In occasione della mostra Body Buildings, visitabile presso la sede di Pechino della Galleria Continua fino al 14 aprile 2025, Mario Cristiani, co-fondatore della Galleria, condivide riflessioni sul lavoro dell’artista e sulla continuità della sua ricerca sui corpi e lo spazio.
Dalle parole di Cristiani, che collabora da lungo tempo con Gormley e ne ha sostenuto il confronto con realtà non occidentale, si delineano le relazioni tra la sua opera e la Cina, così come la sensibilità dell’artista per le culture e filosofie dell’Asia, nata dai suoi viaggi in Medio Oriente per studiare il buddismo negli anni ’70.
Gran parte della produzione artistica di Antony Gormley esplora il corpo umano come veicolo di connessione tra l’individuo e lo spazio esterno. In che modo la mostra Body Buildings si inserisce in questo discorso e quali nuovi interrogativi solleva rispetto alle esposizioni precedenti?
Se posso esprimere la mia opinione, credo che la questione riguardi più lo spazio e i “corpi” che il corpo umano in sé. La domanda centrale è: qual è lo spazio dell’arte nell’universo? È una domanda che si pone in senso assoluto, anche se, ovviamente, è un essere umano a formularla. Per questo la questione può risultare, involontariamente, fuorviante.
La ricerca di Gormley non si limita a indagare il corpo umano, ma il suo essere “corpo di artista” e, in questo senso, spazio dell’arte. La sua riflessione si sviluppa attorno alla relazione tra spazio, materia e arte, in rapporto al nostro essere sia fisici che mentali all’interno dell’universo. Il suo è uno sguardo rivolto più all’essenza che all’apparenza. Più che l’aspetto esteriore, il suo interesse si concentra sulla dimensione interiore. Le sue opere non rappresentano semplicemente il corpo, ma rendono evidente che ogni individuo è uno spazio e che esistono relazioni tra spazi.
La scultura e il modo in cui viene collocata nello spazio, sia esso chiuso o aperto, dimostrano che il “corpo” non può essere rappresentato in senso tradizionale, ma che, attraverso di essa, possiamo percepirci come uno spazio in movimento. La scultura diventa lo strumento per misurare la nostra alterità rispetto a essa. Il lavoro di Gormley ci aiuta a prendere consapevolezza del nostro potenziale nel relazionarci con gli altri spazi, siano essi interiori o esteriori.
Con la mostra Body Buildings, Gormley porta avanti elementi di continuità rispetto alle sue ricerche precedenti, ma introduce anche nuovi aspetti, in particolare nel rapporto tra scultura e disegno a china. Un tema centrale è la relazione tra i corpi, sviluppata in seguito all’esperienza della pandemia di COVID-19 e ai limiti imposti alla mobilità e al contatto fisico tra estranei.
Un altro elemento significativo è la scultura doppia realizzata per la prima volta nella mia galleria di San Gimignano. Qui, Gormley ha esplorato la relazione tra due corpi che si sostengono a vicenda, che si compenetrano, evidenziando la necessità reciproca per mantenere una posizione aperta e connessa. Questo concetto è visibile anche nell’opera Double (2014), in cui due figure si incrociano e si sorreggono, oppure nella scultura Circuit che rappresenta un’unica linea di connessione tra due corpi.
Questa ricerca segna un’uscita dall’autoreferenzialità, un aspetto sempre più presente non solo nel mondo dell’arte, ma nella vita di tutti i giorni. L’elemento dell’orizzontalità, fondamentale in questa mostra, si ritrova sia nelle opere come Resting Place II, sia nei disegni, manifestando un bisogno profondo di toccare e riconoscere il nostro “essere terra”. Questo si riflette anche nella materialità delle opere in ghisa, che ancorano le figure al suolo, rendendo evidente il legame con la materia e con lo spazio in cui si trovano.
L’opera principale in mostra, Resting Place II, propone un’immagine rovesciata della figura umana, solitamente raffigurata in modo totemico, sia dal punto di vista formale che metaforico. Qui, il corpo viene invece concepito come una dimora primordiale. Qual è la sua interpretazione di questo concetto e in che modo ritiene che si colleghi alle riflessioni esistenziali che attraversano l’opera di Gormley?
Mi permetto anche qui di offrire una chiave di lettura diversa. Le opere di Gormley non sono totemiche, ma piuttosto un’indagine sperimentale su come la nostra percezione ed emotività entrino in relazione con l’opera e, attraverso di essa, con noi stessi.
È vero che molti riconoscono il lavoro di Gormley come totemico, ma questa è solo una visione parziale della sua ricerca. Le sue opere, spesso caratterizzate da una posizione statica e massiccia, non sono mai statiche nel loro significato. Chiunque analizzi il suo lavoro con attenzione si accorge di come la sua ricerca si sia evoluta costantemente. L’aspetto totemico è solo una piccola parte del suo percorso.
Antony Gormley, sia come artista che come individuo attento alla vita e al mondo, ha sempre avuto una forte componente sperimentale ed empirica nello sviluppo della sua opera. Per questo la sua ricerca parte da sé stesso, dal suo essere lo “spazio dell’arte” nell’universo. Questo principio è alla base delle sue opere come domande aperte sul nostro essere cosmo.
Anche in questo progetto per Galleria Continua emerge una delle distinzioni fondamentali della sua ricerca: la differenza tra scultura e statua, una distinzione che segna ciò che è contemporaneo al di là del tempo e ciò che non lo è. Non tutte le statue sono sculture e non tutte le opere che chiamiamo sculture sono in realtà statue. Il fatto che le sue opere possano trovarsi in “posizioni ferme” non è un richiamo alla staticità, ma un invito ad aumentare la consapevolezza di chi le osserva e vi entra in relazione.
In questo senso, Resting Place II non è una celebrazione della forma umana, ma una riflessione sulla nostra presenza nello spazio. Gormley invita lo spettatore a osservare le sue opere da prospettive diverse: sdraiandosi accanto a esse, immergendosi tra le sculture in terracotta, osservandole dall’alto o camminandoci accanto. La percezione dell’opera cambia in base al punto di vista, rendendo ancora più intensa l’esperienza e la riflessione sul nostro potenziale, sospeso tra staticità e movimento.
Ricordo che all’inaugurazione della mostra, Antony stesso commentava con entusiasmo e sorpresa questa esperienza di percezione condivisa, sottolineando come le sue opere non debbano essere semplicemente guardate, ma vissute.
In mostra sono esposti disegni delle serie Singularity X e Lux, che rispettivamente richiamano la nascita della materia astrale e spazi interiori di luce e oscurità. Come queste opere dialogano con l’esplorazione del corpo e dello spazio presente nelle sculture?
Quando parlavamo di questa mostra con Stephen Greenblatt, mostrandogli il catalogo della precedente esposizione che avevo organizzato a Pechino, riflettevamo su come essa si ponesse in un rapporto di continuità e superamento rispetto alle ricerche precedenti.
Anche nella mostra del 2018 era presente un disegno che evocava l’inizio della vita sulla Terra, un racconto condiviso sia nelle tradizioni occidentali che in quelle orientali, in particolare cinesi. È come se, dopo il diluvio universale di Host, con il ritirarsi delle acque, si fosse dato inizio alla nascita delle città, attraverso gli stessi elementi – la terra e il soffio vitale – che nei testi sacri orientali e occidentali vengono indicati come gli elementi originari della vita.
La terra cotta rossa della Cina, così come quella di altre parti del mondo, con le sue componenti chimiche, testimonia il nostro essere parte di una stella, esseri viventi composti di materia cosmica. I disegni segnano la nostra forma e la nostra sospensione tra cielo e terra, rafforzando il legame tra l’invisibile e il tangibile, tra il vuoto e la materia.
La terracotta e il ferro, materiali impiegati per realizzare le opere in mostra, richiamano non solo il tema espositivo ma possiedono anche un profondo valore simbolico e culturale. La loro natura solida e poco malleabile sembra evocare una dimensione di resilienza e permanenza. In che modo vede una connessione tra la ricerca filosofica dell’artista e la scelta di questi materiali?
Penso di aver già risposto in parte nella domanda precedente, ma se potessi aggiungere qualcosa direi che la scelta di questi materiali, la loro semplicità ed essenzialità, così come la forma che Antony dà loro, esprimono forza e fragilità allo stesso tempo.
Le opere in terracotta non sono unite da altro che dalla forza di gravità, invitando il pubblico a riflettere su come si posiziona rispetto a questi elementi fragili e instabili. Un movimento sbagliato potrebbe far crollare e rompere un’opera.
Al contrario, le opere in ferro, pur pesando centinaia di chili, sembrano leggere nelle posizioni in cui l’artista le colloca nella galleria. Questo gioco tra peso e leggerezza è fondamentale nel suo lavoro e richiama una riflessione più ampia sull’esistenza.
Siamo fatti di materia, ma anche di immaginazione. Parafrasando Shakespeare, Antony sembra dire che “i nostri sogni sono fatti della materia delle stelle”. Il lavoro di Gormley, a mio avviso, esprime questa poesia.
Proprio per questo motivo, chiesi a Luca Massimo Barbero, massimo esperto mondiale dell’opera di Lucio Fontana, di curare il dialogo tra le opere di Fontana e Gormley nello spazio Olivetti alla Biennale di Venezia del 2022, in occasione della 59ª Esposizione Internazionale d’Arte. Tutto questo è anche raccontato negli scritti di Hou Hanru e Stephen Greenblatt nel catalogo in uscita per Skira.
Gormley ha instaurato un dialogo di lunga data con la Cina, avviato nel 1995 grazie al British Council, quando ebbe l’opportunità di visitare il Paese per creare una versione dell’opera Field dedicata al continente asiatico. In questo percorso, Galleria Continua ha svolto un ruolo significativo come ponte tra l’artista e il contesto cinese. Secondo lei, come si inserisce il lavoro di Gormley all’interno del panorama culturale e artistico cinese, e in che modo il pubblico cinese ha recepito e interpretato le sue opere nel corso degli anni?
Ti ringrazio per questa domanda, che Hanru ha ben raccontato nel suo saggio, incluso nel catalogo che sarà pronto per la prossima fiera di Hong Kong il 26 marzo. Io ho iniziato a lavorare con continuità con Antony Gormley a Pechino con la sua mostra del 2009, Another Singularity, nella galleria che ho co-fondato nel 1990 a San Gimignano. Ma conosco Antony direttamente dal 2004, quando partecipò al progetto no-profit dell’Associazione Arte Continua, di cui sono ancora presidente.
Il progetto si concluse con la donazione di sette sculture, realizzate con la partecipazione dei cittadini, che sono ancora oggi permanenti nello spazio della città. Queste sculture, come diceva lui, sono come spilli di agopuntura collocati simbolicamente nei punti nevralgici e sensibili del “corpo città”. I corpi pixelati dei cittadini che avevano partecipato al progetto erano un modo per creare una mappa psico-affettiva della città di Poggibonsi, nel progetto Arte all’Arte.
Fin dall’inizio, il suo lavoro ha avuto una dimensione ispirata alla capacità curativa dell’arte, in riferimento alla grande cultura medica della civiltà cinese.
Forse anche per questo motivo, Asian Field, realizzato nel 2003, oggi si trova al Museo M+ di Hong Kong. L’opera fu realizzata in terracotta con la partecipazione di circa 300 persone di tutte le età provenienti dal villaggio di Xiangshan, situato a nord-est della città di Guangzhou, nella provincia del Guangdong, in Cina. Insieme, hanno creato circa 200.000 piccole figure in terracotta, dando vita a una delle installazioni più significative di Gormley in Asia.
Gormley ha sempre dimostrato un profondo rispetto e conoscenza della cultura cinese. È forse per questo che il pubblico, dai visitatori ai collezionisti, lo ama così tanto anche in Cina.
Anche per questi motivi, uno dei miei sogni su cui sto lavorando da tempo è la possibilità di realizzare un suo progetto nella Città Proibita. Sarebbe un dialogo straordinario tra la storia millenaria della Cina e la ricerca di uno degli artisti più significativi del nostro tempo.
Antony Gormley. Body Buildingins, Galleria Continua, Pechino, Cina, 14.11.2024 – 14.04.2025
Antony Gormley (Londra,1950) è uno degli artisti contemporanei più influenti, noto per le sue sculture e opere pubbliche che indagano il rapporto tra il corpo umano e lo spazio. Formatosi in archeologia, antropologia e storia dell’arte al Trinity College di Cambridge, ha poi studiato scultura alla Central Saint Martins Collego of Art and Design e al Goldsmiths College. Il suo lavoro utilizza principalmente figure imponenti che interrogano la condizione dell’essere umano e la sua presenza nel mondo, avvicinandosi a questioni esistenziali e filosofiche.
Dopo aver ricevuto il Turner Prize nel 1994, Gormley ha consolidato il suo status di artista di fama internazionale. Negli anni è stato insignito di diversi premi e titoli onorifici, e le sue opere sono incluse in prestigiose collezioni pubbliche di tutto il mondo.
immagini: Antony Gormley, «Body Buildings», vedute della mostra, Galleria Continua / Pechino, 2024, Cortesia: l’artista e GALLERIA CONTINUA, Copyright: © l’artista,Fotografo: Huang Shaoli