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Zimmerfrei, Tomorrow is the question, 2010, fotografia digital su carta cotone, legno lamellare, 100 x 70 cm, courtesy Galleria Monitor (Roma), Premio Terna 03, Premio Musei (Categoria Megawatt)
Zimmerfrei nasce nel 2000 a Bologna. È un collettivo di artisti costituito da Massimo Carozzi (sound designer nato a Massa nel 1967), Anna de Manincor (filmmaker nata a Trento nel 1972) e Anna Rispoli (regista, nata a Bassano del Grappa nel 1974). Si tratta di un’identità plurale che ha dato vita ad una serie di progetti nati dall’ibridazione dei diversi ambiti di esperienza e conoscenza di ciascun componente del gruppo. Musica, cinema, teatro e video sono la base di un linguaggio artistico complesso con cui esplorare la realtà per rintracciarvi quanto di più irreale essa contiene. «ZimmerFrei è forse un’indagine sulle possibilità della visione», suggeriscono gli artisti in un’intervista del 2011. Paesaggisti del presente studiano e registrano gli interstizi della contemporaneità partendo da riflessioni sul tempo, sul movimento, sull’identità e sulla dualità. I lavori mixed media del collettivo sono stati presentati in numerosi spazi pubblici e privati tra cui il MaXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, il Mambo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, la Galleria Monitor di Roma, la Front Room Gallery di Brooklyn, la GNAM – Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, l’Italian Institute of Culture di Londra, il Fokus Museum ad Innsbruck e il MAMM – Multimedia Art Museum di Mosca. Il loro lavoro è stato presentato anche nell’ambito di numerosissimi eventi e festival. Tra questi: Festival Internazionale del Film di Roma, Thessaloniki Documentary Film Festival, Vision du Rèel – Festival international du cinéma documentaire di Nyon, Budapest Architecture Film Days, Docucity Film Festival di Milano e al Santarcangelo 13 International Festival of The Arts a Santarcangelo di Romagna. Zimmerfrei ha ottenuto molteplici riconoscimenti come il premio Salina DOC Festival (2014), il Gotham Prize (2012), il primo premio di Visioni Italiane – Doc (2009) e il premio per miglior film del Festival Videopolis (2007).
La fotografia digitale, parte della serie Tomorrow is the Question, che, in occasione del Premio Terna 03 (2010) ha vinto il Premio Musei nella categoria Megawatt, è scattata a Coney Island (NYC) per ritrarre un gruppo familiare allargato e, sullo sfondo, la rappresentazione della transitorietà, ciò che resta di Dreamland, un ambizioso parco dei divertimenti di inizio Novecento. «Con Tomorrow is the Question, è iniziata una riflessione sulla trasmissione familiare di sapere e destino».
Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
All’inizio del Novecento, poter dire di essere un artista era una cosa preziosa ed elitaria. Alla fine del secolo scorso la nozione di creatività si era espansa a tal punto da contenere in sé tutte le arti e i talenti umani. Il manifesto del momento era: «tutti possono essere artisti». Da Duchamp in poi la stessa idea di «arte» è passata attraverso un processo di democratizzazione generale. In questo momento di grandissima crisi economica e lavorativa, in cui le competenze perdono di significato e la specializzazione non ha più senso, i lavori nascono e muoiono nel giro di pochi anni ed è tutto polverizzato, vendi valore aggiunto come potresti vendere fumo. C’è una precarizzazione generale, ma è quello che gli artisti hanno sempre vissuto: la dark side della professione d’artista, non la parte luminosa, quella della creatività, dell’eccezionalità e della libertà, ma l’ignoto. Un giorno ti svegli, il mondo è cambiato e quello che fai potrebbe non avere più significato. Ti alzi e potresti trovare spento il tuo motore, la tua sorgente interiore. Tutto potrebbe finire ogni giorno. Questi sono i rischi che accetti nel momento in cui studi, aspiri e cerchi di diventare l’artista che senti di essere e provi a farlo diventare il tuo lavoro. Ma oggi questa dark side sono costretti ad accettarla anche persone che non l’hanno scelta per vocazione. Il ruolo dell’artista è quasi ribaltato: forse è l’unico che non si impaurisce nel momento in cui gli dicono che niente è sicuro, che non c’è lavoro e i soldi sono finiti. Non augurerei a nessuno, senza averlo voluto, di vivere questa sensazione di terrore. Ma se è qualcosa che hai scelto può essere esaltante, invece che paralizzante. Forse gli artisti in questo momento hanno un ruolo di testimonianza, di rassicurazione: non esistono solo questo mondo, queste regole, questa società. La vita e il futuro sono ancora nelle nostre mani.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
Come sentimento sono sempre positiva ed ottimista ma quando mi metto a ragionare e a rispondere alle domande sono cinica e pessimista. Se tu mi dici «è quello che sta accadendo davvero?» a me sembra che nel mondo dell’arte la crisi economica generale stia facendo un po’ quello che fa anche in altri settori: acutizza le gerarchie. Perciò mi sembra che resistano i grandi nomi, quelli che stanno al livello dell’investimento finanziario o dello star system. Sono invece molto compresse la produzione, la circolazione e il collezionismo degli appassionati dell’arte, cioè delle persone normali. Per quanto riguarda l’impegno sociale, noi – in prima persona – abbiamo tentato più volte realizzando opere nello spazio pubblico, perciò con una valenza sociale. Ma l’arte pubblica non è sinonimo di impegno sociale. La ricerca di allargare il campo dell’arte o il bacino dei suoi fruitori mi sembra nasconda altre ragioni: essendo compresso economicamente, questo mondo cerca di darsi delle ragioni d’essere che sembrano il più condivise possibile, da elitario vuole diventare pubblico. D’altra parte quella dell’impegno sociale è anche una grande maschera: vuol dire chiamare «impegno sociale» qualcosa con cui lavarsi del proprio status privilegiato, nel nome del bene comune. È una giustificazione morale ma non mi sembra che il contenuto sia cambiato: il ruolo dell’arte non è quello di far contenti tutti né quello di risolvere i problemi sociali.
Cosa ha significato per la vostra esperienza e per la vostra ricerca la partecipazione al «Premio Terna»?
Il Premio Terna è stato bandito da un’azienda, un’enorme azienda. Quando abbiamo partecipato alla premiazione e alla mostra per un momento ci siamo guardati da fuori. Per me è stato interessante chiederci «Cosa cerca Terna? Cosa vedono in noi? Cosa gli importa davvero?». Ha significato anche guardare il lavoro di altri e soprattutto il fatto di andare insieme alla mostra di Mosca ha significato relazionarsi personalmente con altri artisti. Noi siamo abituati a lavorare in tanti, però molto spesso gli artisti lavorano isolati, a volte con un senso di grande pressione e competitività. La cosa più interessante di tutta la proposta di Terna è l’obiettivo di creare un’esperienza comune. È molto più importante andare in un posto e fare un’esperienza insieme, piuttosto che allestire una mostra: quello già lo facciamo tutti noi. Questo è, in generale, il limite dei concorsi rispetto alle mostre vere e proprie, in cui il tuo lavoro viene scelto con un’intenzione curatoriale.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritenete sia il migliore da questo punto di vista?
L’Italia è tutta diversa perché non esiste uno status di lavoratore indipendente sostenibile, che sarebbe una grande conquista per tutti i lavoratori, non solo per gli artisti. Si dovrebbe coltivare una mentalità più attuale capace di guardare al contemporaneo tanto quanto al Patrimonio. Questo non si accresce senza investire sul presente. Abbiamo messo a sistema solo l’antico e tutto il resto lo abbiamo lasciato all’iniziativa di ognuno di noi. Siccome gli artisti italiani sono tanti e dispersi per il mondo non moriranno mai, però c’è molto più potenziale di quello che viene coltivato. La questione è mettersi in testa che il contemporaneo equivale come valore e come investimento a quello che si fa(rebbe) per l’Heritage.
Per quanto riguarda il paese migliore dico il Belgio semplicemente perché è quello con cui siamo più in relazione. Poi quello che fa il Belgio a sostegno della creatività lo fanno anche altri paesi: i Paesi Scandinavi, la Francia e la Germania. Una di noi tre, Anna Rispoli, è andata a vivere a Bruxelles e dopo due anni che era lì, facendo un percorso professionale, alla luce del sole, pagando le tasse, senza essere cittadina ma semplicemente residente, da italiana che vive a Bruxelles, è diventata a tutti gli effetti un’artista belga.
In quale direzione si è evoluta la vostra ricerca più recente? Ci potete anticipare progetti e prospettive future?
La nostra produzione è sempre più orientata alla produzione di film documentari, installazioni ambientali, lavori sonori. Il riferimento è sempre meno l’opera oggetto d’arte, andiamo sempre di più verso dispositivi più larghi, che sono il cinema, l’ascolto, la città, il web, che presuppongono una condivisione d’esperienze e non il fatto di produrre un oggetto fisico. Lavoriamo con delle produzioni, o le cerchiamo o ce le propongono, partono come commissioni e diventano coproduzioni. Lavoriamo come con una produzione di tipo teatrale, che produce una cosa da fare dal vivo, più spesso sonora piuttosto che performativa, oppure una produzione di tipo cinematografico.
Uno non lo possiamo anticipare troppo ma è un film documentario su un’isola del Nord dell’Olanda, Terschelling. Il titolo sarà Temporary Island. È un documentario fatto con alcuni degli abitanti dell’isola sull’idea di «geografia sperimentale». Per gli olandesi il fatto di condizionare il territorio artificialmente è una cosa normale; la a loro stessa nazione è stata fatta dalle dighe – ma quest’isola, in particolare, è come se fosse un oggetto di land art che si evolve anche come terreno di esperimenti di biodiversità o di landcraft, in bilico tra conservazione e trasformazione continua del paesaggio. Il film comincia come un film geografico, poi diventa un western e finisce come uno zombie movie. Ci abbiamo lavorato un anno intero e la prima sarà a giugno 2015 al Festival Oerol. Un altro progetto, molto diverso, è una combinazione tra film e performance: Family Affairs. Attraverso il network europeo Open Latitudes lo porteremo in otto città diverse in Europa e in ognuna di queste coinvolgeremo delle persone che fanno parte di «famiglie intermittenti», gruppi familiari compositi o ricomposti, molto mobili sia territorialmente che socialmente. Non ci interessa l’aspetto politico-sociologico. Ci interessa ottenere un ritratto della vita futura, di come crescono e di come immaginano la vita (il tempo, l’amore, lo spazio, il lavoro) i bambini che nascono oggi. È una specie di «peoplescape».
In un’intervista con Katia Anguelova nel 20091 affermate che «le nuove città dell’immaginario sono Mumbai, Shanghai e Dubai». Cosa rispondereste oggi?
Quelle del 2009 le attualizzerei così: Mumbai, Shanghai e Seoul, al posto di Dubai. Ma le città del nostro immaginario sono piuttosto: Buenos Aires, Beirut, Bruxelles e Bologna (tutte città con la B).
Come sono cambiati, a vostro avviso, i confini tra pubblico e privato?
È come se queste parole si stessero rovesciando, come un calzino: prima si arriccia tutto, poi fa completamente il giro: l’interno diventa esterno e viceversa. Il privato è diventato di pubblico dominio e il pubblico viene privatizzato. La possiamo vedere alla marxista: tutti ci stiamo rendendo conto che il nostro privato è messo a sistema e sta lavorando indebitamente e tutta questa vita che lavora non torna più. Ognuno di noi si sta costruendo degli anticorpi per salvarsi o per riuscire a vivere in questa nuova condizione.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del «Premio Terna» ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Terna potrebbe investire cento volte di più e non se ne accorgerebbe neanche. Quindi secondo me potrebbe aumentare la potenza del contatore della trasmissione di energia. La formula potrebbe essere ancora più efficace agganciandosi a delle cose esistenti di grande qualità, come alcune residenze internazionali per artisti, agendo come sponsor. Le residenze sono esperienze formative importanti, più che la prospettiva di una mostra, del catalogo o di una piccola vendita o acquisizione. Per me è molto interessante quando una application molto orizzontale ti permette di accedere a un contesto molto professionale. Un esempio per tutti è ISCP (Brooklyn, New York). Le residenze americane sono supportate da grants. Le residenze si pagano sempre, anche quando sei selezionato meritocraticamente per il tuo curriculum. Allora può essere importante avere dietro di te un’istituzione, una galleria, una fondazione o un premio. Noi, per esempio, ci siamo andati con il Premio Seat Pagine Bianche. La residenza è un’esperienza non solo espositiva, ma anche formativa e produttiva.
1 Katia Anguelova, Ilaria Gianni, Paola Nicita, Se dico “futuro” a cosa pensi? Arte e critica n. 60, sett-nov 2009
2 Katia Anguelova, Ilaria Gianni, Paola Nicita, If I say “future” what do you think about? Arte e critica no. 60, Sept-Nov 2009
immagini (cover 1 – 2) Zimmerfrei, Tomorrow is the question, 2010, fotografia digitale (3) ZimmerFrei, Marseille, 2013, photo by Roberto Beani (4) Zimmerfrei, Quando. Foresight, 2010 (5) Zimmerfrei, Le stanze sono libere, 2011, photo by Chiara Balsamo (6) Zimmerfrei, Senza titolo (di un dio minore), ascoltatrice, photo by ZimmerFrei (7) Zimmerfrei, La beauté c’est ta tete, 2014 (8) Zimmerfrei, Radura, 2011, photo by Matteo Mezzadri.