Prosegue, oggi con il secondo di tre appuntamenti, l’intervista sperimentale di Valeriana Berchicci a CRiB, un dialogo teatrale che ripercorre lo spettacolo e progetto Manifesto U*, andato in scena a Roma negli scorsi 10, 11 e 12 gennaio, 2019. L’intervista è divisa in cinque paragrafi e pubblicata su Arshake in tre atti (Leggi qui la prima parte, pubblicata su Arshake il 05.03.2019)
Protagonisti:
Carolina Ciuti: co-autrice e direttrice artistica di U*
Beatrice Fedi: co-autrice e attrice di U*
Roberto Di Maio: co-autore e regista di U*
Valeriana Berchicci: intervistatrice e spettatrice di U*
…VALERIANA: Nell’Aprile 2018 mi trovavo a Barcellona e tramite una delle mie escursioni in giro per la città, sono passata alla sede amministrativa del LOOP, un Festival di video arte in cui si organizzano mostre, fiere e conferenze, nella città di Barcellona. È un Festival itinerante a cadenza annuale, dura 2 settimane, e coinvolge gallerie, musei, ristoranti, negozi della città.
Conosco in quell’occasione Carolina, che lavora come direttrice artistica del Festival da molti anni. Abbiamo preso un caffè insieme e abbiamo parlato a lungo dei nostri progetti, istaurando un rapporto che dura ancora oggi. In quell’occasione Carolina mi parla di CRiB, annunciandomi le date del debutto che si sarebbe svolto lo scorso luglio 2018 all’interno della quinta edizione di “Direction Under 30 mutuo soccorso teatrale” presso il Teatro Sociale di Gualtieri (RE). Non mi svela nulla sul progetto perché era tutto ancora in fase di lavorazione ma da quel momento ho cominciato a seguire i loro spostamenti. A luglio, seguendoli a distanza, godevo delle immagini e delle prime interviste rilasciate sul web e sui social. Era difficile per me raggiungerli, ma ero totalmente attratta da questa loro volontà di mescolare varie provenienze di studio e di condensarle in un’esperienza teatrale. Subito al debutto vincono il Premio alla Critica del Festival. Mi rivolgo ora a loro:
Mi piacerebbe che insieme mi parlaste di CRiB. Che cosa è? Come nasce?
CAROLINA, ROBERTO E BEATRICE: CRiB nasce nel 2017 dalla nostra passione comune per il teatro, le arti visive e la performance in generale. Amici da molto tempo, ci ha guidati dalla curiosità di esplorarCI l’un l’altro dal punto di vista professionale e la voglia di dar vita ad un progetto condiviso, collettivo e personale che rispecchiasse le nostre diverse personalità e formazioni. Così, in modo molto spontaneo abbiamo dato vita a uno spazio intimo per la creazione di proposte ‘ibride’ a cavallo tra discipline sempre diverse, arrivando dopo quasi un anno di ricerca a ‘partorire’ il nostro primo progetto: U*.
Paragrafo due: un’esperienza singolare.
Prima di entrare nel pieno dell’intervista in cui i singoli i membri del collettivo sviscerano un po’ le fasi cruciali della costruzione del progetto, voglio concentrarmi sull’esperienza che ho avuto come spettatrice sia dal punto di vista dei contenuti affrontati sia nella forma in cui sono stata messi in scena.
Il paragrafo ci chiama così perché a mio avviso è stata davvero un’esperienza singolare. Diciamo che sono abbastanza abituata a frequentare il Teatro, ma in questo periodo storico posso ufficialmente dichiarare di non aver mai fruito di un’esperienza come quella che ho fatto con il progetto di CRiB.
Questa singolarità è data da diversi elementi: il progetto è costituito da una commistione di discipline. Al suo interno è composto da elementi di arte contemporanea, con citazioni a Pina Bausch, elementi verbo-gestuali del teatro che inglobano la performatività dell’attrice ai limiti tra quella corporeità che riguarda la biomeccanica di Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d e le coreografie del contemporaneo William Forsyte. La scenografia è costituita da elementi multimediali, proiezioni e all’utilizzo di tecnologie di comunicazione fondamentali oggi per il genere umano: da un nuovo modello di polaroid alle Skype call.
Uno degli elementi però davvero singolari dell’esperienza è che l’attrice cerca di coinvolgere attivamente il pubblico, tanto che i primi tentativi d’interazione, non vengono percepiti dal pubblico che sembra non crede che può parlare e contribuire alla storia, anche attraverso una presenza in scena o dando un’opinione verbale o gestuale. Lo spettatore è interattivo, il testo, che non è stato progettato per svilupparsi in un certo modo, lascia allo spettatore la facoltà di partecipare in un modo piuttosto che in un altro, compiendo delle azioni che però vengono condivise insieme agli altri presenti, ma attraverso la singola interpretazione finale dell’esperienza catartica. CRiB con questo spettacolo ha suscita emozioni singolari proprio per il fatto che il testo, in momenti importanti, è trattata in modo aleatorio.
Vorrei che i lettori di questo articolo sapessero da voi qual è stato il desiderio, l’interesse, la necessità e la vostra responsabilità nell’aver scelto di realizzare questo progetto.
ROBERTO: U* è il primo risultato della nostra comune necessità di trasformare il nostro impegno sociale e politico in arte, attraverso la commistione di diversi linguaggi artistici.
U* porta con sé la necessità di distruggere le categorie che pensiamo ci rappresentino e ma invece ingabbiano fortemente, limitando una libera fruizione di noi stessi, a livello sociale e di rapporti interpersonali.
U* è anche il tentativo di rottura di ciò che ha fortemente condizionando (e continua a farlo) l’arte, in special modo la letteratura e il teatro: l’autobiografismo. Soprattutto se si parla di identità di genere. Troviamo sia davvero sterile, limitare il diritto di parola e di racconto ai soli casi di reale esperienza personale. Crediamo invece che proprio in questo risieda la forza del nostro spettacolo che può aggiungere un punto di vista diverso e inaspettato.
U* è un inconsapevole manifesto artistico di CRiB poiché essendo il primo progetto è una sorta di dichiarazione d’intenti non voluta, che prende spunto dalle nostre diverse formazioni artistiche.
U*, infine, si nutre di conferme. Dopo lo spettacolo siamo stati felici di sapere che in diversi stati (New York, Germania, California etc…) diventava legale la possibilità di non specificare il sesso sui documenti.
VALERIANA: Quali sono state le fasi cruciali del processo, quelle di definizione, di ricerca e di riflessione che sono alle origini del percorso che avete intrapreso per questo progetto?
BEATRICE: Nel 2016 ho iniziato ad interpretare ruoli maschili. Proprio in quel periodo, siamo venuti a conoscenza della notizia canadese del primo bambino al mondo registrato come U-Undetermined. Le cose si collegavano, non casualmente. Dovevamo dare fiato allo scalpore che si era creato in noi una volta a conoscenza della notizia, anche e soprattutto per capirne di più. Per provare a rispondere a domande universali, per imparare a non stereotipare, per indagare un luogo buio che non conoscevamo ancora bene, ma che sentivamo avrebbe potuto darci molto. Ci ha incuriosito questa non-scelta molto coraggiosa e questo tentativo di creare uno spazio di mezzo.
Pieni di domande, quindi, abbiamo iniziato a formarci ed informarci interrogando prima di tutto i protagonisti di queste esperienze, poi studiando grandi filosofi come Michel Foucault o Judith Butler. Siamo tornati indietro sui libri di storia: ci siamo accorti come 5000 anni fa, le parole avessero un suono diverso rispetto a come le ascoltiamo oggi. Molte cose avevano un altro valore.
La società di oggi ci impone certi canoni o categorizzazioni che abbiamo voluto svelare al pubblico per poi distruggere fino a uno status di svuotamento positivo per tornare al grado zero della forma come diceva Kazimir Malevich.
Sono rimaste risposte non definitive e ancora aperte ed è per questo che portiamo in scena i nostri dubbi e i nostri punti di apertura e insieme al pubblico ripensiamo a come un punto di vista può cambiare la visuale e quali altre domande sia necessario porsi o quali nuovi luoghi possibili possiamo ancora immaginare.
Paragrafo tre: Interattività e condivisione.
Lo spettacolo di U* corrisponde, nella sua creazione, a una delle caratteristiche dell’interattività: il testo è costruito in parte dallo spettatore, nel senso che effettuando via via una delle scelte proposte dall’attrice in scena, come per esempio decidendo di intervenire analizzando delle immagini proiettate sulla schermo o di scegliere di dire una frase offensiva o meno, alla fine monterà una storia che gli appartiene almeno quanto appartiene agli autori. I quali hanno concepito questo prodotto come una macchina generativa di varianti testuali, che parte da un testo unitario, ma subisce delle trasformazioni in base alle risposte e alla partecipazione della “tipologia” di pubblico, che varia a seconda del contesto in cui si svolge lo spettacolo.
Lo spettatore interattivo si trova, in tal modo, in una situazione anomala, egli può, e deve, impegnare una normale attività di cooperazione interpretativa solo dopo aver interagito ai fini della costituzione del testo. Solo dopo averlo costituito, cioè, egli si troverà nelle condizioni di provare a capire, e a sentire, che cosa avrà via via proceduto a comporre. Un po’ come succede nel bricolage, o nell’improvvisazione, o in quelle forme della produzione artistica (l’action painting, per esempio) che seguono il principio del “darsi la regola via via che si procede”. Per cui solo alla fine tu – bricoleur, improvvisatore, action painter – arrivi ad afferrare la necessità di ciò che hai prodotto, e che cosa hai davvero percepito e sentito nel produrlo. Siamo al punto: e se stesse proprio in questa “posteriorità” o in questo “ritardo” (in questa Nachträglichkeit diceva Freud a proposito del lavoro dell’inconscio) uno degli effetti significativi dell’interattività in genere (Montani P., 2019).
VALERIANA: cosa rappresenta il dispositivo TEATRO, rispetto alla perfomance che avete scelto di mettere in scena per sviscerare le tematiche affrontate?
ROBERTO: La volontà primaria del collettivo è quella di non limitarsi ad un solo campo artistico ma di provare ad abbracciarne diversi. Sia vivendoli separatamente che mescolandoli.
La scelta del teatro come prima “tappa” di U* è stata piuttosto naturale per diverse ragioni. Prima di tutto perché come abbiamo già detto il tutto è nato a partire dalle ultime esperienze di Beatrice in teatro. Per cui ci abbiamo semplicemente continuato a percorrere la strada che ci si era già delineata davanti. Inoltre volevamo un’azione performativa in linea con il pensiero di Judith Butler per cui tutti noi “performiamo la nostra identità” continuamente. Il teatro poi pensiamo che accolga nel migliore dei modi i diversi linguaggi. È corpo e quindi danza e movimento. È parola, confronto verbale e poesia. È immagine, video, luci. È un rito che storicamente si è sempre fondato sulla collettività e l’accettazione della diversità. Ma appunto è solo la prima tappa.
VALERIANA: Come avete organizzato lo spazio scenico, lo spazio corporeo peri-personale dell’attore e i luoghi in cui è stato svolto lo spettacolo in cui lo spazio è stato cambiato o reinventato?
CAROLINA: Quando abbiamo cominciato a lavorare alla messa in scena, ci è apparso chiaro fin da subito come la struttura dello spettacolo dovesse rispecchiarne i contenuti: fluida la sostanza e fluida anche la forma! Per questo motivo, pur pensando al teatro, abbiamo scelto di incorporare linguaggi afferenti tanto al mondo della performance – intesa in senso lato – e dell’arte, e questo ha inevitabilmente influenzato la qualità dello spazio dedicato all’azione scenica, trasformandolo in una superficie quasi interamente bianca su cui proiettare immagini in movimento e monocromi avvolgenti. Inoltre, dal debutto nazionale al Teatro Sociale di Gualtieri lo scorso luglio, fino all’approdo a Carrozzerie n.o.t. a Roma questo gennaio, l’impianto scenico si è andato trasformando di volta in volta rispettando le caratteristiche degli spazi ospitanti e le diverse possibilità tecniche. Se per le prime date di Gualtieri e Reggio Emilia (a ottobre, nel contesto del Festival Aperto), abbiamo optato per una messa in scena frontale e sicuramente impattante nelle dimensioni, a Roma abbiamo invece scelto di creare uno spazio più intimo e raccolto dove la relazione di Beatrice con lo spettatore fosse più diretta: un cubo bianco, chiuso su due lati dalla presenza del pubblico. Infine, è importante mettere l’accento sulla versatilità di U* in quanto proposta artistica pensata anche per funzionare in spazi museali e urbani. Lo scorso dicembre, per esempio, abbiamo realizzato una performance e una installazione site-specific (IN-trans-IZIONE) all’interno della mostra fotografica dedicata a Lisetta Carmi negli spazi del Museo di Roma in Trastevere, e stiamo adesso pensando a nuovi allestimenti sullo stesso stile.
… to be continued… appuntamento per l’ultima puntata, domani su Arshake (Leggi qui la prima parte dell’intervista
immagini: (cover 1) IN-trans-IZIONE. Performance al Museo di Roma in Trastevere, Dicembre 2018. Foto di Mattero Nardone ©2018 (2) Logo CRiB (3) Beatrice Fedi come maschio. Foto di Elena Ovecina © 2016 (4) U_Teatro Cavallerizza – Festival Aperto, Ottobre 2018. Esempio di Installazione frontale. Foto di Alfredo Anceschi ©2018 (5) U_Carrozzerie n.o.t., Gennaio 2019. Esempio di installazione angolare. Foto di CRiB ©2019