La coppia di artisti canadesi Janet Cardiff & George Bures Miller è stata invitata dalla Biennale di Coimbra in Portogallo per il progetto ANOZERO’ 25 SOLO SHOW a realizzare nel Mosteiro de Santa Clara-a-Nova la mostra A Fàbrica das Sombras – The Factory of Shadows, visitabile fino al 5 luglio 2025. Nella brochure di presentazione, Luìs Antònio Umbelino descrive il lavoro dei due artisti come “una esplorazione delle regioni di confine dove reale e immaginario, tangibile e virtuale si incontrano per rinegoziare di continuo i loro significati”. Queste coppie di opposti, appunto, da un lato ciò che gli occhi ci fanno credere che sia reale, tangibile, e dall’altro ciò che l’ascolto è in grado di stimolare nell’immaginazione, invitano il visitatore che entra nel Monastero di Santa Clara-a-Nova, ormai disabitato, in un percorso che stimola la sua immaginazione e la sua memoria.
La mostra si snoda attraverso tredici installazioni audio-video che ripercorrono i lavori dei due artisti, non sempre in coppia, dal 1993 al 2024, dislocati nei corridoi, scale, piccole e grandi aule, nella cisterna di raccolta dell’acqua e nel giardino, tutti spazi un tempo dedicati alla comunità delle clarisse che vi hanno abitato dal 1649, poi divenuti caserma militare per più di un secolo, e infine poi lasciati all’arbitrio della natura ed ora divenuti parte di un importante centro di arte contemporanea.
Il percorso inizia sul fondo di un lunghissimo corridoio, con la proiezione di House Burning, un lavoro del 2001 in cui il crepitare sonoro in 3D del fuoco invade lo spazio insieme con il riflesso delle fiamme sulle pareti speculari del corridoio, avvolgendo con le sue secche vibrazioni il corpo del visitatore appena entrato, annunciandogli un pericolo imminente. Il suono qui non è solo un medium, ma diventa il contenuto stesso dell’installazione, avvolge le membra, le mette in allerta, lo scricchiolio diffuso del fuoco non “è come” un incendio, ma “è” l’incendio che incute terrore.
A partire da questa distruzione di un antico casolare, il tratto che più connota il percorso espositivo e d’altra parte la maggior parte dei lavori di Cardiff – Miller è la memoria, sia quella personale, che quella condivisa, le tracce di qualcosa che non c’è più, come nelle ombre dei circa cento specchi antichi rotanti di Infinity Machine (2015), oppure in The cabinet of the curiousness (2010), una vecchia cassettiera da cui escono voci che narrano storie, poi ancora un televisore a tubo catodico sospeso di Imbalance.1 (Wings),(1984), fino ad un vecchio mellotron sulla cui tastiera le persone possono “suonare” ricordi, vecchie storie, musiche e canti preregistrati in The Instrument of Troubled Dreams ( 2018).
Antichità da rigattiere e strumenti tecnologici obsoleti si animano attraverso il suono, parlano.
Figure fantasmatiche della memoria proliferano in ogni stanza, lasciando la sensazione di un’assenza tanto inquietante quanto potente perché l’alta tecnologia stereofonica dei suoni e delle voci trasmette con estrema precisione tutta quella che Roland Barthes definiva la “grana” del materiale sonoro, la sua texture, il corpo assente della sua fonte, sia essa animale che inorganica.
L’osservatore- uditore può così chiudere gli occhi e immaginare, inventare corpi e storie che non vede, come ad esempio quando si trova all’interno di un coro di quaranta cantanti in Forty -Part Motet (2001) ed è fisicamente parte di esso: è solo, intorno a lui o lei, non c’è nessuno, ma solo quaranta altoparlanti neri su piedistalli dello stesso colore, metallici simulacri di quei corpi di cui trasmettono il canto, che proiettano le loro ombre antropomorfe sulle pareti.
Torna allora alla memoria un’installazione (che qui non è presente) vista al Padiglione Canadese della Biennale di Venezia del 2001 in cui i visitatori si sedevano in un piccolissimo cinema ricostruito come un modellino prospettico abitabile, in cui si proiettavano spezzoni di diversi vecchi film. Qui, a ciascuno veniva fornita individualmente una cuffia con effetto di isolamento acustico. Si aveva la sensazione di essere soli, eppure, proprio attraverso quella cuffia che trasmetteva suono binaurale, la sala si riempiva dei fantasmi di invisibili spettatori assenti che tossivano, a cui suonava il cellulare, che rispondevano a bassa voce, che sussurravano nell’orecchio dello spettatore. Anche qui i protagonisti dell’installazione non erano tanto gli attori, quanto piuttosto gli assenti, ricostruiti come sculture sonore, ombre di persone invisibili con cui la tecnologia ci consente, o forse piuttosto ci forza, a entrare in relazione.
Janet Cardiff & George Bures Miller, A Fábrica das Sombras. The Factory of Shadows ANOZERO
Mosteiro de Santa Clara-a-Nova, Calçada Santa Isabel, Anno Zero
mostra personale, Bienniale di Coimbra, Portogallo, fino al 7 luglio 2025
immagini: (cover 1) «House Burning», 2001, Janet Cardiff & George Bures Miller. «A Fábrica das Sombras», Mosteiro de Santa Clara-a-Nova, Coimbra (Portugal), 2025. © Jorge das Neves (2) «Curtain», 1990–2024, George Bures Miller. «A Fábrica das Sombras», Mosteiro de Santa Clara-a-Nova, Coimbra (Portugal), 2025. © Jorge das Neves (3) «Imbalance.6 (Wings)», 1994, George Bures Miller. «A Fábrica das Sombras», Mosteiro de Santa Clara-a-Nova, Coimbra (Portugal), 2025. © Jorge das Neves (4) «The Cabinet of Curiousness», 2010, Janet Cardiff & George Bures Miller. «A Fábrica das Sombras», Mosteiro de Santa Clara-a-Nova, Coimbra (Portugal), 2025. © Jorge das Neves (5) «The Instrument of Troubled Dreams», 2018, Janet Cardiff & George Bures Miller. «A Fábrica das Sombras», Mosteiro de Santa Clara-a-Nova, Coimbra (Portugal), 2025. © Jorge das Neves