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Home News Focus

Litografia Bulla

Un viaggio di duecento anni tra arte e tecnica.

Giulia Perugini by Giulia Perugini
25/06/2018
in Focus
Litografia Bulla

Jpeg

All’alba del XIX secolo, in un clima di generale rinnovamento legato in particolare alla Prima Rivoluzione Industriale, il mondo dell’arte viene investito da nuove freschezze stilistiche, che, per rispondere alle esigenze di una società in iperbolica espansione, si aprono alla sperimentazione e alla consequenziale messa a punto di nuove tecniche produttive meccanizzate. La nascita della litografia (ad opera di Alois Senefelde, nel 1796) e la fioritura di laboratori artigianali per la composizione e la stampa, come quello della famiglia Bulla – aperto a Parigi e Roma rispettivamente nel 1818 e nel 1841[1] – trasforma radicalmente l’universo della pubblicità e della grafica d’arte, anticipando lo spirito di un’arte sempre più democratica, dedicata al grande pubblico e interessata alla vita quotidiana.

La mostra Litografia Bulla. Un viaggio di duecento anni tra arte e tecnica, ospitata nella sede dell’Istituto centrale per la grafica (Palazzo Poli, via Poli 54, Roma) fino al 1 luglio, ripercorre i momenti salienti di una delle più antiche stamperie di Roma ancora in attività, con un impianto narrativo che prende per mano lo spettatore e lo accompagna all’interno di un ampio percorso espositivo suddiviso in due piani il cui intento, sottolinea il curatore Claudio Zambianchi «non è tanto quello di costruire attraverso l’attività dei Bulla, una storia dell’arte a Roma […] quanto di comprendere in che modo la stamperia si sia intrecciata con quella vicenda e ne sia stata parte attiva»[2].

La prima sezione, tripartita, affianca alla presentazione degli strumenti concreti del mestiere (necessari ad aiutare il pubblico a comprendere alcune specificità tecniche) l’esposizione di macchinari, fotografie d’epoca e documenti storici, per contestualizzare filologicamente e ricostruire scientificamente l’operato della stamperia nel suo primo secolo di attività. Il primo piano, le cui finestre si affacciano sulla neorestaurata fontana di Trevi, è dedicato invece ai lavori dell’ultimo settantennio, quando, prima con Roberto e poi con Romolo e Rosalba Bulla, la stamperia decide di occuparsi prevalentemente di stampe d’arte[3]. La grande dedizione e l’accuratezza del lavoro, uniti alla posizione strategica della sede (in via del Vantaggio, a un passo da Piazza del Popolo, centro dei risvolti più frizzanti e innovativi dell’arte romana degli anni Cinquanta e Sessanta), determinano la grande fortuna della stamperia, ora uno degli ultimi e più preziosi baluardi della grafica d’arte nazionale. Come tanti pezzi di un puzzle temporale, il cui più antico tassello risale agli anni Quaranta, le opere esposte ricostruiscono una storia dell’arte polifonica e corale da un punto di vista che ribalta le prospettive e prende in esame la relazione indispensabile e insostituibile dell’artista con una professionalità artigianale e mediatrice, il cui compito è di tradurre «in forma passandola al vaglio di modalità operative sistematiche, dettate da un sapere storico, sedimentatosi nel tempo»[4], l’immaginazione dell’artista.

Tra le opere in mostra è impossibile non notare i vari Jannis Kounellis, le sperimentazioni litografiche con Forma 1, il gruppo Origine, la Scuola di Piazza del Popolo e il gruppo del Pastifcio Cerere, ma anche quelle con Mirella Bentivoglio, Bice Lazzari, Piero Guccione, Franco Sarnari, Eugène Berman, Alberto Savinio e Giorgio de Chirico. A tempi più recenti appartengono invece i primi progetti di Romolo e Rosalba Bulla, che insieme a Enrico Pulsoni e Roberto Pace riflettono sul libro d’artista, introducono la xilografia in stamperia e dal 1989 portano avanti un’attività sempre più internazionalizzata, che attira l’attenzione di artisti come Enzo Cucchi, Gianni Dessì, Giacinto Cerone, Mimmo Palladino, ma anche di André Masson, di Antoni Tàpies, Carl Andre (di cui Romolo è anche testimone di nozze insieme a Sol LeWitt), David Salle, Jim Dine.

Frutto di un progetto nato in seno al corso di Paolo Serafini della Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici della Sapienza, la mostra ha permesso inoltre a sette giovani storiche dell’arte (Marta Maria Caudullo, Federica De Giambattista, Giulia Papale, Francesca Petito, Patrizia Principi, Eva Scurto, Marta Variali) di affiancare Claudio Zambianchi nelle operazioni di curatela, trasformandosi a sua volta (e forse riflettendo un po’ anche lo spirito che ha caratterizzato e caratterizza tutt’ora i fratelli Bulla) in una ulteriore palestra di sperimentazione, in una rampa di lancio per giovani talenti emergenti.

[1] M. M. Caudullo, Un secolo di litografia tra Parigi e Roma, in C. Zambianchi, a cura di, Litografia Bulla. Un viaggio di duecento anni tra arte e tecnica, cat. della mostra, Treccani, Roma 2018, pp. 62-67.

[2] C. Zambianchi, Roberto, Romolo e Rosalba Bulla: due generazioni di stampatori a Roma, ivi, p. 17.

[3] F. De Giambattista, Nuovi sviluppi nel secondo dopoguerra: Robert Bulla e il rapporto con gli artisti, ivi, p. 122.

[4] C. Zambianchi, Roberto, Romolo e Rosalba Bulla: due generazioni di stampatori a Roma, ivi, p. 19.


«Litografia Bulla. Un viaggio di duecento anni fra arte e tecnica», a cura di Claudio Zambianchi, Istituto Centrale per la Grafica, Roma
fino al 30 giugno, 2018

immagini (tutte): «Litografia Bulla. Un viaggio di duecento anni fra arte e tecnica», Istituto Centrale per la Grafica, Roma, 19.04 – 30.06.2018, exhibition view

Tags: arsarshakeClaudio Zambianchi
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