Pensatore brillante e irrequieto, intellettuale ironico e autoironico, ricercatore imprevedibile il cui passo è in grado di bruciare il terreno del presente e di toccare gli orizzonti creativi del futuro, Piero Manzoni (Soncino, 13 luglio 1933 – Milano, 6 febbraio 1963) è figura luminosa che modella, in poco meno d’un decennio, strategie visive volte a creare una nuova misura dell’arte. Il suo è, difatti, un progetto che spinge lo sguardo al di là dei recinti chiari della rappresentazione per «scoprire il significato illimitato di uno spazio totale, di una luce pura e assoluta»[1].
Dopo alcuni senza titolo del 1953 e il disegno realizzato per Cleopatra di Carlo Simiani[2], dopo un periodo (siamo tra il 1956 e il 1957) dedicato a calchi cromatici, a figure antropomorfe, a forme espressive che investigano le radici dell’inconscio, a tele rivestite di catrame o a quadri ottenuti con l’impronta di oggetti quotidiani immersi nella vernice (bottoni, chiavi, forbici, pinze), dopo alcune radiose Ipotesi e dopo aver elaborato una serie di dichiarazioni[3] (di intenti progettuali), Manzoni spinge la riflessione tra le pieghe di un flusso linguistico che annulla ogni rapporto di colore e punta l’obiettivo estetico sulla purezza di un’arte come cosa mentale.
Domani chi sa (1956), Wildflower (1956), Milano et mitologia (1956), Tenderly (1957) e L’immagine interiore (1957), sono soltanto alcuni dei lavori che testimoniano questo impegno, questo primo cammino che è, per l’artista, matrice di un fascicolo teso a dimostrare che l’arte non è banale fenomeno descrittivo quanto piuttosto un procedimento scientifico di fondazione. Del resto, «sia che si tratti della rappresentazione di un oggetto, di un fatto, di una idea, di un fenomeno dinamico o no: un quadro vale solo in quanto è, essere totale: non bisogna dir nulla: essere soltanto; due colori intonati o due tonalità dello stesso colore sono già un rapporto estraneo al significato della superficie, unica, illimitata, assolutamente dinamica: l’infinibilità è rigorosamente monocroma, o meglio ancora di nessun colore […]»[4].
Sul finire del 1957, realizza, bruciando una serie di tappe, i suoi primi Achromes, delle superfici imbevute di colla e di «argilla bianca impiegata nella produzione della porcellana»[5] per corrompere definitivamente il quadro con l’intento di recuperare la superficie, il suo silenzio immacolato che coincide con la potenza espressiva del pensiero. «Il verificarsi di nuove condizioni, il proporsi di nuovi problemi, comportano, con la necessità di nuove soluzioni, nuovi metodi, nuove misure: non ci si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano: la trasformazione deve essere integrale» ha scritto in un testo pubblicato sul secondo ed ultimo numero di Azimuth.
Fine critico d’arte e penna brillante nel descrivere i vari ambienti culturali del proprio presente Manzoni accelera via via un processo che sgretola, sotto i colpi profondi dell’arte, ogni perbenismo estetico, che depura l’immagine dall’impasse di qualsiasi figura, che destituisce formalismo e conformismo a favore di una purezza assoluta che è l’idea stessa dell’artista. Fino a creare una nutrita e sofisticata direzione plastica che, a detta di Gillo Dorfles, porta l’artista a essere, «più d’ogni altro, anche più dello stesso Fontana (che per tanti versi lo anticipò), il vero precursore di quell’incontro-scontro tra oggettualità e concettualità; o, se vogliamo, tra oggetto e progetto, tra progetto an-oggettuale e oggetto concettuale»[6].
Nel 1959, oltre a portare avanti la ricerca sugli achromes, accanto all’avventura di Azimut e Azimuth (la galleria e la rivista) o alle varie manovre create assieme al Gruppo Zero[7], Manzoni presenta ad Albisola, la piccola Atene in riva al mare (Milena Milani), le sue prime Linee «chiuse in cilindri di cartone con un’etichetta manoscritta applicata che ne certifica l’autorità, una sola delle quali srotolata quasi didatticamente per tutti i suoi 19,93 metri»[8]. Si tratta di un nuovo colpo sparato con la forza del pensiero per sottolineare l’urgenza di raggiungere le illimitate possibilità dell’arte, di impadronirsi di sublimi simboli, anzi, forse dello spazio a una, a due, a tre, a quattro dimensioni eccetera, dell’orizzonte, dell’azimut (L. Borgese).
Creatore di mondi, di manovre volte a ripensare il vissuto quotidiano e a creare controicone in grado di dissipare il sistema mercantile dell’arte e i vari brani della pubblicità o dei mezzi di comunicazione e di (dis)informazione di massa, Manzoni costruisce una temperatura visiva che non solo si appropria della natura fisica della superficie ma velocizza il discorso per raggiungere i confini della pittura e creare uno spazio in cui il «tempo finalmente si fa visibile e contribuente anche dell’arte»[9].
Poi, il 3 maggio 1960, vengono fuori i primi Corpi d’aria, che spostano l’asse sul rapporto di fiducia che l’artista instaura con i suoi interlocutori, sull’apertura del creatore, sull’adesione «dell’acquirente all’identità, all’essenza, al pensiero dell’autore. È comprare Manzoni, non comprare un Manzoni»[10]. Sempre nel 1960 nasce la felice variante del Fiato d’artista e, a giugno, sono esposti nuovo Corpi alla Galleria Køpcke di Copenaghen, insieme ad Achrome, Linee e firma per la prima volta delle uova con l’impronta del proprio pollice. Sempre nel 1960, il 21 luglio, alle 7 di sera, si svolge a Milano una delle performance più famose dell’artista, Consumazione dell’arte, dinamica del pubblico, divorare l’arte: «una cerimonia rituale dove alcune uova sode firmate dall’artista sono consumate sul posto dal pubblico»[11]. Nello stesso periodo, grazie a Paul Gadegaard, Manzoni entra in contatto con Aage Damgaard, industriale proprietario della fabbrica di camice Angeli) che invita l’artista per un soggiorno a Herning. Nascono così, alcuni sorprendenti Corpi di luce assoluti, la Linea lunga 7200 metri, e tutta una serie di lavori (il Placentarium, «sala di proiezione pneumatica» per i balletti di luce di Otto Piene)[12], di idee, di Progetti immediati… perché le possibilità sono infinite.
Al 1961 risalgono le Opere Vive o Sculture viventi, le prime Tavole d’accertamento (pubblicate nel 1962, con il titolo 8 Tavole di accertamento per i tipi di Vanni Scheiwiller), le basi magiche e la Socle du Monde, le Carte d’autenticità (1961-1962) che consacrano all’arte qualsiasi persona lo desideri e le 90 scatolette di Merda d’artista che bucano definitivamente le trame del «prodotto confezionato, merceologicamente configurato»[13] e trasformano definitivamente il corpo dell’artista – il suo impronunciabile bisogno[14] – ad opera d’arte. Consapevole delle temperature culturali europee, Manzoni estroflette il proprio pensiero attraverso idee vincenti, nuove linee (quella lunga 1140 metri in cilindro metallico del 1962), nuovi progetti legati ad una libera dimensione dell’arte che non ha nulla da dire perché c’è solo da essere, c’è solo da vivere.
La recente mostra (a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo) organizzata a Milano negli spazi di Palazzo Reale (fino al 2 giugno), grazie all’importante coproduzione tra il Comune di Milano e Skira, in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni, mostra appieno questo suo inarrestabile percorso, questo processo camaleontico, questa tattica globale, questa lezione mossa da un irrinunciabile succès de scandale (Duchamp).
«Piero Manzoni 1933-1963», a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo, Palazzo Reale, Milano, 26.03-02.06.2014
Pubblicazioni recentemente uscite su Piero Manzoni: F. Gualdoni, Piero Manzoni. Vita d’artista (Johan&Levi), F. Pola, Una visione internazionale. Piero Manzoni e Albisola (Electa), P. Manzoni, Diario (Electa), F. Gualdoni, «Breve storia della Merda d’artista» (Skira)
[1] P. Manzoni, Libera dimensione, in «Azimuth», a. 1, n. 2, Milano, gennaio 1960, s.p. Ora anche in M. Meneguzzo, a cura di, Azimuth & Azimut. 1959: Castellani, Manzoni e…, cat. della mostra tenuta negli spazi del PAC – Padiglione Arte Contemporanea di Milano, dal 12 giugno al 15 luglio 1984, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1984.
[2] C. Simiani, Cleopatra, Giachini Editore, Milano 1954.
[3] Per la scoperta di una zona di immagini (dicembre 1956), L’arte non è vera creazione (maggio 1957), Prolegomeni a un’attività artistica (marzo 1957), Proposta per una pittura organica (maggio 1957), Per una pittura organica (giugno 1957) e il Manifesto di Albisola Marina (agosto 1957). per tali proponimenti si veda almeno l’importante F. Gualdoni, Piero Manzoni. Vita d’artista, Johan&Levi, Milano 2013. dello stesso autore si veda anche la recente Breve storia della “Merda d’artista”, Skira, Milano 2014.
[4] P. Manzoni, Libera dimensione, in «Azimuth», a. 1, n. 2, Milano, gennaio 1960, s.p. Ora anche in M. Meneguzzo, a cura di, Azimuth & Azimut. 1959: Castellani, Manzoni e…, cat. della mostra tenuta negli spazi del PAC – Padiglione Arte Contemporanea di Milano, dal 12 giugno al 15 luglio 1984, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1984.
[5] S. Cappelli, a cura di, Biografia di Piero Manzoni (1933-1963), in «pieromanzoni.org», linkato il 20 maggio 2014, ore 14.52.
[6] G. Dorfles, Piero Manzoni, in Piero Manzoni, cat. della mostra tenuta a Milano negli spazi della Galleria d’Arte Vinciana, dal 20 al 29 gennaio 1974, manca editore/tipografo, Milano 1974, s.p.
[7] F. Gualdoni, Piero Manzoni, cit., pp. 97-106.
[8] F. Gualdoni, Breve storia della «Merda d’artista», cit., pp. 8-9.
[9] V. Agnetti, Le linee di Piero Manzoni, cataloghetto della mostra tenuta negli spazi della Galleria Azimut, dal 4 al 21 dicembre 1959.
[10] F. Gualdoni, Piero Manzoni, cit., p. 155.
[11] S. Cappelli, a cura di, Biografia, cit., in «pieromanzoni.org», linkato il 20 maggio 2014, ore 20.41.
[12] G. Celant, a cura di, Piero Manzoni, Prearo, Milano 1975. Ora anche in F. Gualdoni, Piero Manzoni, cit., pp. 174-176.
[13] F. Gualdoni, «Breve storia della «Merda d’artista», cit., p. 34.
[14] S. Cagliano, L’insostenibile bisogno, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.
Immagini
(cover) Piero Manzoni 1933-1963 (Merda d’artista) immagine della mostra (1) Piero Manzoni, Socle du monde, 1961, ferro e bronzo, 82x100x100 cm, Heart, Herning Museum of Contemporary Art (2) Piero Manzoni, Achrome, 1961 circa, peluche, 19×20 cm, Courtesy FaMa Gallery, Verona (3) Piero Manzoni durante le riprese del cortometraggio Uova presso lo studio del filmgiornale S.E.D.I., Milano 1960. Fotografie di Giuseppe Bellone (filmato di Gianpaolo Macentelli) (4) Piero Manzoni, Corpo d’aria n. 06, 1959-1960, scatola in legno, contenente palloncino in gomma, tubo per gonfiare e piedistallo, 12,4×42,7×4,8 cm, Milano, Fondazione Piero Manzoni in collaborazione con Gagosian Gallery (5) Piero Manzoni firma una modella trasformandola in Scultura vivente, durante le riprese per il filmgiornale S.E.D.I., Milano 1961 (6) Piero Manzoni, Base magica – Scultura vivente, 1961, legno, 60×79,5×79,5 cm, Milano, Fondazione Piero Manzoni in collaborazione con Gagosian Gallery