Arshake è lieta di rilanciare un saggio su pensiero poesia e scrittura nell’era tecnologica di Brunella Antomarini, Professor di estetica e filosofia contemporanea alla John Cabot University, Roma. Il saggio è originariamente apparso sulla rivista “Smerilliana. Semestrale di civiltà poetiche” (Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in “Smerilliana”, n.17 2015, pp. 275-90) ed è qui tradotto in inglese (con la traduzione di Francesco Caruso) e ri-pubblicato in sette puntate settimanali.
Ne La grande beuverie, Réné Daumal descrive due tipi di poeti, i Pwatt, uno passivo, che si ispira e pensa e si tormenta finché non partorisce i suoi versi; l’altro attivo, che ha nel cranio una minuscola ‘macchina poetica’, sferica e piena di migliaia di lame di alluminio, che hanno incisa ognuna una parola diversa. La macchina ruota per via dell’energia del pensiero e ogni tanto lascia cadere una parola da un’apertura fino a formare delle frasi.
Il pensiero non è indifferente alle tecnologie che inventa e che finiscono per investirlo. E la scrittura è una di queste tecnologie e come si modifica la tecnologia si modifica anche il pensiero. E’ un dispositivo che rileva le sue proprie condizioni d’uso e, come ogni altro attrezzo, dalla leva in poi, richiede agli organismi che lo usano di modificarsi e aggiustarsi su di lui. Ogni attrezzo infatti usa gli utenti come strumenti del suo funzionamento. La scrittura, da aide mémoire è diventata fissazione di concetti e occasione di pensieri inferenziali espliciti, cioè scritti e rilevati, invece che efficaci e inconsci. E’ da qui che poi ha preso un’autonomia. Ha un carattere ‘emergente’ – nel senso che organizzando la materia del pensiero in una sua forma propria, prende delle caratteristiche che mancano ai suoi componenti.
Dunque è la tecnologia che decide della scrittura e quindi del pensiero. Per questo per lo scrittore ogni parola è un grande problema, anche se si trattasse del buon giorno e del come stai. Non mette nero su bianco prima di averla soppesata, sperimentata, testata nella resistenza, provata nella permeabilità o impermeabilità, nella forza o nella vulnerabilità. Non la usa per esprimere, ché esprimere vorrebbe dire avere un dentro sostanziale da portare fuori (un punto esclamativo non è l’espressione di emozione. La sostituisce). Piuttosto ogni parola – addirittura ogni sillaba, secondo Amelia Rosselli – deve reggersi da sola, tende a privare l’autore di se stesso, anzi lo libera da se stesso; non è il correlativo oggettivo di un autore ma autrice di se stessa, che funziona solo se mostra sé, solo se si auto-fa, tramite lo scrittore. Come non ci si guarda vivere, così lo scrittore non si guarda scrivere.
Se poi questo lavoro di misurare e soppesare lo fa ogni scrittore, in particolare lo fa il poeta, perché lo ‘spazio metrico’ (ancora Amelia Rosselli) è pura auto-esibizione del potere delle parole che è formativo o prefigurativo o addirittura produttivo di quello che prefigura, se interviene attivamente a plasmare o distorcere, aggiungendosi nel mondo come una presenza che prima non c’era.
Il poeta lasciato solo con il suo spazio è per questo il paradigma di una modalità del pensiero che forse è ora di sostituire a quella intellettuale, della riflessione e dell’analisi – troppo cariche di riferimenti storici, culturali, bibliografici – o anche a quella dei movimenti letterari o d’avanguardia, obsoleti, eredità manieristiche del XX secolo, delle sue guerre mondiali perdenti e guerriglie vincenti, dell’allinearsi degli artisti a quel bisogno maschile di aggressione in difesa delle femmine (cioè dell’economia). La scrittura, nel passaggio dall’inchiostro (manualità e ritmo organico) alla macchina da scrivere (digitale meccanico e ritmo meccanico) al computer (digitale elettronico e ritmo macchinico) richiede sue modalità di auto-costruzione con cui il poeta si sintonizza.
…to be continued…
Questo scritto è originariamente apparso sulla rivista “Smerilliana. Luogo di civiltà poetiche” (Pensiero poesia scrittura in feed back loop, in “Smerilliana”, n.17 2015, pp. 275-90) ed è qui rilanciato, tradotto in inglese (con la traduzione di Francesco Caruso) e ripubblicato in sette puntate. “Smerilliana” è stata ideata da Enrico D’Angelo, nel gennaio 2003, nelle Marche.
Inizialmente a periodicità semestrale, in seguito ogni volume di “Smerilliana” è divenuto un luogo di civiltà poetiche, completato dalle collane “I poeti di Smerilliana” e “Mosaico”. Al suo apparire, Giovanni Raboni la segnalò, scrivendone sul “Corriere della Sera”, come la pubblicazione poetica più aperta e interessante del panorama italiano.
“Smerilliana” prosegue, idealmente, il lavoro del semestrale letterario “Plural” (fondato e diretto da D’Angelo a Napoli, nel lustro1986-91), perseguendo il movimento, come lo definì l’orientalista Rahim Raza, della pluralità di stile e ricerca.
immagini: Nanni Balestrini, “Type Mark I”, 1961, poesia elettronica realizzata con IBM 7070, qui ricostruita e riprodotta in un moderno computer dal Museo dell’Informatica Funzionante. Il piccolo box/TV di legno (realizzato da Emiliano Russo del MIAI, Gabriele Zaverio del MusIF e da Vittorio Bellanich) riproduce su un tubo catodico in bianco e nero le poesie generate dal software (ricostruito da Emiliano Russo).