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David Reimondo, Poesia di 3 metri, 2009, scultura sonora. Premio Terna 05
David Reimondo è nato a Genova nel 1972. Dopo aver studiato diversi anni a Londra, oggi vive e lavora a Milano. Il suo lavoro si muove tra tecniche e discipline alla continua ricerca di un collegamento tra il mondo interiore e quello esteriore. Conosciuto per le sue installazioni realizzate con il pane, la partecipazione al Premio Terna ha coinciso con l’entrata della sua ricerca in una nuova fase che lascia la materia per muoversi e operare in una dimensione mentale, se pur continuando a sperimentare con i materiali più vari. Questo scandisce l’inizio di una percorso di indagine rivolto alla creazione e alla visualizzazione di nuovi simboli, nuovi fonemi, nuove convenzioni grammaticali che possano orchestrare un nuovo linguaggio che sia sintesi dell’uomo in tutto il corso della sua evoluzione. «La vera madre di questa ricerca – così racconta Reimondo il suo processo creativo in una recente intervista con Neve Mazzoleni – è la produzione dei simboli. Spoglio le parole dalle sovrastrutture – continua l’autore – per arrivare all’essenza visiva e istintiva, sintetizzando, pulendo». Poesia di tre metri, il lavoro con cui ha partecipato e vinto al Premio Terna 05 nel 2013, è un’installazione di tubi di varie misure, che compongono una nuvola. Inquadrato in questa fase di ricerca sul linguaggio e sui fonemi realizzati con tecniche e materiali diversi, Reimondo introduce – per la prima volta – il suono. Partendo dall’idea che il suono è materia, i tubi soffiano suoni e parole del suo linguaggio. Il suono è qui rappresentato attraverso un’estetica visiva piuttosto che auditiva. Il suo lavoro è stato presentato in Italia e all’estero, da gallerie come la Di Meo Gallery (Parigi 2010), Gian Enzo Sperone (Sent, Svizzera 2009) Julie M. Gallery (Tel Aviv 2008), Ermanno Tedeschi Gallery (Torino 2007) e eventi di respiro internazionale, come la Seconda Biennale Internazionale di Malindi (Kenya 2008), il Visual Art Bath Fringe Festival (Bath, Inghilterra 2004) e la Nona Biennale del Cairo (Egitto 2003). L’intervista si è svolta nel suo studio Milanese il 10 giugno 2014.
Qual è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
Questo è un momento di grandi cambiamenti. Gran parte del mondo contemporaneo si sta letteralmente ri-creando ex-novo. In questo contesto, anche l’artista sta cercando una sua nuova posizione e, per quanto l’istinto percepisca che qualcosa è nell’aria, nessuno ancora l’ha trovata. Non ho quindi una risposta. Quello che riesco a vedere è che l’artista ha bisogno di essere sempre più eclettico, di sapersi spostare tra i diversi rami. Uno di questi, per esempio, è legato al sociale e riconosciuto nel termine di «arte pubblica». Ci sono artisti che collaborano con altre figure specializzate, come scienziati, filosofi, studiosi. Altri, poi preferiscono stare da soli, chiusi in studio perché la loro ricerca richiede di vivere una dimensione intimistica. Io credo che l’artista non debba essere uno di questi. Deve essere agile e veloce a muoversi in tutte queste cose, andare in giro, collaborare con realtà diverse così come ricercare nella dimensione più intimista.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
Io credo che la crisi abbia spento l’eccessiva euforia che ha contraddistinto il mondo dell’arte negli ultimi decenni e l’abbia riportato con i piedi per terra. Accanto alle difficoltà del momento questo ha portato grandi benefici per la crescita artistica, restituendo consapevolezza su chi siamo e sulla nostra situazione economica. Certamente si sta sentendo molto l’esigenza che l’artista prenda una sua posizione nel contesto sociale. Per quello che mi riguarda, l’impegno e la presenza in ambito sociale è importante ma capisco anche chi si impegna in una ricerca pura, rivolta più ad una dimensione individuale.
Cosa ha significato per la tua esperienza e per la tua ricerca la partecipazione al Premio Terna? Quali opportunità concrete, anche di mercato, ha generato? (esempi)
Il Premio Terna è stata una bellissima occasione. Devo dire la verità: non mi aspettavo di vincerlo. Ho partecipato perché da qualche tempo mi ero avventurato in una nuova fase di ricerca, diversa da quella che ha visto l’impiego del pane con cui il mio lavoro è stato conosciuto sulla scena italiana e internazionale e che lo ha fortemente connotato. Quindi, quale miglior vetrina se non quella offerta dal concorso di Terna? Arrivare in finale ha significato per me poter presentare un nuovo momento di ricerca, una nuova evoluzione del lavoro rispetto a quello realizzato con il pane. Ho vinto il Premio di recente e per il momento non ci sono state evoluzioni del lavoro rispetto all’interesse di terzi. Confido che queste possano entrare in gioco in un prossimo futuro e sarei felice se potesse capitare anche con Terna stessa.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
A livello burocratico noi artisti non ricadiamo in nessuna categoria. Il primo passo è riconoscere quella dell’artista come una professione. È una questione culturale. L’Italia non vede mai di buon occhio le novità. È un paese legato alla storia e chiuso in se stesso. Esistono delle realtà diverse ma sono casi singoli e si tratta spesso di privati.
Per lo Stato l’arte non esiste. Arte e ricerca non sono affatto valorizzate. Dato che ormai il mondo è facile da percorrere, dobbiamo pensare al mondo. Forse dovremmo andarcene per poi, magari, tornare. Oggi come oggi, in Europa andrei a Berlino. C’è un sistema che aiuta a formarsi come ricercatore in tutti i campi, anche nell’arte. Da subito, se si dà prova di serietà, c’è un riconoscimento come artista e si hanno così delle agevolazioni immediate. Poi ovviamente c’è l’Inghilterra, Londra.
In quale direzione si è evoluta la tua ricerca più recente? Ci puoi anticipare progetti e prospettive future?
Il mio lavoro passato era legato molto alla fisicità, al corpo, come uomo, come carne, che rappresentavo metaforicamente con il pane. In questo nuovo lavoro, invece, voglio affrontare il pensiero, come l’uomo pensa attraverso la lingua e il linguaggio. È tutto basato sull’evoluzione del linguaggio per come si esprime attraverso le regole ben fondate così come attraverso la loro rottura.
Sto cercando di vivere, in tempi relativamente brevi, quello che l’uomo ha vissuto in milioni di anni. Questo mi piace molto perché è un work in progress, ogni volta è una nuova scoperta. Sto cercando di dialogare con realtà esterne al mondo dell’arte che possano influenzare e far crescere il mio lavoro. Sto collaborando, per esempio, con dei sordomuti che stanno interpretando i miei simboli e, su questo, sto girando un video. Sono molto concentrato nell’esplorazione e nella sperimentazione. Sono partito su una nave per un viaggio e non so qual è la destinazione. Ogni giorno, ogni esperienza, diventa un arricchimento per la mia ricerca.
Quali materiali, tecniche o tecnologie che non hai ancora utilizzato potrebbero stuzzicare la tua curiosità come possibile «materia» del tuo universo simbolico?
Molte volte mi vengono idee che non posso realizzare, perché ci vorrebbero dei finanziamenti molto elevati. Mi piacerebbe molto, nello specifico, iniziare a capire la materia del grafema. Ho un progetto utopico, quello di materializzare un’ombra cinese sulla luna. Non potrò mai farlo, credo! Parte tutto da quello che vorrei comunicare in quel momento, la materia mi arriva di conseguenza. Scelgo quella più adatta ad esprimere quello che voglio esprimere. Al momento il grafema mi attira, mi piacerebbe inoltre lavorare con la scienza.
Dalle opere realizzate con il pane all’installazione sonora del lavoro con cui hai partecipato al Premio, come ti relazioni rispetto alla documentazione e alla conservazione delle opere?
Quando devo fare un lavoro, lo concepisco in maniera istintiva. Un lavoro parte dalle proprie conoscenze di base, si arricchisce con i suggerimenti degli amici e poi si perfeziona in una fase successiva. Quella del pane è stata un’intuizione banale: la resina per me ha significato anche un discorso concettuale. Le prime resine erano, infatti, tossiche, non si potevano toccare e ingiallivano nel tempo. Questo materiale si è poi evoluto in resine più sofisticate, non tossiche, la cui brillantezza resiste, che ingiallisce di meno.
Pensando sempre che un’opera deve durare nel tempo, la cosa che mi affascina invece è che un’idea è un prodotto che può essere riproducibile. Il valore di questa riproducibilità è per me ancora un dubbio, non una certezza. Per i cinesi, la copia non è brutta. Noi siamo mentalmente legati all’antico. L’Oriente lo è molto meno. Il mio lavoro sui tubi, secondo me, può essere riprodotto anche tra mille anni, l’importante è conservare la traccia audio. Se non dovesse durare, lo si potrebbe fare perfettamente uguale. In realtà, dipende dal valore che diamo al messaggio della bellezza di quello che abbiamo fatto: l’opera dei tubi con le voci che escono fuori è l’idea. Mi affascina molto pensare che non sia importante la conservazione dell’oggetto stesso, ma dell’idea: se tra cinquecento anni si rifarà, l’idea sarà ancora lì.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del Premio Terna ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Per come è strutturato, il Premio Terna è una realtà italiana molto efficace, perché è aperto a tutti e perché vince l’opera che in quel momento viene ritenuta più bella. Sono molto contento di averlo vinto. Mi sono confrontato professionalmente ad altissimo livello. Come artisti siamo stati molto coccolati, su questo eravamo tutti d’accordo. Il mio consiglio è di eliminare il secondo e il terzo premio, perché l’arte non è un’olimpiade.