Sullo sfondo variegato e complesso della cultura novecentesca, illuminata dalle conquiste tecnologiche, sono maturati per la discussione e per lo studio, una serie di codici che, legati alla via lattea dell’elettrologia, mostrano scenari complessi e altrettanto complessi itinerari estetici volti a ridefinire le piattaforme dell’arte, a generare una integrazione estetica che evita a priori l’esclusione e registra una definitiva (irreversibile) metamorfosi di strumenti, di dispositivi che oltrepassano i limiti della singola lingua per favorire il poliglottismo, lo sconfinamento, la sintesi strutturale, l’applicazione delle conoscenze scientifiche ai fenomeni[1]. La sempre più pronunciata apolidia mediatica, il naturale nomadismo che porta l’artista ad un fare diffuso, ad un attraversamento linguistico[2] che mira a inglobare nel paesaggio dell’arte tecniche e materiali di varia estrazione o natura, presenta infatti con il nuovo millennio alcune normative creative che oscillano da un linguaggio all’altro – ne sono luminosi esempi la viewing experience[3] messa in campo da Ali Kazma o le ricerche muldicodiche di alcuni artisti come Elena Bellantoni, Devrim Kadirbeyoğlu e Maria Adele Del Vecchio che per ogni nuovo lavoro utilizzano mezzi e strumenti differenti – per dar luogo a progetti polimaterici e plurilinguistici, ad apparecchiature la cui plasticità (seguendo impulsi inevitabilmente individuali) registra l’esistente utilizzando tutti gli strumenti tecnologici attuali. Ad una forma di ortodossia funzionale (adeguata naturalmente al proprio andamento monogrammaticale) che contraddistingue la purezza dell’arte preavanguardistica, l’artista privilegia in questo modo (volontariamente o involontariamente) la linea dell’eterodossia strumentale che non solo esce dai limiti linguistici ma assolve anche ad una volontà di fuggire dai recinti e dai regimi territoriali.
Digeriti, sperimentati, compresi e utilizzati nelle più disparate composizioni estetiche, i linguaggi e gli strumenti del comunicare nati nell’Ottocento – fotografia (1839), telefono (1862), telegrafo (1877), grammofono (1887) e cinema (1895) – infiammano il campo d’azione dell’arte e favoriscono l’artista nell’utilizzo di procedimenti sempre più acrobatici, in azioni e verifiche la cui natura assorbe i continenti della ricerca scientifica e presenta un paese delle meraviglie che, sotto la via lattea dell’ingegneria e dell’elettronica[4], mescola le carte della realtà e della virtualità, costruisce vivaci scene di prestigio, spettacoli esuberanti volti a trasformare l’immagine preesistente fino ad arricchirla e darle una nueva densidad utile ad affrontare, «con la sensibilità di oggi, le grandi questioni della vita e dell’esperienza»[5].
Dopo i vari dispositivi messi in campo dalle avanguardie storiche, dopo un vivace fermento che ha visto sfilare padronanze circolari, la cui circolarità porta l’artista ad adottare (a frullare) i nuovi strumenti della società moderna e a costruire un orizzonte babelico[6] che mette sotto scacco la rappresentazione, l’arte avverte l’esigenza di spingersi oltre i bordi del proprio recinto e di accogliere nella sua orbita tutte le esperienze tecnoscientifiche per sperimentare i territori selvaggi della nuova geografia mediografica (la radio, il tv e la televisione, il computer e il mondo della telematica) e adattarsi alle nuove modalità di registrazione visiva.
Immagini: (cover – 1) Fonografo di Thomas Elva Edison, 1878 (2) grammofono (3) Johann Pilipp Reis, telephone, 1862
[1] Cfr. V. Flusser, Medienkultur, hrsg. v. S. Bollmann, Fischer Taschenbuck Verlag, Frankfurt am Main 1997; trad. it., La cultura dei media, postfaz. di A. Borsari, Bruno Mondadori, Milano 2004.
[2] Per tali questioni si veda almeno la linea proposta da A. Bonito Oliva con l’Enciclopedia delle arti contemporanee che sintetizza sotto il cielo del tempo («frullatore ossessivo di ogni specificità linguistica») un programma che nasce con Contemporanea, una mostra fondamentale per la storia espositiva italiana e internazionale. Dello stesso autore, si veda, inoltre, ABO. La repubblica delle arti, Skira, Milano 2005.
[3] E. Baykal, testo senza titolo, in Ali Kazma – Zamancı / TimeMaker, opuscolo della mostra organizzata a Istanbul, negli spazi dell’Arter – Space of Art, dal 30 gennaio al 05 aprile 2015, Arter, Beyoğlu – Istanbul 2015, p. 2.
[4] Riprendo qui alcune osservazioni sui new media elaborate in occasione del Premio Pino Pascali 2013, A. Tolve, Elogio dell’elettrologia, in Mat Collishaw, cat. della mostra (e del XVI Premio) tenuta a Polignano a Mare negli spazi del Museo Pino Pascali, dal 5 luglio al 15 settembre 2013, Edizioni Fondazione Pino Pascali, Polignano a Mare 2013, 36-54.
[5] Cfr. J. Jiménez, Teoría del arte, Tecnos / Alianza Editorial, Madrid 2002.
[6] Per tali questioni si rinvia almeno a J. Baudrillard, Le crime parfait, Galilée, Paris 1995; trad. it., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Cortina, Milano 1996 (in particolare, del primo capitolo, il paragrafo La sindrome di Babele, pp. 95-98); P. P. Pancotto, Arte contemporanea. Il nuovo millennio, Carocci, Roma 2013 e A. Tolve, Appunti per una linea transmediale dell’arte contemporanea, in A. Tolve, S. Zuliani, a cura di, Tempo imperfetto, cat., Edizioni Fondazione Filiberto Menna, Salerno 2015.