Fiorella Rizzo e Federica Di Carlo si confrontano sul tema della luce materializzata nello spazio della galleria Beearte, a Roma, in formule istallative orchestrate in sinergia tra loro e con lo spazio. Prende corpo l’incontro tra due artiste di diversa generazione che già da qualche tempo si erano scelte, avevano instaurato un dialogo nato e cresciuto in maniera istintiva e oggi trasferito nello spazio su invito di altri. I lavori dell’una e dell’altra e la relazione tra loro hanno reso visibile un varco che si apre sugli spazi aperti della percezione multisensoriale di chi guarda (e ascolta).
La mostra ci accoglie con i lavori di Fiorella Rizzo. Per il suo Illuminazione migliaia di disegni di lampadine nere ed argento su fogli di pvc sovrapposti si trasformano in una installazione ambientale, appena uscita dalla sua bidimensionalità con l’intervento delle lampadine sospese sopra i fogli, oscurate ai bulbi, spezzate nelle loro terminazioni di cavi, depauperate nella loro funzione. I riflettori della scena sono così tutti puntanti sulla «luce della creazione», unica vera Illuminazione.
In K12 (2007 – 2015) le lampadine disegnate compaiono su fogli di plastica aggrovigliati in teche da dove fuoriescono tubi trasparenti (che evocano quelli dell’acqua) attraversati da fili elettrici, dove ritrovare un diverso ribaltamento funzionale, ulteriore stimolo di riflessione e consapevolezza.
La luce creativa di Fiorella Rizzo guida ai lavori di Federica di Carlo (1984) terreno di sconfinamento tra mondi e dimensioni, spazio di azione perché le leggi della fisica manifestino la luce nel carisma delle sue vibrazioni cromatiche. Così in Celeritas la vecchia porta di accesso della galleria è re-installata per diventare soglia di luce; quarzi e pietre d’Islanda (le «pietre del sole» con cui gli antichi navigatori del Nord trovavano orientamento) sono disposte in fila in basso per catturare lo sguardo, per portarlo ad un punto ben preciso del muro, dove un’unica pietra del sole installata indica la scritta sdoppiata I See [parola che in inglese dal doppio significato di «vedere» e «capire»].
Frammenti di arcobaleno proiettati sulle mani, sono catturati dall’occhio fotografico di Federica nella serie Hold Infinity, rivelati nella loro natura invisibile, materializzati nel e con il desiderio di poterli trattenere con tutta l’energia dei suoi colori vibranti.
I percorsi di ricerca delle due artiste si ritrovano nel confronto di due video, trasmessi da due televisori che si fronteggiano nello spazio: Through my mother’s eyes (2015) di Federica di Carlo che affronta la perdita di visione come possibilità di ascensione verso la luce e Video Nero (2004) di Fiorella Rizzo dove la luce, quella della saldatrice di un fabbro, diventa evocazione autobiografica della creatività infantile capace di materializzare uno schermo cinematografico dalla luce riflessa sul muro.
I video sono trasmessi ad un ritmo alternato. I riflettori si accendono prima sull’uno poi sull’altro; lo stesso dicasi per le colonne sonore che accompagnano entrambi. Se la mostra si muove su una linea emotiva che si rivolge alle facoltà percettive, uniche elette a completamento delle opere, anche quelle auditive sono chiamate in gioco nella «trasmissione» creativa delle due artiste. Dal fondo dello spazio dove i video attendono di essere visti alla fine della mostra, le colonne sonore si diffondono nelle zone di entrata per accogliere i visitatori e sovrapporre suggestioni ed emozioni che il suono proietta sulle opere.
L’era elettronica, espressione del progresso industriale che nell’elettricità trova – appunto – l’ incipit della moderna era informatica e digitale, è qui messa in discussione nel suo impatto sulla componente creativa dell’uomo. Mettere in discussione, spesso associato ad un’esperienza negativa, può significare acquisizione di consapevolezza, di esercizio delle facoltà umane, in particolare quella creativa che il progresso tende ad affievolire se non alimentata nella sua fiamma vitale, quella che Fiorella Rizzo e Federica Di Carlo hanno tenuto viva attraverso uno scambio sinergetico e sinestetico, tra loro, con lo spazio e con il pubblico.