Torna a Forlì la nona edizione di Ibrida, festival diretto da Davide Mastrangelo e Francesca Leoni, duo di video artisti che ogni anno mette da parte il suo lavoro per dare spazio a colleghi, ricercatori, artisti multimediali e pubblico, invitati in un contesto vivo, un network che diventa ogni anno più ricco e un evento che cresce costantemente con nuove progettualità e realtà coinvolte. Anche durante il periodo di pandemia sono riusciti a non arrestare il settore più colpito dal fermo mondiale. Quest’anno il Festival torna nuovamente arricchito. Ne parliamo con Davide Mastrangelo e Francesca Leoni in persona, in attesa di raggiungere Forlì il 2 settembre per l’apertura della mostra di Francesca Fini, a cura di Bruno di Marino alla Fondazione Bruno Zoli e dal 20 al 22 per i tre intensissimi giorni dedicati al festival, tra installazioni, video proiezioni e incontri.
Elena Giulia Rossi: Ibrida Festival è ora alla sua nona edizione. Ogni anno il festival è cresciuto in tutte le direzioni, in numero dei partecipanti, in varietà di eventi, di realtà internazionali e luoghi coinvolti sul territorio. Quali sono le novità di quest’anno?
Francesca Leoni e Davide Mastrangelo: Il tema di questa nona edizione è Artificial Reality. Siamo cresciuti gradualmente negli anni aggiungendo qualcosa di significativo e importante a ogni edizione, questo ci ha permesso di andare avanti senza grossi inciampi. Organizzare un festival durante il periodo Covid è stato difficile, ma dobbiamo dire che anche quella edizione ci ha insegnato molto.
Lo scorso anno, siamo diventati un vero e proprio festival, istituendo il premio Ibrida Video Art Prize. La grande novità di quest’anno è che i premi diventano due: uno per la videoarte internazionale e uno dedicato esclusivamente alla videoarte italiana. L’unicità di questi due premi risiede nell’acquisizione dell’opera, che entrerà a far parte della collezione internazionale Alfredo Hertzog, in un Paese -l’Italia- dove la videoarte è ancora poco venduta.
Siamo felici di ritornare, dopo anni, nel luogo che ha ospitato le nostre prime edizioni: a Fabbrica delle Candele di Forlì. Questo spazio accogliente, che abbraccia il pubblico grazie alla sua particolare conformazione, ospiterà due sale di proiezioni di videoarte, installazioni interattive e live performance. Il programma di quest’anno è particolarmente ricco, il pubblico potrà fruirlo liberamente muovendosi nei vari spazi del festival. Infine, saremo presenti anche in altri luoghi della città, come Capostrino per i talk, e la Fondazione Dino Zoli con una mostra.
Il festival nasce dalla vostra passione per la video arte e per le immagini in movimento. Avete però sempre esteso questo interesse ai linguaggi ibridi. In una nostra intervista pubblicata su Arshake nel 2020 raccontavate come l’espressione ‘linguaggi ibridi’ fosse raramente utilizzata quando avete fondato il festival nel 2015 e come stesse iniziando ad entrare nel linguaggio artistico proprio in quegli anni. Oggi sentite di aggiungere altro rispetto ai cambiamenti di significato associati a questo termine?
Il festival nasce dalla nostra passione per la videoarte, sia come spettatori che come videoartisti. Abbiamo realizzato diversi lavori che hanno partecipato a festival nazionali e internazionali, i quali, per ragione di equità, non abbiamo mai inserito all’interno del nostro festival. Come artisti, sentivamo l’esigenza di divulgare la cultura della videoarte e delle arti digitali. Essendo noi stessi artisti intermediali, è stato naturale dirigersi verso questa direzione. Il concetto di “intermedialità” si riferisce all’integrazione e alla combinazione di più forme d’arte e media all’interno di una singola opera, creando così un dialogo tra linguaggi espressivi diversi. Questo approccio si è evoluto nel tempo, e oggi si parla frequentemente di ibridazione dei linguaggi. Quando abbiamo iniziato, questa espressione era ancora poco diffusa; ora, tutto sembra essersi ibridato. Il nostro focus attuale è quello di proporre le nuove ibridazioni, quelle che emergono ogni anno grazie all’avvento di nuovi strumenti e tecnologie, come l’Intelligenza Artificiale.
Non siamo un festival che guarda al passato, che comunque conosciamo e rispettiamo, ma ci focalizziamo prevalentemente sul presente. Il nostro scopo è esplorare e promuovere le nuove forme di espressione che nascono dall’intersezione tra arte e tecnologia. Questo rende il nostro festival un luogo di scoperta e innovazione, dove le nuove tendenze artistiche trovano spazio per essere esplorate.
Quali sono state le vostre scelte rispetto ai lavori installativi che quest’anno si aggiungono a quelli di videoarte?
Dal 2022 abbiamo introdotto la sezione dedicata alle installazioni, riscontrando un ottimo successo di pubblico. La nostra scelta è sempre stata quella di includere lavori che avessero il video come elemento centrale, in linea con la filosofia del festival, ma che coinvolgessero anche in qualche modo lo spettatore. Abbiamo installazioni interattive e di realtà virtuale. Lo scorso anno, Igor Imhoff ha presentato Nova Reflexa, un’installazione modulabile basata sull’Intelligenza Artificiale che scatta una foto e la rielabora secondo un algoritmo studiato ad hoc, trasformandola in un’opera d’arte. Questo lavoro è stato poi riproposto, in collaborazione con il Comune di Forlì, nel centro della città durante tutto il mese di dicembre, con un nuovo concetto: “diventa un’opera d’arte,” questa volta richiamando l’estetica del ‘900.
Quest’anno le installazioni saranno diversificate e tecnologiche: abbiamo un’installazione di opere NFT curata da Kika Nicolela, Reformed A.I. n.13 (The eternal diving of human condition), (VR) di Lino Strangis, Posthuman Regeneration di SVVCY. La novità di questa edizione è You are the ocean di Ozge Samanci, installazione interattiva che permette ai partecipanti di controllare un oceano simulato digitalmente utilizzando solo le onde cerebrali. Il partecipante indossa una cuffia EEG (elettroencefalografia) che misura i livelli approssimativi di attenzione attraverso le onde cerebrali. Tale dato influisce sulla turbolenza: con una maggiore concentrazione le onde si alzano e le nuvole si addensano. Calmandosi, il soggetto può creare un oceano tranquillo.
Troviamo quest’anno un ampliamento significativo delle vostre collaborazioni. Come stanno incidendo nell’evoluzione dell’identità di Ibrida?
La collaborazione con altri Enti, fondazioni e festival è sempre stata un elemento fondamentale del nostro percorso, non solo come opportunità di arricchimento, ma anche come mezzo per far circolare e valorizzare le opere. Quest’anno siamo particolarmente entusiasti di aver stabilito numerose collaborazioni con festival nazionali e internazionali.
Tra queste, Over The Real, festival di videoarte a Lucca, curato da Maurizio Marco Tozzi, Lino Strangis e Veronica D’Auria. Questo scambio non riguarda solo le opere, ma anche le giurie: Veronica D’Auria farà parte della nostra giuria, mentre uno di noi sarà membro della giuria del loro premio. Questo tipo di collaborazione dimostra l’importanza della condivisione di competenze e prospettive diverse, fondamentale per l’arricchimento reciproco dei festival.
Un altro importante partenariato è quello con Image Play (Portogallo), con cui abbiamo sviluppato uno scambio di opere e presentazioni. Il loro direttore artistico, Hernando Hurrutia, verrà a Forlì per presentare il suo festival, e noi avremo l’opportunità di raccontare Ibrida Festival al loro evento a novembre. Questo tipo di collaborazione internazionale è cruciale per espandere la portata e l’influenza della videoarte a livello globale, facilitando l’interazione tra diverse culture.
Inoltre, siamo fieri della collaborazione con The Next Generation Short Film Festival di Bari, con cui continuiamo a scambiare opere. Quest’anno, la nostra cooperazione si estende anche a Timeline Belo Horizonte (Brasile), che presenterà due selezioni di video. Stiamo sviluppando una rete internazionale di festival per promuovere e sostenere l’innovazione nel campo della videoarte.
Infine, la collaborazione con la Fondazione Dino Zoli negli ultimi due anni ha rappresentato un ampliamento significativo a livello territoriale. Questo percorso è iniziato lo scorso anno con la mostra Animagia di Virgilio Villoresi curata da Bruno Di Marino e continua quest’anno con la mostra BODY (S)CUL(P)TURE di Francesca Fini. La collaborazione con la Fondazione ci permette di esplorare più a fondo il lavoro di artisti vicini al nostro festival e di estendere la fruizione delle opere da parte del pubblico. La mostra, infatti, inaugurerà il 2 settembre e proseguirà fino al 13 ottobre, in coincidenza con la Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI.
Nell’intervista con Michele Pascarella per la rivista Gagarin (La videoarte che ci ha nutrito, da Marina Abramović a Bill Viola. Conversazione con Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, 17.07.2024), sono emerse vostre riflessioni rispetto alle 500 opere ricevute in risposta all’open call. Avete notato, infatti, come Belgio e Brasile siano risultati come i paesi più attenti alla video arte individuandone le ragioni rispettivamente in buone pratiche di finanziamento (Belgio) e di una cultura sempre attenta alla video arte come strumento di espressione politica (Brasile). Cosa manca ancora all’Italia perché l’attenzione verso i nuovi linguaggi del contemporaneo, tra cui il video, possa crescere anche in termini di sostegno ai loro autori?
Quello che manca veramente non sono gli artisti, ma contributi economici concreti. Anche in una regione virtuosa come l’Emilia-Romagna, esistono diversi finanziamenti per la produzione di opere cinematografiche, purtroppo non per la videoarte. Questa mancanza di supporto economico evidenzia una sfida cruciale: è necessario abituare sia il pubblico che le istituzioni a questo tipo di linguaggio artistico. La videoarte ha un potenziale immenso per raccontare storie contemporanee e stimolare riflessioni profonde, sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie.
Esistono, tuttavia, eccezioni che confermano la regola: alcune istituzioni in Italia stanno facendo passi avanti significativi in questo campo. Un esempio importante è il lavoro del MEET Digital Culture Center di Milano, guidato da Maria Grazia Mattei. Il MEET si dedica alla promozione della cultura digitale e della videoarte, attraverso una programmazione che include mostre, conferenze e workshop, con l’obiettivo di avvicinare il pubblico alle nuove forme di espressione digitale. Il centro è diventato un punto di riferimento per artisti e appassionati, offrendo uno spazio dove esplorare le intersezioni tra arte, scienza e tecnologia.
Un’altra realtà rilevante è il MAST di Bologna, che ha recentemente dedicato un’intera mostra alla videoarte: Vertigo – Video Scenarios of Rapid Changes. Il MAST è noto per il suo impegno nella promozione delle arti visive legate alla fotografia e all’immagine in movimento, la sua ultima esposizione ha contribuito a rendere la videoarte accessibile a un pubblico più ampio. Queste iniziative sono cruciali non solo per educare il pubblico a nuovi linguaggi artistici, ma anche per attirare finanziamenti e collezionisti, elementi essenziali per la crescita e il sostegno di questa forma d’arte.
Infine, è importante sottolineare che gli artisti italiani sono talentuosi, riuscendo a creare opere uniche e competitive nonostante la carenza di sovvenzioni. Questo dimostra una creatività e artigianalità uniche. Se solo ricevessero il supporto economico che viene offerto in altri Paesi, come il Belgio, dove la videoarte è sostenuta da fondi pubblici e privati, potrebbero emergere a livello internazionale con una forza maggiore.
Quali altre sorprese vi hanno riservato le proposte ricevute attraverso la open call?
La sorpresa più grande, oltre all’altissima qualità delle opere, è stata la notevole partecipazione di artisti giovanissimi (under 30). Lo scorso anno, infatti, grazie alla mediazione di Carlos Casas, abbiamo assegnato un premio di una residenza artistica di 6 mesi a Fabrica (Treviso) a un artista under 25. Un aspetto che ci aspettavamo, ma che ci ha comunque sorpreso per la qualità, è stato l’uso dell’Intelligenza Artificiale e delle numerose animazioni in 3D di altissimo livello.
Quest’anno il Festival sarà anticipato, nella forma di prologo dalla mostra di Francesca Fini, una bellissima collaborazione coltivata nel tempo e cresciuta anche all’interno del Festival. Potete raccontarci di questo progetto che ora confluisce nella mostra curata da Bruno di Marino alla Fondazione Dino Zoli?
Dopo aver esplorato le affascinanti macchine pre-cinema di Virgilio Villoresi lo scorso anno, ci siamo immersi quest’anno nei corpi cibernetici e nelle performance interattive di Francesca Fini, un’artista intermediale di grande rilievo. In questa occasione, abbiamo nuovamente potuto contare sull’expertise di Bruno Di Marino, che da tempo segue e sostiene la carriera di Francesca, conoscendone ogni opera e produzione con una profondità unica.
La mostra sarà un’esperienza completa, arricchita da installazioni interattive e video che offriranno al pubblico la possibilità di esplorare a fondo la complessità artistica ed estetica di Francesca Fini. Prolungandosi per oltre un mese, questa esposizione rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a raggiungere un pubblico sempre più ampio, avvicinandolo sempre di più alle arti intermediali e alla loro straordinaria capacità di innovare.
Francesca Fini. BODY (S)CUL(P)TURE, mostra intermediale, a cura di Bruno di Marino, Fondazione Dino Zoli, 02.09.2024 (prologo di Ibrida Festival)
Ibrida Festival, Forlì, 20-21-22.09.2024
immagini: (cover) Ibrida Festival 2024, locandina (2) Davide Mastrangelo e Francesca Leoni, courtesy of Vertov Project, ph Consuelo Canducci (3) Anna Hog, The Archive Is On Fire, 2023, fermo imagine da video (4) Igor Imhoff, «Boy», VR installation, Ibrida Festival 2019 (5) Francesca Fini, «Typo #3», performance, 2016 (6) Francesca Fini, «Five actions with red gloves», 2013 (7 -8) Ibrida Festival, arena (9) Lorenzo Picarazzi, «Il resto come sempre», fermo imagine da video, 2023