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Andrea Aquilanti, Acqua, installazione con videoproiezione sonora, 2009. Premio Terna 02 (categoria Megawatt)
Andrea Aquilanti è nato a Roma nel 1960. Il suo lavoro ruota attorno a un interesse costante per la luce, per l’adattamento e la sinergia dell’opera con lo spazio che la ospita, per la reazione percettiva di chi guarda. Tradizione e modernità, tecniche e tecnologie si sovrappongono per orchestrare scenografie percettive formulate in un lessico fatto di luci, di segni, e del loro integrarsi «nel» e «con» lo spazio, nel loro rimanere, allo stesso tempo, distinti e distinguibili nelle loro specificità linguistiche – video, disegno pittura che siano.
Particolarmente cari all’artista sono alcune sedi che hanno ospitato le sue opere, dal Nuovo Santuario del Divino Amore a Roma, al territorio sardo di Berchidda, allo storico spazio del Foro Romano, le cui peculiarità hanno generato nuovi lavori e ispirazioni. A questi si aggiungono i numerosi spazi privati e pubblici del circuito dell’arte, in Italia e nel mondo, tra i quali: Castello di Volpaia, il Centro Luigi Pecci di Prato, la Galleria Oddi Baglioni, il Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea Università La Sapienza, la Galleria Ugo Ferranti, The Gallery Apart, Palazzo Barberini, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, il MACRO di Roma. Anche all’estero il suo lavoro è stato presentato in sedi private e istituzionali, come la Galerie Vivas a Parigi, Cordy House e l’Istituto Italiano di Cultura a Londra. Dopo la mostra del Premio Terna a Shanghai il suo lavoro è stato presentato in diverse sedi estere, come la National Theatre Art Gallery di Addis Abeba, Beijing 5th International Art Biennial, Sangsang Madang Gallery di Seoul continuando a consolidarsi sul terreno nazionale come artista rappresentativo della scena artistica italiana. Acqua, l’opera che ha distinto il lavoro di Aquilanti nel Premio Terna 02 (categoria Megawatt), è un’installazione ambientale visivo-sonora che simula la perdita d’acqua dal soffitto e la sua raccolta in nove secchi, creando una «condizione di sospensione tra realtà fisica e visiva» (cat. di mostra). L’intervista con Andrea Aquilanti si è svolta nel suo studio maggio 2014.
Quale è lo stato dell’arte oggi in Italia? Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
Se parliamo di tutti i vari elementi che compongono il sistema dell’arte, ovvero musei, gallerie, critica, curatori, etc., non credo che lo stato attuale si possa dire felice rispetto ad altri paesi, almeno questa è la mia sensazione, mettendo anche insieme le opinioni e i racconti degli artisti italiani che all’estero ci vivono. Conosco un po’ la scena internazionale ma vivo e lavoro soprattutto in Italia. Allo stesso tempo, però, credo che lo stato della ricerca in Italia sia ottimo; questo mi sembra il lato positivo e va assolutamente coltivato.
Per quello che riguarda il ruolo dell’artista nella società, lo definirei marginale. Non credo che questo sia un danno, tutt’altro. In questo mi ritengo un romantico. Sono convinto che si possa ricercare nel proprio studio. Paolini dice: «o stai sul trono o stai nell’angolo» e secondo me ha ragione. Preferisco stare nell’angolo, così come l’angolo è spesso il luogo prediletto di molti miei lavori.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato a un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre a un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
Che la crisi porti a un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole? Me lo auguro con tutto il cuore. Per quanto riguarda l’impegno sociale, invece, credo che questo sia presente nel lavoro di ogni artista e si esprime attraverso i linguaggi che impiega e nelle modalità con cui lo esterna. Nonostante il mio lavoro non si estenda a un impegno espressamente sociale, quando faccio un buon lavoro, spero sempre che questo incida sulla percezione di chi guarda; e che diventi così, in qualche misura, sociale.
Ricordi la tua partecipazione al Premio Terna? Stavi lavorando a un progetto in particolare?
La mia partecipazione al Premio Terna ha coinciso con la realizzazione di Acqua, un lavoro che ho realizzato per Time in jazz a Berchidda. Dopo poco uscì il bando del Terna. Il tema era sempre sull’energia, e in particolare sulle possibili alternative ecosostenibili, in qualche maniera energia povera, appunto, di perdita. Questo mi ha fatto pensare che Acqua potesse rispondere a quel tema, e l’ho proposto. Raccogliere quello che oggi viene sprecato, buttato, scartato e porlo sotto una nuova luce, farlo rinascere, farlo diventare un’opera che ci conduce in una dimensione diversa, aperta a nuove visioni, prima inimmaginabili. Evitando il didascalismo, lasciando invece la porta aperta verso una dimensione spirituale, verso l’invisibile che diventa visibile e che ha la forza di trasformare. Acqua era stata concepita per un luogo specifico; ma ho capito subito che si poteva realizzare ovunque. A volte i miei lavori finiscono con la mostra stessa; in quel caso potevo riproporlo e ricontestualizzarlo. Devo dire che è stato ben accolto e capito.
In quale direzione si è evoluta la tua ricerca più recente? Ci puoi anticipare progetti e prospettive future?
Nella ricerca più recente l’impiego delle video-proiezioni mi ha assorbito molto. Ho riflettuto sulla possibilità di impiegare anche altri strumenti, ma la proiezione è ormai diventata per me componente strutturale di un linguaggio che conosco bene e con cui riesco a esprimermi al meglio. La sua natura malleabile mi permette di adattarla all’ambiente, di combinarla con altre tecniche tradizionali, come disegno e pittura, e di portare le persone all’interno del lavoro. Ho sempre fatto un passo alla volta. La ricerca è sempre un mistero, anche per me. Non so mai bene come andrà a finire e cosa andrò a fare. Molto dipende dalle situazioni e dai luoghi che ospitano il mio lavoro. Ho diversi progetti in corso. Nelle mie prospettive future continuo a privilegiare il luogo rispetto a tutto il resto. Sono le peculiarità dello spazio che mi attirano, non tanto i nomi in mostra o altri aspetti correlati al sistema dell’arte.
Hai sperimentato con una varietà di tecnologie e tecniche. In che modo la tecnologia si trasforma in un potenziale creativo e quali credenziali bisogna avere per poterla impiegare in maniera cosciente?
Ho iniziato a lavorare con la proiezione nel 1999. L’esperienza precedente è stata, alla luce del poi, un lento avvicendamento a questo linguaggio espressivo. Ho iniziato con il plexiglas, le luci, le ombre. Sono partito dall’astrazione per poi rimettere mano al segno e all’immagine fotografica. Questa prima fase della mia ricerca mi ha portato, nel ’98, alla mostra al Museo Laboratorio dell’Arte Contemporanea [Voliera, Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea Università La Sapienza, Roma 1999], dove la luce e le ombre generate dalle colonne integrate nella struttura dello spazio si sovrapponevano al disegno tracciato sulla parete per diventare un tutt’uno. La tecnologia mi ha permesso di coniugare linguaggi tradizionali con quelli più contemporanei, di rianimare lo spettro della pittura. Quando sei dentro al lavoro i vari linguaggi ritornano, poi, distinguibili.
Come ti poni rispetto al tuo lavoro di fronte al tema della conservazione?
La conservazione è un problema dell’arte contemporanea in genere. Nel mio caso lo è in particolar modo. Se non consideriamo la pittura, che continuo a fare e ad amare, quasi tutti i miei lavori, alla fine di ogni mostra sono automaticamente distrutti. All’aura del lavoro ci tengo molto. L’aura dell’esperienza che gli altri fanno all’interno del mio lavoro è fondamentale. Non ci sarà foto, immagine, riproduzione che la potrà ricreare. Bisogna viverla. Non è l’elemento oggettuale che mi interessa. Sono molto legato all’ambiente, perciò per me la conservazione è molto difficile e in alcuni momenti di questa «esistenza temporanea» dell’opera ne ho fatto un vanto.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale?
Credo che le istituzioni, nelle loro varie articolazioni, dovrebbero essere più vicine agli artisti. Le modalità di promozione dell’arte oggi sono quelle dei premi e delle residenze, rivolti in special modo agli under 35. Spesso mi capita di pensare che alcune di queste iniziative siano realizzate dalle istituzioni con il solo fine di promuovere se stesse. Certamente per un artista giovane può essere un buon trampolino di lancio. Per chi, come me, ha già una esperienza, resta una sensazione di solitudine. L’Italia deve capire che gli artisti sono una ricchezza. Per crescere hanno bisogno di vicinanza. La promozione dell’arte deve andare oltre la comunicazione, per essere un sostegno vero e proprio. I molti musei e le fondazioni dedicate all’arte contemporanea sorti negli ultimi decenni in Italia forse dovrebbero pensare in primo luogo a mettere insieme collezioni di opere di artisti italiani, per poi promuoverle sul territorio nazionale e all’estero.
Nella necessaria sinergia tra organismi pubblici e aziende credo che bisognerebbe trovare un equilibrio, una sinergia di capacità e una collaborazione costruite sulle diverse velocità con cui istituzioni pubbliche e privati si muovono.
Cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta oggi per un artista il Premio Terna nel panorama Italiano e in quello internazionale?
In Italia, l’aver partecipato al Premio Terna e averlo vinto non è cosa da poco. A parte l’esperienza in sé, comunque notevole. Il Premio e la partecipazione alle mostre correlate, soprattutto, come è stato nel mio caso, se itineranti su scala internazionale offrono grandi opportunità.
Per me è stata una occasione formidabile. Mi ha consentito di andare a Shanghai e di vivere questa esperienza insieme ad altri artisti. Certamente mi ha aperto altre possibilità. Lo stesso lavoro è stato ripresentato a Palazzo Caligola, al MAXXI, al Tempio di Adriano e, appunto a Shanghai. La cosa divertente è che i secchi di Acqua, originariamente trovati nella discarica di Berchidda e riciclati, hanno fatto il giro del mondo.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del Premio Terna ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Iscriversi in rete e quindi dare visibilità a tutti è una cosa molto importante, così come importante è la scelta dei componenti della giuria, che determina il mutamento degli orientamenti. E’ fondamentale che gli esperti chiamati a giudicare non siano sempre gli stessi e che siano di un buon livello. È importante che ci siano premi autentici, che le opere siano vagliate con gli occhi e non giudicate con le orecchie. Io ho partecipato liberamente. C’era una selezione a inviti e una libera, per autocandidatura. Ho partecipato a quella libera, sono entrato dalle qualificazioni. Non è uno di quei premi già assegnati in partenza. È un aspetto che deve rimanere così. Se si continua a mantenere il doppio canale della sezione a inviti e dell’iscrizione libera, allora il mio suggerimento è di rimanere così e di non cambiare.