Entrare nella sala del Romaeuropa Festival per assistere a “Quello che non c’è” è stato come immergersi in un mondo dove passato, presente e virtualità si fondono in un racconto intenso e fragile. L’opera di Giulia Scotti, intima e riflessiva, esplora i legami familiari e le memorie non vissute in prima persona ma filtrate dall’immaginazione e dal dolore.
Dal primo momento, le proiezioni in bianco e nero dei disegni di Scotti mi hanno catturata: il dettaglio delle linee, interrotte qua e là da tocchi di rosso, sembravano dare corpo a una trama emozionale tanto viscerale quanto indefinita, come frammenti di ricordi che non ci appartengono. Accanto a me, spettatori silenziosi, anch’essi sospesi tra ciò che vedevano e ciò che percepivano.
La vera efficacia dello spettacolo risiede nella sua intermedialità: Scotti non racconta una storia con parole ma con un linguaggio ibrido, dove ogni elemento contribuisce a costruire un’esperienza sensoriale complessa. Le proiezioni dialogano con la voce della performer, creando un flusso continuo di immagini e suoni che amplificano il senso di perdita e assenza. La musica di Lemmo, sintetica e avvolgente, si intreccia alle immagini, rendendo ogni istante immersivo e indimenticabile.
L’interazione tra virtuale e fisico emerge come un atto di elaborazione e riconciliazione, dove Scotti, toccando le immagini proiettate, sembra cercare di afferrare ciò che non può avere. Questo gesto amplifica il senso di tensione e vulnerabilità, come se lo spettatore fosse testimone di un’intima lotta interiore, spinto a riflettere sui propri ricordi perduti o mai vissuti.
“Quello che non c’è” si rivela così non solo una performance, ma un viaggio introspettivo e collettivo, dove il non-detto diventa tangibile e la memoria si fa materia digitale e corporea.
Tutto è intriso di un sentimento di perdita, un’assenza che non lascia tregua e si manifesta nell’atto di toccare, come a voler riempire un vuoto. “Quello che non c’è” non è solo la storia di un’assenza, ma anche un’esplorazione sulla memoria: quanto di ciò che crediamo di ricordare è realmente vissuto, e quanto invece ci è stato trasmesso? Scotti riesce a porre queste domande con una sensibilità rara, senza risposte ma con la forza della sua presenza scenica.
Lascio la sala e porto con me quella domanda sospesa, una traccia di ciò che era e non era: proprio come i ricordi, sfuggenti e potenti, che questo spettacolo ha saputo evocare.
Lidia De Nuzzo, 3 ottobre 2024
immagini (tutte): Giulia Scotti, Quello che non c’è, Romaeuropa Festival 2024, foto: Carlo Scotti
Giulia Scotti, Quello che non c’è, Romaeuropa Festival 2024 (rassegna Anni Luce), Mattatoio, Roma, 02.03.10.2024
L’articolo di Lidia De Nuzzo è parte del progetto editoriale Intraspaces, sesta edizione di Backstage /Onstage, nato da una partnership tra Accademia di Belle Arti di Roma, Romaeuropa Festival, e Arshake per portare, dal 2018, un gruppo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma dietro le quinte del Romaeuropa Festival. Ogni anno ne è nato un progetto editoriale diverso per confluire nella pagina dedicata che cresce come unico grande archivio. L’edizione 2024, Intraspaces, si avventura negli spazi intrastiziali, ovvero tutti quei luoghi di connessione che mettono in relazione tecnologie, artisti, spazio, spettatori, a volte estendendosi anche al territorio, dove le diverse istituzioni che questo evento riesce a coinvolgere sono collocate. Hanno partecipato a questa edizione: Giovanni Bernocco, Daniele Bucceri, Stella Landi, Lidia De Nuzzo, Francesca Pascarelli, Anton Tkalenko. Visita qui la homepage del progetto e l’archivio delle edizioni passate.