Molte scoperte e invenzioni di portata storica sono avvenute assolutamente per caso ma, come diceva anche il biologo francese Louis Pasteur, «il caso favorisce solo le menti più preparate». E si può aggiungere le menti creative e le più libere da preconcetti, come quella di Man Ray, artista dalle tante sfaccettature – pittore, fotografo, grafico, regista – ed esponente della corrente Dadaista, famosa per la sua estetica stravagante e irriverente, apertamente in rotta con gli standard artistici dei primi anni del Novecento.
Rivendicando una nuova ed assoluta libertà creativa, artisti come Duchamp e Man Ray misero in campo, manipolarono e riproposero ogni materiale, concetto ed oggetto a loro disposizione. Tra i numerosi esperimenti ed i vari percorsi artistici se ne vuole segnalare uno in particolare, che ha preso il nome dal suo ideatore e ne ha caratterizzato il lavoro negli anni a venire. Si tratta della tecnica Rayografica.
Nei primi anni ’20 del Novecento Man Ray dedicò molta attenzione e molto tempo all’arte fotografica e alle sue possibili interpretazioni. Fu attraverso la manipolazione della carta fotosensibile e grazie alla sua attenzione ai dettagli, anche per quelli che comunemente erano considerati errori tecnici, che egli s’imbatté per caso, e poi decise di sviluppare – nel vero senso della parola – una propria tecnica fotografica, a cui infatti diede il nome di Rayogramma.
Racconta l’artista nella sua Autobiografia « […] Posavo semplicemente il negativo in vetro su una carta fotosensibile alla luce di una piccola lanterna rossa, poi per qualche secondo accendevo la lampada a soffitto e sviluppavo le stampe. Fu proprio praticando questo metodo di stampa che arrivai al mio processo ‘rayografico’, ovvero alla fotografia senza macchina fotografica. Un foglio di carta sensibile intatto, finito inavvertitamente tra quelli già esposti con sopra il negativo […] era stato sottoposto al bagno di sviluppo. Mentre aspettavo che comparisse un’immagine, rimpiangendo lo spreco di materiale, con un gesto meccanico poggiai un piccolo imbuto di vetro, il bicchiere graduato e il termometro nella bacinella sopra la carta bagnata. Accesi la luce: sotto i miei occhi cominciò a formarsi un’immagine. Non una semplice silhouette degli oggetti, ma un’immagine deformata e rifratta dal vetro, a seconda che gli oggetti fossero più o meno in contatto con la carta, mentre la parte direttamente esposta alla luce spiccava come in rilievo sul fondo nero. […] Avevano un aspetto straordinariamente nuovo e misterioso (Man Ray, Self Portrait, 1963)».
La tecnica inventata e perfezionata nel tempo dall’artista consiste quindi nell’esporre oggetti a contatto con la carta fotografica, ed il risultato è molto simile – visivamente – ad una radiografia. In questo caso però l’immagine non mostra la struttura interna degli oggetti, ma una natura «altra», non governabile dall’uomo e per questo, appunto, misteriosa.
Esistono varie pubblicazioni di esperimenti rayografici di Man Ray, ma la raccolta di 12 opere del George Eastman House di New York, il più antico museo del mondo dedicato alla fotografia, conserva immagini che testimoniano i vari passaggi di questo percorso artistico, mescolando diversi oggetti in un lasso di tempo di un paio di decine di anni.
Nell’osservarle è spontanea la ricerca di familiarità con oggetti che ci circondano. Si riconoscono ad esempio una pistola in una, un rullino di fotografie in un’altra. Ma i rayogrammi si celano in giochi di luce, contorni e ombre, in cui ognuno ricerca la propria definizion. Perché, come dice Ray: «Colte nei momenti di distacco visivo, durante periodi di contatto emozionale, queste immagini sono ossidazioni di desideri fissati dalla luce e dalla chimica, organismi viventi.». Vi invitiamo a scorrere le opere di Man Ray della collezione George Eastman House sul sito del museo.
Immagini (cover) The George Eastman House International Museum of Photography and Film, the World’s oldest photography museum. (1) Man Ray and Salvador Dali. Photo by Carl Van Vechten, photo via