L’ibridazione si innerva sotto pelle dell’essere umano, ed esso è disposto in qualche modo ad accettarne la sfida. Siamo a Trieste (Capitale Europea della Scienza 2020) presso la centrale Idrodinamica nel Porto Vecchio. Sabato 17 dicembre si è inaugurata la prima edizione di Robotics, Festival di Arte e Robotica (Digital Nature), proponendo una mostra a cura di Maria Campitelli e Valentino Catricalà raccogliendo più di quaranta artisti e ampliando il programma dell’evento fino al 28 novembre con lectures, laboratori e performance.
Innumerevoli artisti di valenza internazionale da Patrick Tresset e il suo robot-disegnatore a Cirkulacija 2, da Ken Rinaldo a France Cadet, da Luigi Pagliarini ad Alessandro Sciaraffa, da Donato Piccolo a Ken Rinaldo, da Nadja Moncheri a Christian Fogarolli e molti altri. A questi si affiancano alcuni artisti del Gruppo78 con opere di media-art come Cecilia Donaggio Luzzatto Fegiz, Guillermo Giampietro, Elisa Zurlo, Lucia Flego, Fabiola Faidiga, Lucio Perini, Paola Pisani, Luigi Tolotti, Max Jurcev. Arte e scienza è sicuramente un binomio in continua mutazione e questo evento pone l’attenzione proprio nello sviluppo sempre più connesso tra questi due mondi. Il progetto curato dal Gruppo 78, vuol essere un osservatorio di ciò che accade nel mondo della scienza della tecnologia e dell’arte, nella prospettiva di una comune, costante innovazione, nella sfida su un futuro post-umano.
La Natura e il vivente hanno sempre ispirato l’immaginazione umana, e fin dalle origini l’umanità ha cercato di rappresentarli e ricrearli, nelle prime immagini, negli strumenti, nei dispositivi, nelle architetture, nei materiali e nelle macchine, fino alla Robotica, all’Intelligenza Artificiale e alle loro ibridazioni. L’inaugurazione del Festival ha aperto con la prolusione del prof. Pier Luigi Capucci (fondatore di Noema e art*science) riflettendo proprio sull’evoluzione dei robot e della “Terza Vita”, ossia la vita delle entità e degli organismi creati dalla cultura umana (essendo la “Prima Vita” la vita biologica e la “Seconda Vita” la vita nella dimensione simbolica). E quindi ad essere il medium non è più il messaggio come evoca il teorico canadese Marshal McLuhan, bensì la vita, come sostiene Mario Savini, nel suo ultimo saggio.
A seguire della lecture di Capucci, in prima mondiale è stata presentata la performance di Bill Vorn insieme a Philippe Battikha, Copacabana Machine Sex. Un progetto performativo dove l’artista canadese trae spunto da Robotic Opera di Chico Mc Murtrie (1992). Il pubblico ha assistito ad una sorta di “burlesque meccanica” dove dieci robot danzanti intrecciavano luci e movimenti sincronizzati. Non appena si entra dentro questa meravigliosa centrale idrodinamica appena restaurata (un complesso di architetture e macchine) ciò che ci attrae sono le due maschere appese create dall’artista e neuro-psicologo Luigi Pagliarini.
Una maschera appartenente al lavoro complesso Fatherboard del 2007 e l’ultima creazione in work in progress Pixel-being costituita da legno, pannelli solari, circuiti, una riflessione eco-sistemica per la tecnologia cyborg. La vita umana è sempre più dipendente dall’elettronica tutto ciò comporta il cambiamento delle caratteristiche e l’uso delle memorie a breve e a lungo termine. Si viene a creare un importante interscambio tra l’uomo e la macchina, dove da un lato lasciamo che le macchine imitino l’intelligenza biologica, dall’altro, non possiamo evitare d’imitare alcuni dei loro comportamenti in un processo ricorsivo infinito, in cui insegnare ed apprendere operano un processo simultaneo.
Con Robotics, il Festival di Arte e Robotica (Digital Nature), la città di Trieste divine territorio centrale sulla robotica e l’arte, un’intima connessione che ci obbliga ad un radicale cambiamento di sguardo sul contemporaneo e sull’umano, assistendo ad una continua ibridazione tra la vita biologica, la non-vita, la terza vita, una vita alterata inorganica e artificiale, la quale tende verso una nuova forma ricca di tensione e virtualità.
Il corpo diviene così un luogo di ibridazione e trasformazione. Gli artisti ci spingono a riconsiderare il modo in cui valutiamo cosa significhi essere umano. È un lavoro congiunto che coinvolge l’artista, il tecnico, il robot, tutti noi stessi immersi in uno stato di alterazione continua. I robot diventano così co-autori. Chi è che decide: l’artista, l’ingegnere, lo spettatore o tutti questi soggetti insieme? Dovremmo aver paura dei robot? Degli artisti? Degli artisti-robot?” Si tratta di un’ibridità che rivela e disvela l’intreccio fra naturale e artificiale, due “categorie” in ridefinizione continua.
È anche l’ammissione, o meglio, l’accettazione, del concetto che il corpo non è né interamente naturale né interamente culturale, ma qualcosa di infinitamente plurale, contaminato ed espressione e luogo di significazione. L’arte non si pone una funzione “salvifica”, bensì interpreta il presente per immaginare il futuro. L’arte non è tecnologica, ma si fa tecnologia, ne usa i dispositivi all’interno di un progetto amplio e complesso per non dimenticare il futuro, dove l’essere umano recupera il suo grado di umanità, troppo sovrumana o disumana, ma decide di collaborare ad un’esistenza plurale, ibrida, ma ancora umana. Una variazione mutante di esistenze.
ROBOTICS Festival di Arte e Robotica, a cura di Maria Campitelli/GRUPPO78, e Valentino Catricalà, 17 – 28, 2018
immagini: (cover 1) ROBOTICS. Festival di Arte e Robotica, Trieste 17-28.11.2018. France Cadet (2) ROBOTICS – Festival di Arte e Robotica, Trieste 17-28.11.2018. Bill Vorn (3 – 4) ROBOTICS – Festival di Arte e Robotica, Trieste 17-28.11.2018. Cirkulacija (5) ROBOTICS – Festival di Arte e Robotica, Trieste 17-28.11.2018. Donato Piccolo (6) ROBOTICS – Festival di Arte e Robotica, Trieste 17-28.11.2018, Roberto Pugliese.