Negli spazi culturali di TRAleVOLTE è in mostra, per il periodo pasquale, l’installazione Mortis Humana Via di Enrico Pulsoni, a cura di Maila Buglioni. Esposizione inaugurata la sera stessa della messa in scena dell’omonimo spettacolo – un’opera plastico-musicale a voler essere precisi, ricalcando la definizione che troviamo sul libretto – all’adiacente TeatroBasilica, che ne rappresenta un’evoluzione multidisciplinare e totalizzante.
Mortis Humana Via, l’opera plastico-musicale, com’è evidente già dal titolo, è un’interpretazione della Via Crucis cristiana, un crocevia di sensibilità diverse che concorrono alla messa in scena di uno dei temi più assoluti che esistano, quello della morte, che in Cristo diviene illimitato sacrificio. E allora, oltre le terracotte e i gessi di Enrico Pulsoni, troviamo il libretto di Carlo Pulsoni, la partitura registica di Giulia Randazzo e la musica di Alessio Sorbelli, Desirè Bertolini e Carlo Genovesi. L’opera, in quello spazio perfetto, laico eppure flesso in un’aura quasi sacrale, è dinamica eppure immobile, è scandita come un metronomo eppure perturbata da quella melodia così tragica che sprofonda e riemerge ad ogni stazione, ma anche dalle luci che evolvono all’evolversi della tragedia sulle opere di Pulsoni, fari del punctum nella tempesta multidisciplinare, a da quei movimenti minimi dei cantanti contrapposti: Adreina Ramirez, la Madonna, soprano lirico, vestita a lutto, cantante seriosa e tutta d’un pezzo e Alessio Sorbelli, Cristo, tenore in cui riecheggia una certa melodia indie, senza alcun costume, giovane e di un’umanità spiccata.
In tutto questo l’installazione di Pulsoni è situata orizzontalmente al centro, le quattordici stazioni della passione di Cristo, in terracotta, sono poste, come una scrittura, in modo irregolare ma lineare al centro di un cerchio perfetto composto da dei gessi realizzati in rilievo modaglistico di numerosi VOLTItraVOLTI, progetto che Pulsoni ha iniziato anni fa e potenzialmente infinito, composto da primi piani a volte surreali, a volte di un realismo che riecheggia l’arte tra le due guerre mondiali, che divengono gioco di specchi con il fruitore, d’altronde ci si può ri-conoscere solo negli occhi dell’altro, così come l’altro si ri-conosce nei nostri. Questi volti grotteschi divengono la folla bidimensionale attorno la passione di Cristo illustrata demiurgicamente nella terracotta, dentro l’azione, ogni volto con le sue peculiarità, probabilmente con i suoi problemi, con la sua vita. Questi volti divengono, allora, esemplificazione dell’umanità, folla di genti contemporanea e nel proprio tempo che accerchia un dogma, un senso, una storia senza tempo, il momento più catartico della narrazione che più di tutte ha trasformato l’esistenza umana negli ultimi due millenni.
A guardare chi guarda e chi è guardato – entrambi nei bassorilievi di Pulsoni – c’è lo spettatore, e questa è la stessa dinamica di Mortis Humana Via, l’esposizione, ruotando ortogonalmente dall’orizzontale al verticale l’intera installazione e trasformando le terracotte e i gessi in opere grafiche su carta. Si nota subito che questo lavoro è antecedente a quello in scena al teatro, ma il progetto è inalterato. Le figure espressioniste e spigolose, dagli occhi cavi, delle terracotte, vaganti agitati nel turbinio della materia, vengono qui calcate con segni veloci e precisi, ugualmente espressionisti ma più simbolici. Cristo, nei disegni sempre focus dell’opera, nelle terracotte diviene elemento principale ma ugualmente «d’atmosfera» come tutte le altre figure, e questo è ricalcato in qualche modo anche nel libretto e nella musica dell’opera teatrale, ponendo l’attenzione, ad esempio, su Cristo, uomo e dio contemporaneamente, per mostrare la paura del tutto umana di morire.
Le differenze, invece, che troviamo nei due diversi gruppi dei VOLTItraVOLTI è per lo più «materica»: la tridimensionalità del bassorilievo in gesso monocromo del teatro lascia il posto al segno grafico. Nel luogo dell’azione, il teatro, i volti sono parte del tutto, elemento del visibile che in gruppo «esistono» e «significano»; nel luogo della contemplazione, l’esposizione, essi possono essere isolati uno ad uno, così da poter entrare nel loro volto, scorgerne una vita del tutto differente dalla nostra e da quella di ogni altro volto lì in cerchio. La relazione è più intima, uno a uno, a differenza del teatro in cui è molti a molti, e così è facile lasciarsi trasportare da quelle stravaganze che scorgono la metafora: la lingua che è un tappeto, le lacrime che scivolando sul volto tratteggiano un punto interrogativo, uno strano uomo che fuoriesce da un’apertura al posto della bocca. E poi gli occhi: aperti, chiusi, nascosti, spiritati, sornioni, drammatici, curiosi, senza pupille, trasformati in sottilissime fessure, sopra ghigni, bocche aperte e chiuse, storte, stravaganti o assenti. Cosa, meglio di questo, porta alla mente il girovagare cittadino, e i numerosi volti che passandoci affianco vediamo ma non inquadriamo, volti che non si relazionano tanto alla persona di cui fanno parte, quanto a noi, al nostro pensare trasformativo della realtà che ci circonda, il nostro essere contemporaneamente nello spazio e in noi, data la nostra impossibilità di non pensare, e questa realtà pensata si relazione alla realtà vissuta e quello che crea, alla fine, sono metafore superficiali e profonde, perché parlano contemporaneamente del proprio pensiero e del mondo.
Via Crucis contemporanea, dunque. Un po’ secolarizzata, un po’ avanguardista, un po’ nel nostro zeitgeist. Un’installazione che percorre un’identità culturale, per immergerci, però, nella quotidianità, per trasformarci, cioè, in volti travolti e tra volti, indifferentemente dall’utilizzo o meno della barra spaziatrice.
Enrico Pusloni. Mortis Humana Via (libretto dello spettacolo andato in scena il 30 marzo di Carlo Pulsoni, a cura di Maila Buglioni, TRAleVOLTE, Roma
immagini: (cover 1-2-3) Enrico Pulsoni, Mortis Humana Via, 30 marzo, 2023, TRAleVOLTE (4) Enrico Pulsoni, Mortis Humana Via, installazione