Il primo week end di ottobre ha visto l’inaugurazione di un nuovo festival in città, un evento alla sua prima edizione, organizzato da Campobase, collettivo di giovani curatori e giocato sul tema dell’abitare una casa dislocata, intesa come esperienza contemporanea condivisa, da cui il titolo House of Displacement.
Si è svolto a Torino, in una quattro giorni intensiva – dal 3 al 6 ottobre – in cui i partecipanti di Campo 18, corso formativo per curatori made in Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, hanno interpretato un tema tanto attuale quanto stratificato come quello del “dislocamento”, che letteralmente definisce lo spostamento di un corpo da un punto all’altro dello spazio, e socialmente viene associato ai flussi turistici e migratori, con tutte le sue conseguenti implicazioni psicologiche. Il Festival è stato organizzato in collaborazione con luoghi cardine della città – la Cavallerizza Reale, il Tram di progetto Diogene, l’Imbarchino al Parco del Valentino – che hanno ospitato performance, talk ed esposizioni il cui allestimento è stato possibile grazie al supporto non solo della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ma anche della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT.
Ogni evento del festival ha voluto riflettere e far riflettere sul fatto che ogni aspetto della vita contemporanea è sempre più definito dal movimento e dalla mobilità umana, condizione che si ripercuote sul nostro modo di stare al mondo, amplifica la nostra sensazione di precarietà affettiva ed economica, oltre che geografica.
Da questo enunciato la domanda su cui tutti noi partecipanti siamo invitati a soffermarci: come orientarci in un contesto in continuo cambiamento, come affrontare il dislocamento in maniera attiva, cosicché diventi un’opportunità e non un fattore limitante?
Vanessa Alessi, classe 1979, palermitana per nascita e berlinese di adozione, è stata invitata a proporre le sue considerazioni sull’argomento, a condividere attraverso la sua ricerca artistica in continuo movimento dal titolo Modelli abitativi per una Vita Difficile. Si tratta di una serie di micro-azioni e micro-design, che esplorano il concetto di scomodità esistenziale suggerendo nuovi modi di vivere la nostra esistenza che mettono alla prova i confini della nostra comfort zone, facendo apprezzare lo sforzo richiesto per percepire la nuova realtà di uno spazio sconosciuto in cui ci troviamo ad orbitare.
Ecco quindi che un contesto o un’azione che non ci mette completamente a nostro agio si rivela stimolante, sicuramente ironica, altrettanto certamente qualcosa che ci obbliga ad un pensiero in più. La micro-azione Limone per 2 ti costringe su un telo riflettente per automobili come su una stuoia, stretti ad una seconda persona, con un limone dietro la testa come fosse un cuscino, sdraiati come su una spiaggia – con tanto di sabbia a riempire il pavimento dello spazio esagonale – e lo sguardo al soffitto, perché è lì che vengono proiettati quattro film storici, che dagli anni Venti agli anni Settanta raccontano la migrazione italiana in America, Francia e Svizzera. Impossibile non rimanere concentrati sul momento e sull’argomento, esattamente come accade per la micro-azione Sleeping in Loop, una sessione di meditazione su un tappetino yoga sistemato sulle scale che portano al secondo piano dello spazio espositivo, molto a stretto contatto con il sali e scendi degli altri partecipanti. Eppure, i pensieri fluiscono meglio in posizione diagonale.
Ognuna delle micro-azioni di Vanessa è stata partecipata incessantemente dalle 10 alle 16 di domenica, se non sempre dal pubblico che pure è stato curioso e numeroso, dal collettivo artistico I ragazzi del bastione di San Maurizio, con i quali ha collaborato per realizzare, in una manciata di giorni a disposizione, l’allestimento e la pianificazione dell’esposizione e delle perfomances. Non è passato inosservato Abbraccia una pianta, data l’altezza – scomoda ma scenografica – delle due piante in vaso, portate sotto entrambe le braccia dei performer in giro per gli ampi spazi della Cavallerizza e i suoi giardini.
Quello che emerge dal confronto con questi lavori è la spinta a mettersi in azione e discussione, a coltivare la curiosità del cercare sempre una nuova chiave di lettura nelle cose, nei luoghi e nelle persone, superando il senso di smarrimento che deriva dal dislocamento e cercando risposte nella sperimentazione, nella conoscenza e nella condivisione.
immagini: (cover 1)Lucia Cristiani, How far should I go to explode? (Act II), video frame, House of Displacement, 2019, Turin. Ph. Mattia Pastore, courtesy the artist and CampoBase (2) Alessio Mazzaro and Fiona Winning, Do Nothing Club. House of Displacement, 2019, Turin. Ph. Studio Abbruzzese, courtesy the artist and CampoBase (3) Lucia Cristiani, How far should I go to explode? (Act I). House of Displacement, 2019, Turin. Ph. Francesco Ciranna, courtesy the artist and CampoBase (4) GAPS, Anyone lived in a pretty how town. House of Displacement, 2019, Turin. Ph. Studio Abbruzzese, courtesy the artist and CampoBase (5) Corinne Mazzoli in collaboration with Ilaria Salvagno, The Party Wall. House of Displacement, 2019, Turin. Ph. Studio Abbruzzese, courtesy the artist and CampoBase. (6) Andrea Staid and Matteo Meschiari, Abitare Illegale. House of Displacement, 2019, Turin. Ph. CampoBase. (7) Housing Models for a Difficult Life // Modelli Abitativi per una Vita Difficile. [House of Displacement_Bastione di San Maurizio_Torino]. Vanessa Alessi © 2019. Ph: Abbruzzese studio. (8) Housing Models for a Difficult Life // Modelli Abitativi per una Vita Difficile [House of Displacement_Bastione di San Maurizio_Torino] Vanessa Alessi © 2019. Ph: Abbruzzese studio