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Home News Focus

Intervista | Liu Jiayu

Nel flusso del codice e della natura

Veronica Di Geronimo by Veronica Di Geronimo
30/04/2025
in Focus, Interview
Intervista | Liu Jiayu
L’artista multimediale Liu Jiayu (Liaoning, 1990) ha ricevuto crescente visibilità internazionale grazie a un linguaggio artistico che esplora le molteplici interazioni tra uomo, sistemi digitali e natura. Nel corso degli ultimi anni ha esposto in prestigiose istituzioni come al Manchester Art Festival del 2019, al Padiglione Cinese della 59ª Biennale di Venezia e, più recentemente, alla mostra Creative Machine presso il Taikang Art Museum di Pechino (2024-25), dove ha presentato la sua celebre opera Waves of Code.
La pratica artistica di Liu Jiayu si confronta con le implicazioni filosofiche della tecnologia e i sistemi percettivi costruiti a partire da una logica sensoriale sintetica. Nella conversazione che segue, l’artista riflette sulle sue opere più recenti, rivelando le ragioni del suo interesse per l’intelligenza artificiale che l’ha portata a sviluppare un proprio strumento IA addestrato esclusivamente sulla sua produzione e gli scritti la riguardano: testi, saggi, e interviste. Dalle prime esplorazioni dell’intelligenza artificiale in The Side Valley (2018) fino ai progetti più recenti, l’artista presenta le basi filosofiche e concettuali del suo approccio, facendo riferimento a pensatori come Walter Benjamin e Gilbert Simondon, e riconoscendo al contempo l’influenza della tradizione estetica e calligrafica cinese.

Veronica Di Geronimo: Da sempre integri le nuove tecnologie nei tuoi lavori, e negli ultimi anni hai iniziato a utilizzare l’intelligenza artificiale. Cosa ti ha spinto a esplorarla l’IA?

Liu Jiayu: La mia prima esperienza con l’arte generata dall’intelligenza artificiale è stata nel 2018 per il progetto The Side Valley. Rispetto ai primi artisti che hanno utilizzato l’IA, ho iniziato più tardi, volevo aspettare il momento giusto. Volevo che l’IA fosse più di un semplice strumento, speravo che potesse diventare parte del processo creativo, sostituendo persino alcuni aspetti della narrazione.

In The Side Valley ho addestrato l’IA su 6.400 immagini scattate dalla cima di una montagna ogni quindici minuti, catturando il cielo in cinque direzioni diverse: nord, sud, est, ovest e centro. Il mio obiettivo era generare nuovi paesaggi ed esplorare il modo in cui l’IA costruisce la percezione visiva, in relazione alla struttura umana e al tempo naturale. Successivamente, ho ampliato questa idea nel progetto Streaming Stillness per la Biennale di Venezia del 2022 ispirato alla Mappa di Yu Gong, una delle prime rappresentazioni geografiche della Cina antica. Partendo dal rilevamento geomorfologico dai Monti Helan fino alla Via della Seta, abbiamo applicato modelli di apprendimento 2D e 3D per consentire all’IA di definire il tracciato del terreno per la parte scultorea dell’opera. Ispirato dalla filosofia taoista, il progetto proponeva una prospettiva non umana sulla geografia. Una mappa non è determinata solo da un confine fisico, ma è anche plasmata dall’esperienza, dalla memoria e dall’immaginazione. In questo progetto, l’IA sembrava sviluppare il proprio modo di ricordare e interpretare il mondo, forse persino il proprio “modello del mondo”.

L’anno scorso hai creato Jiayu*, il tuo sistema di intelligenza artificiale. A mio parere, sembra funzionare come una sorta di meta-strumento poiché è addestrato su testi e materiali dei tuoi lavori precedenti. Cosa ti ha spinto a sviluppare Jiayu*? Come pensi che contribuisca alla tua pratica artistica? È un tentativo di riformulare il tuo stile?

Ho iniziato a sviluppare questo strumento dopo aver completato Waves of Code all’inizio del 2023. Quel progetto esplorava l’idea di Walter Benjamin della scomparsa dell’aura nell’era della riproduzione tecnica. Poiché l’IA o la tecnologia stavano diventando più visibili nella creazione artistica, mi stavo interrogando se una nuova forma di aura potesse emergere nell’era dell’IA. Jiayu* non riguarda il perfezionamento o la ridefinizione del mio linguaggio, è un tentativo creativo totalmente nuovo. La macchina ha il suo modo di associare le cose, come le allucinazioni delle intelligenze artificiali che hanno sviluppato un’immagine completamente sintetica e non hanno alcun referente nella realtà. Suppongo che sia un modo per espandere e potenziare l’espressione artistica. Piuttosto che replicare o ottimizzare un linguaggio artistico esistente, spero che Jiayu* possa funzionare come un sistema co-creativo aperto. È interessante notare come ciò che mi ha ispirato di più è il processo piuttosto che generare l’opera finale.

Negli ultimi due anni, numerosi piccoli test ed esperimenti mi hanno portato a pensare in nuove direzioni. Sviluppare Jiayu* mi ha reso ancora più consapevole di qualcosa di essenziale: la mia insostituibilità come artista umano.

Molte delle tue opere sono legate alla natura, sia nella loro rappresentazione visiva che nei dati sottostanti, spesso rilevati da fenomeni naturali, come dal movimento del vento o del mare. Credo che la ragione per cui il tuo lavoro risulta così poetico risieda nel modo in cui esprime il rapporto tra tecnologia e natura.  Come la relazione tecnologia-natura contribuisce al tuo approccio artistico?

Walter Benjamin una volta ha sottolineato che il cinema e la fotografia rivelano cose che non erano mai state viste prima. Ha scritto: “Con il primo piano, lo spazio si espande; con il rallentatore, il movimento si estende [..] Chiaramente, è un’altra natura che parla alla macchina fotografica rispetto all’occhio”.

Questo mi fa pensare: le moderne macchine tecnologiche potrebbero anche ricostruire un’altra forma di natura? I sensori, i dati climatici in tempo reale e gli scanner 3D utilizzati nelle mie opere precedenti stanno, a loro modo, rimodellando o intervenendo nella natura? Questi sistemi sensoriali, che emergono attraverso l’elaborazione dei segnali e il calcolo digitale, potrebbero osservare la natura in modo diverso. Allo stesso tempo, partecipano alla relazione dinamica tra l’uomo e la natura oggi.

Anche la natura sta integrando la tecnologia. Il confine tra i due sta diventando sempre più sfocato e fluido. Simondon, in Technical mentality, descrive questo fenomeno: “In questo incontro tra il luogo più alto e il punto nodale, che è il punto di trasmissione delle iper-frequenze, c’è una sorta di ‘co-naturalità’ tra la rete umana e la geografia naturale della regione”. Per quanto mi riguarda, è stato proprio osservare come le macchine percepiscono ed evolvono insieme alla natura che ha cambiato il mio modo di vedere il rapporto tra l’essere umano, la natura e la tecnologia.

Il tuo recente lavoro Still Garden #2 è un progetto basato sull’intelligenza artificiale che indaga la relazione tra gli organismi marini e il cambiamento climatico. Potresti dirci di più su come è nata la collaborazione con la Zhejiang Ocean University? Con che tipo di dati hai lavorato e in che modo la ricerca scientifica ha influenzato l’opera?

Questo lavoro è stato commissionato dall’UCCA Lab per la mostra di apertura dello Zhoushan Art Museum. Dopo aver parlato con i curatori, mi sono interessata alle caratteristiche geografiche e alla memoria storica-culturale di Zhoushan. Ho proposto di collaborare con un laboratorio di biologia marina locale, sperando che la ricerca sul campo potesse portare a scoperte significative.

A ottobre abbiamo visitato il laboratorio di biologia marina dell’Università di Zhejiang e discusso del progetto con il team di ricerca del professor Guo. Uno dei loro recenti studi affronta come le cozze regolano il proprio corpo per adattarsi alle diverse temperature dell’acqua di mare, un’idea che ha avuto una forte risonanza ed è diventata il fulcro della narrazione dell’opera. Abbiamo incorporato l’equazione di crescita di questi organismi nei nostri dati di addestramento, influenzando il modo in cui l’IA genera strutture, trame e forme immaginarie basate sulla logica organica.

Il lavoro immagina una sorta di mondo sottomarino fantascientifico, integrando i precedenti metodi di generazione di scene 3D di Jiayu*. Regolando la temperatura dell’acqua di mare all’interno della simulazione, abbiamo creato immagini mutevoli e dinamiche che permettono al pubblico di assistere a un ecosistema in evoluzione.

In Through Dawn (2023) attualizzi il pensiero di Walter Benjamin ponendo l’intelligenza artificiale al centro del dibattito sulla scomparsa dell’aura dell’opera d’arte nell’era della riproducibilità tecnica. Potresti spiegare cosa intendi per “rinascita dell’aura nell’era digitale”?

Questi lavori sono parte di una serie sviluppata durante la creazione di Jiayu*. Esplorano diverse trasformazioni: testo-testo, testo-immagine e forma, testo-coordinate spaziali 3D e testo-linguaggio.

La tecnologia è un linguaggio, non solo uno strumento. Quando si lavora con le GAN e le reti neurali come mezzi artistici, c’è un processo di familiarizzazione, proprio come quando si costruisce una buona collaborazione. Durante questo processo di conoscenza sono interessata a capire come la tecnologia prende strade diverse, regolandosi nelle varie fasi e forme.

Anche il lavoro per il controllo di Arduino durante i miei studi al Royal College of Art è stata una forma di collaborazione tra essere umano e macchina. Il microcontrollore aveva una piccola luce verde, a volte lampeggiante e a volte fissa, come segnale di comunicazione. Una delle mie esperienze più memorabili è stata progettare Soligami (2013), un lavoro che utilizza i dati solari per controllare otto fiori meccanici in tempo reale. Poiché ho usato otto LED RGB, avevo bisogno di tre schede Arduino Mega. Il mio tutor mi disse: “Se vuoi che tutti e otto i fiori rispondano ai dati contemporaneamente, questi tre controller devono comunicare tra loro”. Durante il processo di produzione, ho osservato le luci verdi sulle tre schede lampeggiare una dopo l’altra. Si scambiavano informazioni in un modo che non riuscivo a sentire.

Mi chiedo se l’“aura” di un’opera d’arte possa essere incorporata nell’evoluzione dinamica del suo modello algoritmico. In particolare, quando gli spettatori osservano il processo di generazione—ad esempio esaminando diversi output del modello nei log di training o interagendo con l’opera stessa—potrebbero percepire una sorta di aura immateriale che si estende oltre l’opera fisica.  Naturalmente, questa è solo una mia speculazione, ci vorrà molta più pratica e sperimentazione per esplorare veramente questo tema.

L’idea di percepire uno scambio di informazioni tra componenti tecnologiche ritorna nell’audio di Celestial Notes (2024). I volti delle figure umanoidi nell’installazione ricordano uno specchio. In che modo la metafora del riflesso ha influenzato il progetto? Più in generale potresti illustrare cosa ha ispirato l’opera?

Devo dire che ho considerato due opzioni per questo lavoro: uno schermo o uno specchio. L’idea di usare uno specchio era radicata nella metafora dell’IA come proiezione dell’umanità, proprio come lo specchio di Lacan, in cui l’autoriconoscimento è mediato da un riflesso esterno. Uno specchio avrebbe anche potuto invitare il pubblico a interpretazioni più aperte, ma alla fine ho scelto lo schermo per enfatizzare il processo di pensiero della macchina. Sullo schermo, l’opera visualizza l’attività dinamica della rete neurale mentre elabora i dati e calcola i risultati. Contemporaneamente, allena un modello sonoro, generando suoni in tempo reale. Il materiale di addestramento sonoro proviene dal segnale del modem dial-up. Sembra un rumore casuale, ma rappresenta uno scambio di dati ordinato che segue principi matematici e fisici. Questo segnale traccia il movimento delle informazioni e assomiglia a una simulazione della comunicazione umana con l’universo. Il pubblico sente ogni macchina articolare con la propria voce sintetizzata, mappando la propria interpretazione delle immagini che ha generato, quasi come se stesse narrando la propria percezione di sé.

La Scuola di Atene di Raffaello, invece, ha ispirato l’allestimento dell’opera. Non ho replicato le posizioni o i comportamenti esatti di ciascun personaggio; mi sono invece concentrata sulla composizione dello spazio e sui suoni —  attraverso l’autoriflessione e la valutazione di ogni macchina, lo spettatore può percepire il fluire di idee e pensieri diversi.

In una nostra conversazione precedente abbiamo menzionato il lavoro di Yuk Hui, il filosofo che introduce il concetto di Cosmotecnica come modo per superare la dicotomia tra tecnologia e natura e proporre una visione unitaria tra le due. Vedi qualche risonanza tra le sue idee e il tuo lavoro, in particolare in relazione alla tradizione estetica cinese in cui la nozione di Cosmotecnica è radicata?

Ho imparato la calligrafia cinese e la pittura tradizionale fin da bambina, dieci anni di pratica hanno fortemente influenzato il mio approccio ai nuovi media. Ad esempio, spesso creo effetti di particelle fluide che somigliano alla pittura a inchiostro. Non è qualcosa che faccio di proposito; credo sia una proiezione del mio pensiero. Questo ha portato ad interessarmi al rapporto tra la pittura paesaggistica cinese e la tecnologia, che è anche uno dei temi principali trattati da Yuk Hui in The Question Concerning Technology in China.

Da quello che ho visto nella media art, ci sono diversi modi in cui gli artisti lavorano con la tecnologia, a seconda del loro background e della loro esperienza personale. Ad esempio, ho notato che molti giovani artisti cinesi con una formazione internazionale mostrano spesso influenze miste. Diversi stereotipi vengono gradualmente messi in discussione e vengono esplorate forme ibride in cui convergono storie personali, memoria culturale e strumenti digitali. Inoltre, credo che il panorama della media art sta diventando più aperto, complesso e diversificato attraverso l’apprendimento e la collaborazione interculturale. Questa differenza non riguarda solo lo stile visivo. Come suggerisce Yuk Hui, deriva da orientamenti cosmotecnici più profondi, dal modo in cui culture diverse hanno concepito e utilizzato la tecnologia. La maggior parte degli strumenti digitali con cui lavoriamo oggi non solo forniscono funzioni, ma incorporano anche idee estetiche, come il controllo, la struttura e la simulazione. Gli artisti di altre tradizioni culturali potrebbero sperimentare questo come una traduzione o una negoziazione.

Per me, la pittura tradizionale cinese di paesaggio non è solo un’immagine della natura, è un modo per organizzare il tempo, lo spazio e la percezione. Funziona attraverso la presenza e l’assenza, il flusso e la connessione. Nel mio lavoro basato sull’intelligenza artificiale, cerco di portare questa logica nella macchina, non chiedendole di copiare immagini di paesaggi, ma addestrandola su funzioni e ritmi che riflettono questo modo di pensare. Non si tratta di un “trasferimento di stile”, ma di proporre un altro modo di creare immagini.

Simondon ritiene che la tecnologia non sia fissa, ma un processo in continua evoluzione. Yuk Hui introduce l’idea che attraverso l’auto-miglioramento e l’auto-regolazione, l’IA consente al materiale inorganico di creare giganteschi sistemi tecnologici come quello in cui viviamo ora attraverso le reti di computer. Questo mi porta a una domanda: l’intelligenza artificiale potrebbe evolversi come l’inchiostro che scorre sulla carta, con la sua evoluzione modellata dal tempo, dal materiale, dall’ambiente e dalla ponderazione?

Liu Jiayu è un’artista multimediale che vive tra Pechino e Londra. Le sue installazioni esplorano il rapporto tra l’essere umano, natura e tecnologia attraverso sistemi basati sui dati e i processi generativi. Liu crea opere che riflettono sulla percezione, la trasformazione e l’estetica dell’informazione. Dal 2023 ha sviluppato Jiayu*: un sistema di co-creazione di intelligenza artificiale addestrato sulle sue opere, per esplorare la percezione delle macchine e le strutture cognitive emergenti nella creatività algoritmica. Il suo lavoro è stato esposto in istituzioni internazionali come il V&A, la Saatchi Gallery, lo York Art Museum, il CAFA Art Museum, l’OCAT e l’UCCA Edge di Shanghai e in importanti biennali, tra cui Venezia, Guangzhou, Shenzhen e Hong Kong. Liu Jiayu ha anche collaborato con diversi istituti di ricerca scientifica e aziende digitali.

immagini: (cover 1) Liu Jiayu, «Waves of Code», 2023, Copyright: Jiayu Liu Studio (2) Liu Jiayu, «The Side Valley», 2018, Copyright: Jiayu Liu Studio (3) Liu Jiayu,« GIF with pictures of clouds taken for The Side Valley», 2018, Copyright: Jiayu Liu Studio (4) Liu Jiayu, «Streaming Stillness», 2022, Exhibition View at Venice Biennale, Photos and Film by Mark Winterlin. Copyright: Jiayu Liu Studio (5) Liu Jiayu, «Still Garden # 2», 2024, immagini di mostra di 21 Studio, Copyright: UCCA (6) Liu Jiayu, «Through Dawn», 2024, Copyright: Jiayu Liu Studio (7) Liu Jiayu, «Celestial Notes», 2024, foto: Tao Zhang, Copyright: Jiayu Liu Studio (8) Liu Jiayu, «Celestial Notes», 2024, foto: Tao Zhang, Copyright: Jiayu Liu Studio

 

 

 

 

Tags: arsarshakecalligrafiacalligraphyGilbert Simondonintelligenza artificialeLiu JiayutechnologytraditionVeronica di GeronimoWalter Benjamin
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