Nell’ottica di GAME OVER.Loading, proiettato nella ricerca e nello studio di nuove «entità culturali» volte alla ricostruzione del futuro, abbiamo incontrato Valentino Catricalà e discusso sul rapporto tra arte, azienda, finanziamenti e ricerca in una conversazione su zoom che si è svolta il 29 dicembre 2020 tra Anita Calà, Valentino Catricalà e Elena Giulia Rossi.
E.G. R. Valentino, sei specializzato in arte e tecnologia, ma anche un curatore visionario, sempre impegnato a portare tante discipline alternative nel sistema. Ci interessava un tuo parere sulla nostra ricerca di una nuova generazione di ibridi/inventori.
Valentino Catricala: ‘Visionario’…Ti ringrazio e lo prendo ovviamente in senso positivo (ride). Mi sono dedicato al rapporto tra arte e tecnologia durante il mio dottorato di ricerca unendo gli studi di Cinema e Media, dai quali provenivo, con quelli di storia dell’arte. Ho trovato questo rapporto molto interessante. All’epoca (e parlo di pochi anni fa!) eravamo in pochi a interessarci a questi temi. Oggi il tema è molto più comune. Questo anche per la pervasività della tecnologia oggi. Penso infatti che il rapporto degli artisti con la tecnologia stia cambiando (tema di un mio libro in uscita, The Artists as Inventor (Rowman & Littlefield, Londra) e si stia generando un nuovo rapporto tra arte e innovazione, tra artisti, centri di ricerca e aziende del settore. Gli artisti hanno sempre lavorato con le industrie o aziende, con tecnici e ingegneri, ma adesso questo rapporto sta cambiando.
Per esempio, non ci stupisce più applicare il concetto di creatività all’ambito aziendale, o al management. In questo contesto, tuttavia, per creatività si intendeva, o un qualcosa di molto generale, o figure professionali specifiche quali designer, grafici, art director, ecc. Mai artisti. Oggi, invece, le grandi aziende, come Microsoft, Google, Adobe, e tantissime altre, sono sempre più orientate all’inglobamento degli artisti all’interno dei processi di produzione dell’azienda. Questo è un connubio nuovo, oltre l’idea di sponsorship. Il punto è, perché le aziende hanno bisogno degli artisti? E che succede nel momento in cui l’artista entra all’interno di una azienda? Noi lo abbiamo sperimentato con il Media Art Festival a Roma, con i progetto con Epson, Samsung e Microsoft, e oggi con la Maker Fair.
Anita Calà.: Come accennavi, c’era all’inizio un piccolo gruppo di nerd che andava in giro con queste nuove idee. Ora possiamo affermare che questi argomenti sono entrati prepotentemente nel mondo della cultura. In questo momento, quello che noi vogliamo fare è un gesto un po’ più radicale, non di distruzione del sistema, piuttosto, di creazione di una realtà parallela. L’invenzione diventa una vera e propria trasformazione. Cerchiamo una nuova generazione di inventori, di creativi che vogliano andare oltre il dialogo interdisciplinare, verso una ricostruzione, un nuovo modo di vedere il mondo della Cultura. In questa fase preliminare del progetto, ci vogliamo confrontare con visionari che già consideriamo in qualche modo ibridi. Come tale ti chiedo:se potessi premere RESET e dimenticare cosa è stato il passato, cosa faresti nascere di nuovo? Cosa tratterresti? Cosa coltiveresti per una nuova visione del mondo?
Questa è una bella domanda, e arriva in un momento personale particolare, ora che sto iniziando un nuovo incarico a Manchester, dove sono stato chiamato a curare la nuova SODA Gallery, parte della nuova School of Digital Art della Manchester Metropolitan University. Si tratta di un progetto con grandi investimenti e molto ambizioso che inaugurerà a fine anno.
Che cosa terrei e che cosa non terrei sull’esperienza che ho fatto? Penso che adesso non siamo in un ambito di RESET totale. Ci saranno indubbiamente dei cambiamenti, ma non penso sia un mondo totalmente nuovo. Io auspico un ruolo più attivo dell’artista all’interno della società, del mondo dell’innovazione. Considerare l’artista un motore per la società. Una cosa che dobbiamo sempre tenere a mente quando si parla di arte e innovazione, e questo è anche l’argomento del mio prossimo libro in uscita, The Artists as Inventor (Rowman & Littlefield, Londra). Perché l’artista va a lavorare da Microsoft? Non per realizzare tecnologie, ma perché lui ha bisogno di produrre le sue opere, di trovare il modo di raggiungere quello che, con un’accezione da estetica classica, possiamo chiamare l’«epifania della visione». E cosa guadagna l’azienda? Nuove idee. Quando Toshio Iwai creò il Tenori-on (un antesignano del launch pad) con la Yamaha (in realtà lo creò precedentemente, poi la Yamaha chiese all’artista di implementarlo) l’artista giapponese cominciò a lavorare con gli ingegneri e i tecnici dell’azienda. Iwai ha potuto realizzare un oggetto che a lui serviva per le sue performance, al contempo la Yamaha lo ha potuto vendere come prodotto. Credo che oggi anche le istituzioni culturali devono aprirsi a questi cambiamenti. Ed è quello che vorremmo fare con SODA. La cultura può diventare un motore anche per una nuova idea d’innovazione, che servirà nel futuro.
A.Calà.: In questa visione di cambiamento che soluzioni proporresti per quanto riguarda anche il sistema economico e di finanziamento?
Guardiamo al dibattito attorno agli artisti che c’è stato in questa pandemia. Si è parlato solamente dell’assistenzialismo agli artisti, dei poveri artisti che vanno aiutati perché non hanno soldi, tema giustissimo, ma l’immagine che ne è venuta fuori è un’immagine brutta: l’immagine di questi artisti, poveri, che vanno aiutati come animali protetti. Non si è invece mai cercato di ribaltare il discorso, cercando di vedere quanto gli artisti possano aiutare lo Stato e la società. E in particolare proprio quelli che entrano nei processi di innovazione tecnologica. Quindi, l’artista, secondo me, dovrebbe essere considerato una risorsa fondamentale per rileggere il futuro. Esagerando si potrebbe dire che dovrebbe far parte delle task force di governo, accedere a finanziamenti alternativi, oltre quelli per la cultura, anche quelli dell’innovazione. L’artista così non è considerabile solo come un creatore di «contenuti» per il mondo dell’arte, ma anche come un motore per l’innovazione e per rileggere le sfide del nostro futuro.
Insomma, creare una nuova visione dell’artista che lo sradichi dalla vecchia immagine bohémien e lo consideri come un vero e proprio professionista. Pensiamo, per esempio, a Tomás Saraceno, un artista che ha 60-70 dipendenti. Questa è un’azienda vera e propria che finanzia designer, ricercatori, ingegneri! Altro che bohémien solitario. Una nuova idea di artista oggi, secondo me, è più importante che mai.
E.G.R. : Interessantissimo quello che dici. Tu sei molto focalizzato sull’aspetto arte-azienda e innovazione. L’artista e ingegnere Ken Goldberg, per esempio, che tu hai invitato alla Maker Faire-The European Edition questo autunno 2020, per noi è l’esempio perfetto di artista ibrido. Tutto quello che fa lui è proteso verso una sperimentazione al limite, tra arte e scienza, in maniera molto naturale. Quello che immaginiamo noi, come diceva Anita prima, è un po’ l’«Inventor as an artist»…
Le questioni sono diverse. Qualche tempo fa, nell’ambito di una conferenza alla Maker Fair, ho chiesto a Lev Manovich, durante una sua interessantissimo talk, «perché parli di estetica e mai del ruolo degli artisti?». Lui ha risposto «ah! non mi interessa quest’idea romantica che l’artista può portare cambiamenti radicali». In realtà ha risposto cosı̀ perché ha proprio quella idea romantica lì…̀ Forse oggi noi dovremmo capire qual è il ruolo degli artisti; soprattutto ragionare sulla differenza tra artista e creativo.
Quindi secondo me è giusto vedere gli ibridismi e le connessioni ma non bisogna perdere di vista le differenze. Io credo ancora che l’artista sia una figura diversa da quella dell’ingegnere creativo, del designer, del grafico. Per questo per me è importare partire dall’artista. Ma ci sono anche tante sfumature. In realtà ci sono varie modalità. In The Artist as Inventor ne ho identificate alcune…e per chi è interessato consiglio di leggersi il libro (Risata)
E.G.R.: Tu che ti trovi in una posizione, diciamo mediana, tra ricerca, produzione e curatela, come visualizzi lo schema di collegamento tra economia, finanziamenti, ricerca, rispetto a tutti questi argomenti di cui abbiamo trattato?
Ho sempre pensato che la pratica curatoriale dovesse essere collegata ad una pratica di ricerca. Non è un caso che la SODA della Manchester Metropolitan University abbia come obiettivo proprio quello di stimolare un atteggiamento più imprenditoriale alla ricerca, e viceversa. La SODA ha una Gallery aperta al pubblico ed è però connessa con l’università, dove ci sono aule per la teoria, ma anche laboratori –workshop, dove faremo anche residenze d’artista. Diventerà un vero centro di produzione, dove la teoria è parte fondante. L’idea è, infatti, di ridurre quel gap che esiste tra mondo del lavoro e università, che in paesi anglosassoni è più ridotto rispetto all’Italia.
A.Calà.: Da quello che hai detto, esce fuori un tema molto forte che noi ultimamente sottolineiamo spesso. Dobbiamo capire bene come instradarci e come portare avanti il progetto GAME OVER in maniera fattiva e credibile. Ma una domanda che ci viene spesso spontanea quando ci avviciniamo al lavoro di un artista è: “Sì, bello, ma è necessario all’umanità?”. Volevo partire un po’ da questo presupposto. Tu che pensi?
Parte della mia ricerca si è basata sull’unire arte e innovazione, sul cercare di creare sinergie tra artisti e centri di ricerca e aziende. Quindi non solo esporre opere, sicuramente fondamentale, ma anche produrle e stimolare negli artisti nuove ricerche e possibilità. Non è semplice ma quando riesci a farlo da grande soddifsazione. Ho cercato, anche nelle mie ricerche di ribaltare, o di andare oltre, al vecchio motto: «l’arte è utile perché ci fa riflettere». Il punto è che oggi l’arte può, non solo farci riflettere o aprirci la mente, ecc., ma può produrre il nostro futuro. Entrando all’interno dei processi di produzione, venendo a contatto con media complessi che fondamentalmente stanno cambiando la nostra società, lavorando in team con ingegneri e tecnici, gli artisti non solo aprono riflessioni sul contemporaneo, ma lo generano. Ci sono degli esempi concreti di artisti che hanno creato vera e propria innovazione attraverso le proprie opere. Quindi, riportare l’arte al centro dei processi di innovazione e di sviluppo dei processi di identità, di società. Ed è qui che baseremo alcune attività della futura SODA.
images (cover 1) Valentino Catricalà ritratto (2) SODA, The School of Digital Arts, Manchester, image via (3) Valentino Catricalà con Ben Vickers
Studioso, curatore d’arte contemporanea. Si è specializzato nell’analisi del rapporto degli artisti con le tecnologie e con i media. Attualmente è direttore della SODA Gallery di Manchester e lecturer presso la Mancheter Metropolitan University. E’ inoltre direttore della sezione Arte della Maker Faire – The European Edition e art consultant per il Sony CS Lab di Parigi. Valentino è stato, inoltre, direttore e fondatore del Media Art Festival di Roma (Museo MAXXI) e coordinatore dei programmi Arte della Fondazione Mondo Digitale.
Su questi temi è dottore di ricerca presso l’Università degli Studi Roma Tre, è stato Part-Time Post Doc Research Fellow nella stessa Università. Ha svolto ricerche in importanti centri quali lo ZKM di Karlsruhe, la Tate Modern, l’Università di Dundee partecipando a Convegni internazionali e scrivendo diversi saggi in libri e riviste specializzate (vedi, academia.edu). Ha curato mostre in importanti musei e istituzioni internazionali fra i quali: Minnesota Street Project (San Francisco), Ermitage (San Pietroburgo), Palazzo delle Esposizioni (Roma), MAXXI (Roma), Museo Riso (Palermo), Media Center (New York), Stelline (Milano), Istituto Italiano di Cultura Nuova Dheli (India), Manchester Metropolitan University (UK), Ca’ Foscari (Venezia), Centrale Idrodinamica (Trieste), Museo Centrale Montemartini (Roma).E’ autore di diversi libri, fra i quali libri Media Art. Prospettive delle arti verso il XXI secolo. Storie, teorie, preservazione (Mimesis, 2016), Art and Technology In The Third Millennium (Electa, 2020) e The Artist as Inventor (Rowman & Littlefield, Londra 2021).
L’intervista è parte di Loading, fase preliminare di GAME OVER, progetto finalizzato alla ricerca e allo studio di nuove “entità culturali”, persone, oggetti o ricerche provenienti da diversi ambiti disciplinari (i.e. fisica, bio-robotica, AI, agricoltura, medicina) e al loro traghettamento nel mondo dell’arte. Si tratta di una ricerca ma anche di un gesto che va oltre il semplice dialogo interdisciplinare e diventa piuttosto radicale: un vero e proprio ‘trapianto’ di ambiti di ricerca indirizzato alla predisposizione di future c(o)ulture, dove la “creatività” corrisponde ad “invenzione” ed “invenzione” corrisponde a contribuire ad una trasformazione. Una scintilla, un segnale di mutazione genetica, un cambio di direzione, un cortocircuito. Un’energia diversa che sia il segnale di un cambiamento in atto e che possa costituire nuova linfa vitale per il sistema della Cultura. Questa prima fase è una fase investigativa e si rivolge a visionari, pensatori ibridi di vari settori, inclusi quelli della cultura, che possano esprimersi sulle necessità attuali, ciascuno in relazione al proprio ambito disciplinare e, in linea più generale, nel rispetto della cultura e della società ad ampio raggio. Project team: Anita Calà Founder and Artistic Director of VILLAM | Elena Giulia Rossi, Editorial Director of Arshake | Giulia Pilieci: VILLAM Project Assistant and Press Office | Chiara Bertini: Curator, Coordinator of cultural projects and collaborator of GAME OVER – Future C(o)ulture | Valeria Coratella Project Assistant of GAME OVER – Future C(o)ulture. Interventi precedenti: Primavera De Filippi (Arshake, 21.01,2021), Azzurra Immediato, Intervista a Leonardo Jaumann, Arshake, 28.01.2021)