspiegabile noia. Ma, mi chiedo, a quale esigenza rispondono?
La cosiddetta vite infinita di Archimede è stata inventata per prosciugare i campi agricoli, trovando nei secoli ulteriori infinite applicazioni e gli specchi ustori hanno contribuito alla difesa di una città sotto assedio. Prima, non esistevano. L’esistenza di un problema è sempre il motore iniziale per il ragionamento. E l’assenza di problemi è nociva. Al di là della capacità di critica del reale, senza la necessità, quale tecnologia produrremo?
Personalmente sono per il vero progresso tecnologico. Quello ecosostenibile, quello che offre un vera soluzione ad una reale esigenza, che non schiavizza il cittadino medio con finanziarie il cui introito alimenta anche le sensazionali pubblicità, che non crea dipendenti devoti all’obsolescenza programmata dei dispositivi, che non innalza a valore una vanitas tecnologica soverchiante, che non manipola le leggi economiche offrendo in cambio pillole di placebo contro la noia.
“Archimede: arte e scienza dell’invenzione” è una mostra che, senza clamore, fa ragionare. Coinvolge il visitatore in un’esperienza sensoriale e cognitiva, calandolo nella storia attraverso l’immaginazione, incoraggiando il pensiero senza tediare, che non spettacolarizza il mito ne ostenta il sapere accademico, ma dosa delicatamente arte e scienza. E’ in questo equilibrio che la curiosità solleticata diventa il motore del sapere.
Michela Ruggeri
Archimede. Arte e scienza dell’invenzione
31 maggio 2013 – 12 gennaio 2014
Musei Capitolini e Palazzo Caffarelli, Roma
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