Questo articolo vuole affrontare al meglio il pensiero che ruota intorno allo spettacolo U* di CRiB messo in scena a Roma negli scorsi 10, 11 e 12 gennaio. Lo spettacolo e le sue tematiche sono inquadrate attraverso un’intervista sperimentale, divisa in cinque paragrafi e pubblicata su Arshake in tre atti, immaginata in uno spazio metafisico tra me che scrivo e i componenti di CRiB.
Vorrei riportarvi subito i primi passaggi dell’intervista metafisica in cui i ruoli sono definiti così di seguito:
Carolina Ciuti: co-autrice e direttrice artistica di U*
Beatrice Fedi: co-autrice e attrice di U*
Roberto Di Maio: co-autore e regista di U*
Valeriana Berchicci: intervistatrice e spettatrice di U*
Chi siamo?
CAROLINA: Quando ero piccola e ancora non sapevo leggere, uno dei miei passatempi preferiti era inventare storie guardando le illustrazioni colorate dei libri per bambini che mio padre ‘catalogava’ nella libreria di bambù in salotto. Non ne ero del tutto consapevole al tempo, ma ero attratta dal potere magnetico delle immagini in quanto veicolo immediato di possibili storie e universi – reali o meno. Con gli anni, suppongo che questa strana fascinazione per la creazione visiva non se ne sia mai andata e, all’università, mi sono trovata a scegliere di studiare storia dell’arte in modo molto naturale: leggo la produzione di immagini come ‘la forma [piú diretta] del tempo’ che abitiamo, per dirla con Kubler. Sette anni fa ho lasciato l’Italia per Londra, alla ricerca di una vitalità creativa che sentivo mancare nel nostro paese e, dopo essermi specializzata in arte contemporanea, sono volata a Barcellona dove da ormai quattro anni mi occupo della direzione artistica del festival di video arte LOOP. Amo leggere, adoro il pane, mi entusiasmo facilmente e mi capita di annoiarmi con la stessa facilità. Mi piace fingere di saper cantare e rimpiango di non aver mai portato a termine lo studio del pianoforte. Il mio colore preferito è l’arancione.
ROBERTO: Eh…bella domanda. “Chi” non saprei. Posso provare a dire “cosa” sono o ancora meglio “cosa provo” ad essere. Sicuramente sono un appassionato di teatro, musica, cinema e arte. Queste quattro cose sono le uniche e reali motivazioni che ancora mi legano alla vita in una metropoli…sognando una casa in montagna con libri e camino.
Amo talmente tanto qualsiasi tipo di forma artistica che sin da ragazzo ho provato ad esserne anche autore. Prima (e ancora) con la musica poi col cinema che mi ha portato al mio più grande amore…il teatro.
BEATRICE: Sono Beatrice Fedi, classe 90. Toscana ma vivo a Roma da dieci anni ormai. Sono un’attrice, performer. Ho studiato tanto il teatro e lavorato con personalità preziose che mi hanno dato molto, ad esempio Daria Deflorian per il teatro che mi ha insegnato cosa sia “un’apertura” per l’attore e Biagio Caravano per la danza, che studio da sei anni ,grazie al quale ho imparato ad amare il mio corpo. Ad un certo punto poi ho sentito la necessità di diventare anche autrice di ciò che performavo per prendermi cura di me, crescere e raggiungere un’indipendenza emotiva e artistica. È così che ho pensato a CRiB. Credo molto nell’unione delle forze, nell’incastro delle idee. Sulle spalle dei giganti, cerco di perseguire la mia strada come piace a me. Ricerco sulla personalità e l’originalità, sulla gentilezza e sui doni. Sulla genuinità, l’ascolto e il silenzio. La forma di creazione più alta per me è la poesia. Emily Dickinson è la mia strega guida.
VALERIANA: sono nata sulla costa molisana, la regione italiana che “non esiste”. Da sette anni vivo a Roma e sono un’artista. Svolgo ricerche appoggiandomi a discipline diverse che mi aiutano a indagare attraverso gli strumenti propri dell’arte i comportamenti e la percezione del genere umano.
Sono cresciuta in una famiglia che mi ha dato la libertà di esprimermi e di fare delle scelte in momenti cruciali della mia crescita. Sin da piccola ho vissuto la percezione di me stessa e dei miei comportamenti in modo molto chiaro, ma allo stesso tempo ero inconsapevole su come ci riuscissi. Alle scuole superiori avevo una grande passione per Dylan Dog e la mia Prof.ssa di Psicologia aveva paura di me. Erano gli stessi anni in cui mi sono appassionata al cinema Horror, prima, e al cinema storico “d’autore”, che oggi condiziona ogni cosa che faccio (utilissima conoscenza anche nelle relazioni amorose per frasi d’effetto per lo più adatte a momenti drammatici). Passavo molto tempo con gruppi di giovani più grandi di me ed ero nominata “SuperJean” (da uno slang di Super Giovane), si meravigliavano che all’età di 16 anni conoscessi i Marillion, e altri gruppi musicali di nicchia che spaziavano dal hardcore al punk, allo stoner, allo psychobilly e derivati. Ho due sogni ricorrenti, il primo che mi porto dall’infanzia, in cui vengo rincorsa da una pezzo di carta accartocciato in uno labirinto bidimensionale, precisamente una lavagna, pieno di trappole e pavimenti mobili. L’altro, più adolescenziale, che salvo un neonato estraendolo da un’auto incidentata in fiamme, unico sopravvissuto al disastro, e lo allevo come figlio mio. Il suo nome è Thomas.
Paragrafo uno: inizio dalla “fine”.
Il titolo del paragrafo intende davvero, in modo molto insolito, svelare già la fine.
Dall’inizio dello spettacolo, il mio pensiero era quello di arrivare alla fine, per giungere al momento in cui le miei emozioni cessassero di essere travolte, quel momento emozionale che in un’unica parola definirei “catarsi”.
La tematica affrontata è la questione di genere, un tema molto lontano dal mio interesse di studio e di ricerca, ma in questa sede mi trovo a scrivere poiché l’esperienza dello spettacolo mi ha dato molto materiale su cui riflettere.
Queste emozioni specifiche legate al “senso di una fine” (Kermode 2004), già affrontate da Aristotele sul concetto di “catarsi” si riferiscono all’intera tragedia e non a singoli passaggi, meglio riferito al fatto di aver seguito da spettatori il suo intero svolgimento. Molti autori, tra i quali Gadamer (2000) in un’intensa pagina del suo libro più famoso, insistono sul fatto che l’utilità del sentimento catartico, legato al senso della fine, si presenta secondo una peculiare declinazione etica: chi lo prova si accorge (intelligenza delle emozioni) che sta sperimentando una modifica essenziale nel suo ethos (Montani P., 2019). Ci si accorge di non essere più quelli di prima. È interessante constatare che questa modifica coincide, per Gadamer, con il principale significato del concetto stesso di “esperienza”, Erfahrung, tra i più oscuri di cui il pensiero debba occuparsi.
Nella Psicologia dell’arte il grande psicologo Lev S. Vygotskij (1975) ripensa il concetto aristotelico della catarsi. Solo alla fine della lettura di un testo (o della visione di un film) mi si fa chiaro (“chiarificazione” è uno dei significati della parola greca) quali fossero davvero quei sentimenti, quei “pathe” opachi, ambigui o perfino contraddittori, che ho provato, senza afferrarli davvero, mentre ne seguivo lo svolgimento. Me ne accorgo nachträglich, a cose fatte (Montani P., 2019). Su questo punto convergerebbero Aristotele, Kermode, Gadamer e anche Freud.
Gli spunti iniziali di CRiB per realizzare U* partono da una notizia pubblicata nel Novembre del 2016, quando in Canada nasce un bambino e nella sua tessera sanitaria viene indicato “Undetermined” sotto la voce “Gender”. Facendo una serie di ricerche, da quel caso, altri sono stati gli Stati in America che hanno modificato la legge a riguardo, in favore di un nuova attitudine sul gender e con l’intenzione di eliminare quel concetto di “diversità”. Anche la Germania, a gennaio 2019, introduce il terzo gender, indicato come “intersex”.
Vi cito due passaggi fondamentali del monologo finale, in cui le parole recitate dall’attrice sono sinestetiche a un movimento corporeo e una gestualità delle mani:
“Il dizionario medico del Dorland, nel 1901, definisce con il termine eterosessualità <<il desiderio anormale e pervertito nei confronti del sesso opposto>>. Anche se la divisione etero / omo sembra un fatto eterno e indistruttibile della natura, semplicemente non lo è. È solo una recente grammatica che gli uomini hanno inventato per parlare di cosa il sesso significhi per loro. Heidegger diceva ‘le parole non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per pensare’. Non si può pensare senza le parole.”
“Nel 390 gli imperatori cristiani condannano alla morte sul rogo gli omosessuali.
Al contrario, nel 218 l’imperatore romano Eliogabalo tenta di modificare il proprio sesso chirurgicamente. È il primo transgender della storia. Il termine ‘transgender’ etimologicamente significa “al di là del genere”. Si potrebbe quindi riferire anche a quelle persone che non sono esclusivamente maschili o femminili, che non si sentono rappresentate dentro lo stereotipo del genere. “La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.” scriveva Nietzsche. In quanto corpi in continuo divenire molecolare, biologico, fisico, epidermico, anagrafico, intellettuale, emotivo e culturale, siamo tutti individui in transizione. Nessuno escluso.”
… to be continued… (domani sui canali web di Arshake)
immagini: (cover 1) CRiB – da sinistra a destra: Beatrice Fedi, Carolina Ciuti, Roberto di Maio(2) Carolina Ciuti, photo: i Marta Lallana ©2018 (3) Roberto Di Maio, photo: Marta Lallana ©2018 (4) Beatrice Fedi, photo: Marta Lallana ©2018(5) U* Teatro Cavallerizza – Festival Aperto, Ottobre 2018, photo: Alfredo Anceschi ©2018 (6) U* Teatro Sociale Gualtieri – Direction Under 30, photo: Riccardo Paterlini ©2018