La partecipazione al Romaeuropa Festival per me inizia oggi, in grande stile.
So che OUTSIDER è uno spettacolo di danza coreografato dal francese Rachid Ouramdane e interpretato del Balletto del Gran Teatro di Ginevra. So che saranno presenti anche quattro funamboli, tra cui Nathan Paulin, atleta highliner da record. So anche che Ouramdane, dal 2019, studia il comportamento degli storni.
Quando arrivo, gli spalti si stanno ancora riempendo ma la Cavea, incastonata fra i tre scarabei di piombo di Renzo Piano, è già carica di energia potenziale. L’allestimento del palcoscenico è estremamente semplice: un telo retroilluminato sul fondo e delle corde nere a contrasto che ne attraversano lo spazio aereo. La disposizione delle corde su sfondo chiaro mi ricorda quella dei cavi delle antenne radiofoniche, la matrice analogica della comunicazione, che in questo contesto abbandona la bruttura tipica di tali costruzioni per divenire scenografia e scultura.
Le luci finalmente calano e sul palco, una dopo l’altra, si susseguono una serie di figure danzanti accompagnate dal pianoforte incalzante di Julius Eastman, compositore minimalista americano degli anni ’70. I danzatori sono vestiti con variazioni della stessa tuta che alterna il nero col color carne, per un’apparente citazione a Beach Birds di Merce Cunningham.
I danzatori corrono, si incrociano e si rimescolano sul palco. Sono soli e poi insieme. Si sollevano fra loro con spirito paritario, in uno sforzo collettivo teso al raggiungimento di un obiettivo comune e simultaneo: il cielo.
Nei loro gesti vorticosi e incessanti trovo ci sia la crudeltà e la magnificenza dei rituali del mondo naturale, e trovo impressionante come Ouramdane sia riuscito a tradurre in maniera così inequivocabile i movimenti degli storni, a tal punto che anche una profana come me è riuscita a godere della performance e a coglierne i rimandi in maniera pressoché immediata.
Ma il vero punto di svolta dello spettacolo avviene poco prima della metà, quando entrano in scena i quattro funamboli. L’illuminazione del telo cambia e si fa tenue, la musica si interrompe per qualche minuto: gli acrobati, aggrappati ai cavi con tutti gli arti, si sollevano con misurata lentezza fino alla posizione eretta. I performer camminano incerti sulle corde, i loro percorsi si sovrappongono senza mai incrociarsi. La ricerca di equilibrio è costante. Non avvengono acrobazie, ma il pubblico non può fare a meno di trattenere il respiro.
L’andamento variabile della luce dietro allo sfondo fa sì che le figure sul palco sembrino costantemente controluce, ad evidenziare in maniera spontanea le forme regolari e geometriche che assumono i corpi si capisce che sono loro, ma anche la tensione incessante dei loro muscoli.
Quando rientrano in scena anche i danzatori “terrestri”, il palco si affolla e ci mostra il graduale e armonico incontro fra i due mondi. Assisto, infine, alla catartica riconciliazione di una comunità.
Il pubblico applaude lungamente, qualcuno è in piedi. Lo spettacolo è terminato.
A questo punto mi chiedo: perché il titolo OUTSIDER? Di certo Eastman, quando ha scelto di trattare temi scomodi, è diventato un outsider ed è morto sconosciuto ai più, senzatetto e tormentato dalle dipendenze. Nathan Paulin, mentre attraversa Parigi a settanta metri di altezza, è un outsider. Il pubblico, straniero, che tenta di decifrare la danza degli storni, diventa outsider.
La definizione di questa parola viene dall’ambito sportivo ed è: chiunque ha possibilità di vincere, pur non essendo fra i favoriti.
Il titolo, in questo senso, diventa un inno alla diversità, ma soprattutto un invito ad essere Outsider pur rimanendo all’interno della collettività. Coloro che si trovano al margine riescono, infatti, ad osservare un mondo unico ed integro, dalla prospettiva privilegiata di chi è lontano e quindi riesce ad assumere uno sguardo aperto e neutrale. E dove può collocarsi questo margine se non in alto, sopra di noi?
Francesca Pascarelli, 10 settembre 2024
images (all): Outsider – Gregory Batardon – REF24
Rachid Ouramdane, Ballet du Grand Théâtre de Genève, Outsider, Cavea – Auditorium, Roma, Romaeuropa Festival, 09-10.09.2024
L’articolo di Francesca Pascarelli è parte del progetto editoriale Intraspaces, sesta edizione di Backstage /Onstage, nato da una partnership tra Accademia di Belle Arti di Roma, Romaeuropa Festival, e Arshake per portare, dal 2018, un gruppo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma dietro le quinte del Romaeuropa Festival. Ogni anno ne è nato un progetto editoriale diverso per confluire nella pagina dedicata che cresce come unico grande archivio. L’edizione 2024, Intraspaces, si avventura negli spazi intrastiziali, ovvero tutti quei luoghi di connessione che mettono in relazione tecnologie, artisti, spazio, spettatori, a volte estendendosi anche al territorio, dove le diverse istituzioni che questo evento riesce a coinvolgere sono collocate. Visita qui la homepage del progetto e l’archivio delle edizioni passate.