Il capovolgimento prospettico del rapporto opera-spettatore costituisce uno dei punti nevralgici della ricerca condotta dalla celebre storica e critica d’arte inglese Claire Bishop, nota per aver preso parte al dibattito sull’Estetica Relazionale[1].
Nel volume: Installation Art: A Critical History (2005), la Bishop unisce l’analisi storica dell’arte d’installazione all’indagine teorica sul decentramento del soggetto, preconizzata dalla filosofia post-stutturalista, approdando infine ad una serie di esempi chiarificanti atti a definire le diverse tipologie d’installazione artistica. Il binomio «installazione-decentramento»,baluardo della crisi che investe l’adozione di un punto di vista unico e centrale (perpetrato nei principi prospettici rinascimentali), presuppone l’incorporazione dello spettatore all’interno dell’opera installativa, sottoponendolo alla sperimentazione di punti di vista plurimi.
La letterale presenza dello spettatore all’interno di un’installazione artistica è, secondo la Bishop, la chiave di lettura di questa prassi, in quanto costituisce il presupposto per una percezione attiva e partecipata dell’opera e favorisce la nascita di ciò che può essere definito il trionfo di una nuova «prospettiva multipla».
Claire Bishop, Installation Art: A Critical History, Routlege 2005
[1] Tra i numerosi contributi della studiosa ricordiamo: Antagonism and Relational Aesthetics (2004), Participation (2006), e Artificial Hells: Participatory Art and the Politics of Spectatorship (2012).