Da quando la rivoluzione informatica, a metà anni ’90, è entrata prepotentemente anche nell’arte, alcuni istituti, musei e fondazioni hanno rivolto il loro interesse a una nuova forma di collezionismo new media, quella dell’arte in rete.
La Dia Art Foundation di New York è una di queste. Le sue web commissions iniziano nel 1995 nell’ambito del progetto sulle sperimentazioni estetiche e concettuali col nuovo medium promosse dal Dia’s Commissioning Committee. Ospitate e accessibili nella sezione «Artists’ Web Projects», la collezione consta di ben 36 opere online, commissionate dal 1995 al 2013 e talvolta finanziate dai fondi pubblici del New York City Department of Cultural Affairs e del New York State Council on the Arts. L’indagine del medium Internet avviene mettendo in evidenza i temi più cari dell’arte in rete e le sue più evidenti peculiarità, le stesse che hanno di fatto mutato il rapporto tra il fruitore virtuale e l’opera. Ciò che, a questa distanza storica, é interessante cogliere da subito è lo sguardo d’insieme col quale si può analizzare la collezione di web works: uno sguardo che va dalle prime sperimentazioni sul web a livello comunicativo fino all’utilizzo di altri media per l’opera virtuale, ad esempio della fotografia come linguaggio, rilevando quale sia stata la sua evoluzione concettuale e tecnologica nel tempo.
Qualche esempio? La prima commissione, Fantastic Prayers di Tony Oursler, Constance DeJong e Stephen Vitiello, è la giocosa e nello stesso tempo malinconica scoperta dell’hyperlink e delle sue potenzialità. Una serie di hyperlinks riportano ad altre webpages, contenenti suoni, video, testi e immagini che supportano e ampliano i confini mediali della narrazione, tramite collegamenti-icone di sapore squisitamente low-tech. La sua grafica oggi, una semplice pagina web con testo e ipe-rtesto suddivisa in brevi paragrafi, ci rimanda a un passato tecnologico che si ricorda ormai con nostalgica simpatia. Il testo è un racconto su una pagina web, strutturato in maniera fluida e non lineare.
Ma era solo il 1995 e sia Internet che il computer in sé impressionavano per la novità che rappresentavano e per le grandi potenzialità narrative: un gioco entusiasmante nel quale l’uomo andava alla ricerca di un contatto empatico con la macchina e di una più ampia tela per i propri pensieri.
Pian piano l’arte sul web uscirà dai propri margini virtuali per mescolarsi agli altri linguaggi, impegnarsi e agire sulla realtà concreta. Così come ci dimostra Laylah Ali nella sua John Brown Song! (2013). Internet è un’agorà nella quale si incontrano le idee e shi confrontano i punti di vista. L’inno popolare a John Brown, figura storica simbolo dell’abolizionismo americano, è interpretato da statunitensi di oggi: un ritratto collaborativo che riporta questioni sociali e politiche importanti nella contemporaneità.
Tra questi due estremi si snoda una storia concettuale e tecnologica nella quale si avvicendano le nuove inquietudini sociali del web, i dubbi sulla tecnologia di facile obsolescenza, i problemi di conservazione, la ridefinizione dell’autore e del fruitore ora collaborativo, il linguaggio grafico, la serialità dell’oggetto virtuale; istanze delle quali gli artisti si sono fatti ora entusiasti promotori ora provocatori senza scrupoli.
Immagini
(1 cover) The Thief, March 11, 1999. A project by Francis Alÿs commissioned by Dia Art Foundation athttp://awp.diaart.org/alys/; (2) Composite of launch icons for Artists’ Projects for the Web commissioned by Dia Art Foundation, 1995-2013, at www.diaart.org/awp; (3) Fantastic Prayers, March 31, 1995. A project by Tony Oursler, Constance DeJong, Stephen Vitiello. Commissioned by Dia Art Foundation at http://awp.diaart.org/fp/; (4) John Brown Song!, June 20, 2013. A project by Laylah Ali commissioned by Dia Art Foundation atwww.diaart.org/ali.