Artista dall’animo sensibile per antonomasia, Alberto Di Fabio rimane sempre fedele al suo processo, metodico come il lavoro di un monaco, che da anni porta avanti tra Roma, New York ed altri luoghi del mondo. Il suo sguardo artistico si rivolge alla materia cosmica, geologica e biologica con uno sguardo attento, quasi chirurgico, per farsi spazio attraverso gli strati dell’invisibile e portarli alla luce. Un processo sciamanico lungo più di trent’anni, che affonda le sue radici in tutte quelle realtà archetipiche che l’uomo attua da millenni nel tentativo di comunicare con il divino e farsene specchio. Il primo incontro con Di Fabio si è svolto il 16 aprile, 2021 nel suo studio durante le riprese di un video esperimento. In quella occasione, le gigantesche tele dai paesaggi organici e/o spaziali venivano disposte come parte di una caleidoscopica scenografia. A distanza di qualche giorno, abbiamo proseguito la nostra conversazione nel religioso silenzio del suo studio al Pigneto.
Chiara Amici: In questo momento ti stai dedicando ad un progetto video. Da cosa nasce questo bisogno?
Alberto Di Fabio: È un’esigenza che nasce dalla voglia di uscire dallo studio, per diversificare il processo e non fissarmi più solo sul rapporto esclusivo con i colori, la carta e le tele. Per parlare delle mie storie con materiali diversi. Dopo tanti anni si ha bisogno di esplorare, e descrivere il mondo dell’invisibile, la cinematografia è un altro modo di farlo; per questo ho chiesto a dei giovani artisti di reinterpretare le mie opere con la loro macchina da presa. Sono sempre stato attratto da Max Ernst, Picabia, Man Ray, Salvador Dalì… guardare i maestri con un occhio onirico, descrivere queste visioni in piccoli film, cortometraggi brevi che vorrei utilizzare nelle mie prossime mostre affiancandoli alle mie opere iconiche è stato il naturale evolversi di un percorso iniziato già nel passato. In questi ultimi anni, per la stessa esigenza di diversificare i materiali, ho realizzato degli arazzi con l’arazzeria Pennese, in Abruzzo. Un processo molto interessante. Ho prodotto anche dei mosaici, dei documentari d’artista. Ho realizzato il sogno di ripulire e rinverdire un ex discarica a Ponza, dove ora sorge un piccolo bosco. E’ importante cogliere l’occasione di rigenerarsi e ricaricare le pile, per uscire da quello stato di ossessione in cui spesso può cadere un artista, chiuso nel suo studio.
Molti artisti, in quarantena in tutto il mondo, hanno imparato ad espandere le loro soggettività, una volta rinchiusi, e si stanno abituando a «diventare pubblici» attraverso l’uso dei social media, le videoconferenze o mostre online. Quale pensi che dovrebbe essere il ruolo di un artista in un contesto come questo? Essere pubblici è una cosa positiva?
È stato un periodo molto duro e triste. Piango per le nuove generazioni, per quel che hanno portato anni di disonestà della sanità pubblica e della politica, che hanno peggiorato una situazione già così critica come quella del virus. Noi artisti, che siamo antenne, abbiamo sofferto ancora di più. In un certo senso la condizione dell’artista è di per sé difficile e solitaria, ma quando anche musei e gallerie sono chiusi la situazione peggiora enormemente. In questa situazione ognuno ha utilizzato i media che preferisce, ben venga utilizzare il virtuale per ricreare un’emozione positiva, e poi sono state vendute opere digitali in questo periodo anche per migliaia di dollari e di euro. Personalmente, non sono molto social: quest’anno ho avuto modo di sperimentare interviste, calls, e anche alcune mostre collettive online, ma mi sono trovato a declinare tutte le richieste che ho ricevuto successivamente, perché sentivo queste esperienze come troppo «eteree». Preferisco presentare una mia opera dal vivo, sentire e vivere il momento e le persone. In questo periodo mi sono dedicato, più che altro, a lavorare, creare e molto a sognare…. Vedo una strada giusta da seguire, un’unica verità fatta di energia magnetica e infiniti livelli di frequenze, bisognerebbe cogliere quella giusta. Attraverso il social tutto assume prospettive diverse. Vedo come per le nuove generazioni il successo e la felicità interiore vengano viste come qualcosa di veloce e immediato, e quindi tutti desideriamo tanti like, cerchiamo di essere accondiscendenti verso un pubblico di sconosciuti. Per creare un’opera d’arte però c’è bisogno di una sedimentazione lenta, riflessioni che richiedono mesi, anni. La storia filtrerà tutto… anche questi momenti così difficili.
Pensi che le nuove generazioni di artisti, forse proprio per questa propensione all’accondiscendenza derivata dai social, andranno incontro alla perdita di una filosofia personale?
Non me la sento di giudicare. Anche io, forse, come già tanti in passato, faccio l’errore di ritenere la mia generazione come migliore di quella successiva. L’arte cambia, così come la musica; il mondo intero è in divenire. Siamo tutti molto egocentrici, ed è facile dire in maniera semplicistica che i giovani di oggi non vogliono lavorare tanto quanto si faceva in passato, o che utilizzano tecniche troppe semplici ed immediate. In fondo quando avevo vent’anni, un artista di settanta anni, diceva di me le stesse cose. Ho imparato con gli anni che le mie opinioni personali non sono state sempre corrette, ed è bello quindi volgere lo sguardo agli altri, alle nuove generazioni. Giudicare è facile, ma creare una buona filosofia intellettuale che venga riconosciuta negli anni è completamente diverso. Voler diventare famosi in fondo è solo una masturbazione mentale del proprio ego: è l’opera che diventa importante, non noi. Pensare troppo al successo allontana dall’obbiettivo vero e autentico. Dico sempre che bisogna stare da soli in studio a lavorare e pregare, e nello stesso tempo tenere sempre d’occhio il sistema dell’arte. È un mondo complesso, un giorno ti fa innamorare e il giorno dopo ti fa nauseare.
C’è un’opera o una serie al quale ti senti più legato?
Nella mia vita ho fatto ricerche su vari soggetti, filosofie e pensieri, ma posso affermare che sono molto legato a dei miei lavori degli anni ’90. In quel periodo mi ero concentrato sulle fusioni minerarie, paesaggi di montagne, catene montuose che si muovono su deserti metafisici. In quelle opere ho voluto riflettere sui paesaggi e la materia pensante, in movimento. Erano lavori dedicati a Giotto, Carrá, De Chirico, Sironi. Quadri molto diversi da quelli astratti degli ultimi anni dove ho volto lo sguardo in alto, al cielo, l’universo e le stelle, riflettendo su come le nostre sinapsi si collegano e si uniscono al magnetismo del cosmo. Riguardando quelle montagne ridiscendo sulla crosta terrestre, provo calore e felicità. Sono mie opere iconiche al quale sono molto legato.
La spiritualità è il centro della tua arte. Com’ è iniziato il rapporto particolare con la religione durante la tua vita?
Penso che la religione sia un tentativo umano di capire dei processi infiniti e impossibili, e la nostra mente ci si lega come ad un amuleto. Il nostro stesso lavoro -in questo caso per me quello dell’artista- è una religione. Esistono enigmi che noi umani percepiamo da tantissimo tempo, ed utilizziamo vari strumenti per rispondere a queste domande ed arrivare ad una elevazione personale ad un’estasi, un contatto con un mondo divino. Ogni volta descrivo i miei lavori come dedicati alla scienza e alla religione. I miei atti creativi sono forme di preghiera. Molti lavori descrivono il cervello umano con le sinapsi e neuroni che creano il nostro corpo magnetico. Sembrerebbe che noi esseri umani percepiamo molto poco di quel che realmente esiste, e il nostro sguardo è sempre volto al cielo, all’orizzonte indescrivibile: dal costruire una scala o una ruota ora siamo passati allo studio dell’antimateria, il bosone di Higgs, la particella di Dio. Come dice la poesia di Leopardi: oltre quella siepe, verso l’invisibile, non posso vedere, ma il vento che muove questi cipressi mi fa intuire che forse posso percepire quel «qualcosa». Religione, scienza, matematica, Arte… È un tutto. Un Dio che pulsa con noi. Utilizzo tutti gli elementi possibili per parlarci e descriverlo.
Nella tua famiglia era comune l’interesse verso una dimensione «altra»: da tuo padre artista, Pasquale Di Fabio, fino a tua sorella Tiziana, una poetessa…
Sono stato molto fortunato e anche un po’ sfortunato ad avere una famiglia come la mia. Mio padre era un artista, e insieme parlavamo solo di quadri e sculture. Lui spesso diceva che avremmo potuto levare il crocifisso dalla camera da letto e sostituirlo con un quadro di Mondrian o Malevich. Amava il minimalismo, l’astratto puro, e per tutta la sua carriera ha continuato a ricercare la luce assoluta, creando linee infinite in spazi assoluti, descrivendo il suo cosmo divino. Questi erano concetti particolari che da bambino capivo solo in parte, e tuttavia costituivano il mio pane quotidiano. Mia madre mi ha insegnato matematica e scienze, avevamo librerie piene di conchiglie, minerali, libri scientifici. Avevo due sorelle più grandi di me: Simonetta studiava medicina e immunologia, e Tiziana era una letterata con una compagnia di teatro-danza. Io ho imparato a studiare tramite i libri di medicina di mia sorella e quelli di scienza naturale di mia madre. Papà spesso ci chiedeva: «preferite il televisore a colori oppure posso fare un’altra scultura in acciaio?» Noi non sapevamo cosa rispondere! Avremmo voluto la televisione a colori, e nello stesso tempo volevamo vedere nostro padre felice di produrre un’altra opera. Ci sono stati artisti che hanno cominciato molto tardi a dipingere, come Matisse, ma la mia fortuna di nascere in una famiglia come questa mi ha facilitato in molti percorsi esistenziali, mi ha aiutato a definire la mia strada. A volte mi chiedo se forse potevo fare un altro mestiere. Ma in fondo siamo tutti in questo mare in tempesta, siamo sempre pieni di dubbi, mentre l’importante è seguire il nostro percorso di luce, che ci porta alla pace e al piacere interiore. E’questa la strada che dovevo percorrere, punto e basta.
Segui una routine quotidiana o dei rituali nella tua vita per metterti in contatto con la tua realtà spirituale?
Nel mio studio amo ascoltare la musica classica o il jazz, e per sciogliermi uso la danza o dei movimenti istintivi simili al Tai Chi. I miei amuleti sono gli strumenti del mestiere: i miei pennelli, il colore che preferisco, che tengo vicino a me anche se non lo utilizzo…Noi artisti siamo degli artigiani, ma siamo anche simili a dei monaci shamani, abbiamo i nostri simboli costanti, e speriamo che ci aiutano a sognare.
I tuoi quadri mostrano paesaggi spaziali, panorami di sinapsi, ma anche colori e forme psichedeliche. Cosa ne pensi della ricerca spirituale attraverso le sostanze psicotrope?
Noi umani siamo degli esseri piccoli, schiacciati da una forza di gravità enorme, assoggettati dai nostri bisogni corporali come respirare, mangiare… Per elevarci abbiamo bisogno di quella parte dell’emisfero che fa parte dell’onirico, della spiritualità, e lo facciamo attraverso la meditazione, la preghiera, i movimenti rituali, oppure abbiamo bisogno del vino, delle erbe magiche, di fare l’amore. Purtroppo siamo legati ad un costante stato biologico che ci lega a terra. Nelle mie opere cerco di descrivere dei mondi paralleli, materie invisibili. Così come la religione, la matematica e la filosofia, anche l’utilizzo di alcune sostanze ci porta a poter vedere cose che stanno al di là delle nostre normali percezioni. Le sostanze, quelle sintetiche o quelle degli antichi rituali, sono degli esperimenti interessanti a cui l’uomo si dedica da tempo immemorabile. Credo però che già le endorfine, il respiro, con tutte le energie che già possediamo ci siano sufficienti per volare.
Se potessi utilizzare delle parole per descrivere il tuo lavoro, quali sceglieresti?
Non è semplice. Mi vengono in mente alcuni versi di Ibn Arabi, grande filosofo e poeta arabo: «… Io sono la realtà del mondo, il centro e la circonferenza, le particelle e il tutto. Io sono la Volontà stabilita tra il cielo e la terra; e in te ho creato la percezione solo perché tu sia l’obiettivo della Mia percezione.» Queste parole mi fanno pensare a quante volte ci interroghiamo su chi siamo, sul perché esiste l’arte, a cosa serva… Percepire è già qualcosa di grandioso, in fondo non serve altro, e percependo gli altri possiamo percepire noi stessi. Eppure, non possiamo conoscerci mai davvero, né gli altri né noi stessi. Siamo una coniugazione delle varie conoscenze umane: matematica, spazio, sogno, poesia.
Siamo materia destinata a deteriorare, il nostro è uno stato transitorio. Noi siamo qui solo per una volontà divina? Solo per essere oggetti della Sua percezione?
In una tua intervista ho letto della tua volontà di scrivere un grande libro…
Ho scritto un romanzo e moltissimi cataloghi sulle mie opere, con il contributo di tanti scrittori in diverse lingue. Trovo l’aspetto letterario una parte molto importante dei miei lavori. Il mio desiderio sarebbe scrivere un libro della genesi (ride) un libro universale, per il futuro. Non so se riuscirei mai a fare una cosa del genere, e così quando passeggio in montagna, mi addormento sotto le stelle o all’ombra di un albero e sono colto da un senso di grande meraviglia, sogno e spero come Mosé di ricevere come omaggio un testo sacro.
Quale luogo del mondo ti ha ispirato di più durante i tuoi viaggi?
Ogni luogo per me è un luogo geografico indefinito e senza nome. Ho una forte spinta interiore a viaggiare e conoscere le culture, nutrirmi dalle immagini del mondo. Sono andato diverse volte in Nepal, Nord America e Messico, e non posso dimenticare i magnifici panorami che ho potuto vedere. I miei ricordi più belli sono sulle Alpi, sui Pirenei, le montagne del Colorado, sull’Himalaya. Le montagne, le formazioni rocciose, sono per me visioni meravigliose.
Attualmente sei uno degli artisti Italiani più internazionali. C’è un grande sogno che vorresti arrivare a realizzare nella tua carriera artistica?
Non vedo un punto di arrivo, non sento ancora di «essere arrivato» e non sono mai pienamente soddisfatto di ciò che faccio, come tutti in fondo. Mi sento piccolo e vorrei crescere. Tante volte mi dico che il tempo una vita non basta… quando ascolto Bach, e leggo Shakespeare o vedo un film di Antonioni mi sento un granello di sabbia in un deserto infinito. La mia forza di volontà mi manda avanti in questo tunnel scuro in cui non sembra vedersi mai una luce di arrivo. Credo che l’importante sia continuare a credere, desiderare e propendere sempre verso qualcosa di grande, un sogno irraggiungibile per un verbo infinito.
immagini: (cover 1) Alberto Di Fabio, «Paesaggi della mente», Museo Macro, Roma 2015, foto: skino ricci quinta studio (2) Alberto Di Fabio, «Illuminazione, Paesaggi di una materia invisibile», 2020, wall painting, Galleria Luca Tommasi, Milano (3) Alberto Di Fabio,«Copia di Realta Paralle», 2012, installazione alla Galleria Nazionale D’Arte Moderna, Roma (4) Alberto Di Fabio, «Materia pensante», mosaico e wall painting, Artefiera Bologna 2018 (5) Alberto Di Fabio, «Realtà Parallele», 2011, dittico, acrilico e lacche su tela, ciascuno 120 x120 cm (6) Alberto Di Fabio, «Sinapsi + Cosmo», 2006, acrilico su tela, 200 x335 cm. courtesy Gagosian Gallery (7) Alberto Di Fabio, «Un mare di atomi», 2007, Galleria Pack, Milano