A Palazzo Collicola, a Spoleto, è in corso una mostra dedicata all’infanzia, al gioco nel suo strutturarsi nelle regole ma anche nella loro trasgressione. Infanzia come età dell’oro, di libertà e leggerezza ma anche di dolore, di oscurità, di crudeltà.
Questo il taglio di lettura di questo tema nelle corde del curatore Saverio Verini, traendo ispirazione dal suo saggio La stagione fatata (Castelvecchi nel 2021). Con un lavoro di associazione tra opere, artisti e spazi, Saverio Verini costruisce un vero e proprio racconto, con tanto di prologo ed epilogo. Ogni stanza è un capitolo e dai titoli è da subito chiaro che nel mondo dell’infanzia si entra in tutti i suoi aspetti, non solo quelli associati alla leggerezza.
La mostra apre con due lavori di Vedovamazzei (della serie “Early Works. Scipione Borghese”, 2021), duo da sempre interessato alla dimensione infantile, nella pratica di una inversione di sguardi e di formati che partono da repliche di maestri del passato per mano dei bambini.
“Le opere presentate all’interno della prima sala, costituiscono un ‘manifesto’ che permette al visitatore di entrare subito in contatto con alcuni dei temi chiave dell’esposizione: il rapporto tra infanzia e storia dell’arte, tra adulto e bambino; il carattere selvatico e non domabile della fanciullezza; l’alterazione dei formati e, con essi, dei significati e delle prospettive. Il tutto, mediato dallo sguardo dell’artista”.
Così leggiamo nel testo che introduce la prima sala, primo di una serie che, nell’ottica di un curatore ma anche di direttore di un museo, intende andare incontro a dare accesso a diversi pubblici.
L’epilogo è tutto racchiuso nel fiore di Luca Bertolo, Il Fiore di Anna#2, olio e pastello su tela di grandi dimensioni, ingrandimento in scala di un fiore disegnato da un bambino che porta in sé lo stile della fanciullezza, seppure tradisca tracce anche della mano esperta dell’artista che dello stile infantile si fa interprete. Tra Prologo ed epilogo l’infanzia si dispiega attraverso le sue varie fasi, soprattutto angolazioni e prospettive diverse espresse in un altrettanto vario impiego di media e forme espressive, disegno, video, performance e in una organizzazione di dialoghi tra artisti intergenerazionali.
Si parte con le regole del gioco che “consente esperire la realtà in modo altro, assumendo un punto di vista che alimenta l’immaginazione”, soprattutto quando il gioco può rivelare aspetti di rischio, come nella performance messa in scena attraverso una installazione video di Calixto Ramírez (Tana libera tutti!, 2016) con tre schermi sincronizzati e orchestrati nello spazio per giocare con il visitatore.
Dall’età dell’oro infantile dove la leggerezza si ritrova nel confronto intergenerazionale tra i lavori di Adelaide Cioni in china e pastello (Cerchi gialli, 2021), e in colori vinilici su carta (Bozzetto per il mare, 2019) e il metallo dipinto delle sculture mobili di Alexander Calder (Standing Mobile, 1974).
Si arriva nella quarta sala dove domina quel momento fondamentale della crescita di ogni bambino, ovvero la scuola, “uno dei primi avamposti della società”, dove si alternano norma e disobbedienza, ordine e caos, dovere e trasgressione. Gli abaci di Riccardo Baruzzi (ABACO, 2018), pastelli su legno, acrilici su carta e su lino, le prime tre lettere degli alfabeti di Tomaso Binga (serie di “Alfabeto Pop”, 1977) collage su cartoncini prestampati che racchiudono tutta l’irriverenza e la forza performativa dell’artista (pseudonimo di Bianca Menna), la resistenza che Filippo Berta pone al centro delle sue regole dove a degli adulti è richiesto di sollevare dei banchi di scuola sopra la loro testa fin quando le forze glielo consentono ((Happens Everyday, 2012). Le Punizioni (2012) di Maurizio Cattelan racchiudono il suo tipico tocco irriverente, anche se non con la sua usuale crudeltà di impatto. In trenta fogli tratti da un quaderno di scuola elementare, la frase “Fare la lotta ‘in’ classe è pericoloso” si trasforma, con una correzione a penna rossa e sempre nello stile di scrittura scolastico, in “Fare la lotta ‘di’ classe”.
Seguono poi immancabili riferimenti alla fiaba. Pinocchio, protagonista dell’omonimo romanzo di Carlo Collodi, scandisce questo oscillare tra desiderio ed esperienza, tra natura ed artificio, tradizione tutta italiana. In Pinocchio si trasforma Luigi Ontani in una sua opera fotografica su carta, parte di una serie di personificazioni di personaggi appartenenti alla storia, alla mitologia, alla letteratura, alla religione che identificano la sua poetica dalla fine degli anni ’60 Al ritratto di Pinocchio candido e inquietante di Andrea Salvino risponde quello di Marta Roberti, autoritratto realizzato su carta orientale dove l’artista si presenta nuda e con un copricapo in testa, mantenendo dell’iconografia di pinocchio il naso allungato, il grillo sulle spalle e una pelle che sembra di legno. Il Pinocchio di Cesare Pietroiusti (“Pinocchio” nuovo con gomma, Trieste Zona A, 1954) è quello di un francobollo della collezione del padre che entra nel gesto performativo che genera l’ installazione, spazio e occasione di confronto tra padre e figlio.
Lo spazio della fiaba prosegue nell’altra sala con “le ambiguità e le zone d’ombra; cupe, grottesche, amare e inquietanti”. Sulla fotografia di grandi dimensioni di un neonato che dorme pacioso si sovrappongono tre cerchi dipinti dall’artista, irruzione della sua tranquillità come un’ombra che si proietta nel futuro e nel titolo: Un giorno tutto questo sarà tuo (2019). Nella stessa sala, un video e un’installazione sono ciò che rimane della performance di Miriam La Plante ((Lupus in Fabula, 2005-2024), parodia del mondo attraverso la fiaba (e la sua crudeltà e crudità) con la forza incredibile e la sospensione che l’artista riesce a creare attorno a sé e che perfino nel video riesce a trasmettere, seppure sarà certamente una minima parte rispetto a chi la performance l’ha vissuta in persona.
Una tanto breve quanto potente animazione di Diego Marcon (Ludwig, 2018), dove un bambino nella stiva di un’imbarcazione che attraversa una tempesta cerca di spezzare l’oscurità accendendo un fiammifero e intonando un canto, traghetta verso la sala dei balocchi inquietanti, dove i giocattoli sono carichi di un lato oscuro, come mette in luce la Morale del giocattolo di Charles Baudelaire, un testo caro al curatore e più volte citato nel suo libro.
Così questa ambiguità torna negli oggetti legati all’infanzia, come il secchiello, il rastrello, la paletta, l’innaffiatoio, il pallone, una paperella-salvagente, un materassino delle sculture di Elena Bellantoni. Siamo certi che alla lettura della sequenza di questi oggetti si associ istintivamente ad un senso di leggerezza subito smentita alla vista delle sculture rese in grandi dimensioni e realizzate in cemento. Anche il titolo, CeMento (2019), contribuisce ad ancorarle a terra. Il cemento è anche materiale prediletto dell’artista, simbolo della recente storia italiana, della sua rinascita ma anche della sua distruzione con la speculazione edilizia. Alla pesantezza degli oggetti fa da contrappeso il quadro di Thomas Braida, dove l’ambiguità si ‘gioca’ tra la rappresentazione di animali impagliati e altri oggetti (giocattoli e ninnoli vari), dipinti con toni allegri e la vitalità congelata nella tassidermina del titolo, Tassidermia in festa (2011), esplicita relazione alla biologia e al suo innaturale congelamento della vita che prosegue nei giocattoli “geneticamente modificati” che, come fossero usciti dalla tela, sono disposti su un piccolo scaffale.
Arriviamo nella penultima sala. La performance di Francesca Grilli (Sparks, 2021) documentata dal video dove le regole del gioco sono ribaltate ed è il bambino a condurlo si confronta con la serie di cinque stampe su carta cotone di Linda Fregni Nagler (The Hidden Mother, 2013). Una serie di fotografie ottocentesche raccolte dall’artista nell’arco di 10 anni in mercatini e aste online, ritrae bambini piccoli o appena nati lasciano intravedere la presenza della madre dietro che cerca di tenerli in posa nascondendosi nei modi più disparati, nel risultato finale anche inquietanti, una presenza che in nessun bambino può prescindere nel suo passaggio dall’infanzia alle fasi successive.
La mostra chiude con il lavoro di Luca Bertolo (Il fiore di Anna #2, 2019) un percorso circolare, viaggio nell’infanzia ma anche nell’arte e nelle poetiche di artisti e nel mondo dell’infanzia, nella creatività strumento prezioso da mantenere vivo, nel suo stato ambivalente di leggerezza e pesantezza, luce e oscurità.
“Il tentativo di ricongiungersi alla purezza del sentire tipica della dimensione infantile sembra essere una prerogativa irrinunciabile della figura dell’artista: ‘comportarsi come un bambino’, espressione tradizionalmente pronunciata con un’accezione negativa, potrebbe rivelarsi una strategia di resistenza alle convenzioni e alle costrizioni della vita adulta”. Così chiude il racconto anche nel testo che accompagna la mostra, ancora una volta, con una delicatezza che cerca di non intaccare l’esperienza tutta personale del visitatore.
Infinita infanzia, a cura di Saverio Verini, Palazzo Collicola, Spoleto, fino al 16 giugno, 2024
Immagini: (cover 1) Filippo Berta in «Infinita Infanzia», veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph: Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e Prometeogallery di Ida Pisani (2) Vedovamazzei in «Infinita Infanzia», Veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph:Giuliano Vaccai. Courtesy Vedovamazzei e Magazzino, Roma (3) Calixto Ramírez in «Infinita Infanzia»,. veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph: Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e Galleria Alessandra Bonomo, Roma (4) Adelaide Cioni in «Infinita Infanzia», veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph. Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e P420, Bologna (5) Tomaso Binga in «Infinita Infanzia», veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph: Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e Erica Ravenna Gallery (6) Marta Roberti in «Infinita Infanzia». Veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph. Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e z2o Sara Zanin (7) Myriam Laplante, in «Infinita Infanzia», veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Fotografia di Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista (9) Diego Marcon, «Infinita Infanzia», veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph: Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e Sadie Cole HQ, London (10) Elena Bellantoni in «Infinita Infanzia», veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph. Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista (11) Linda Fregni Nagler, «Infinita Infanzia», veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Ph. Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e Galleria Monica De Cardenas, Milano (12) Luca Bertolo, Infinita Infanzia. Veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Fotografia di Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e SpazioA, Pistoia.