< Interviews
Elena Hamerski, Studio Sull’impossibile, video in loop, Premio Terna 04 (categoria Gigawatt, under 23)
Elena Hamerski nasce a Forlimpopoli nel 1989. Studia pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, specializzandosi poi in Didattica dell’arte e in mediazione culturale del patrimonio artistico. Tra azione pittorica e pittura/performativa, si occupa di tecniche calcografiche, performance, video, audio-installazioni e progetti site specific. Il rapporto identitario tra popoli, individuo e geografia, quello tra natura e artificio, il significato primigenio di spazio e di tempo, sono alcuni dei temi che ruotano attorno ad una ricerca di approccio antropologico che accoglie ogni tipologia di tecnica che si presti a canale emotivo dell’artista, incluso l’impiego del suo stesso corpo, come quando nelle sue «pitture performative». Elena Hamerski lavora ed espone principalmente tra Forlì e Bologna, nel 2012 alla Biennale d’Arte di Asolo (TV) e al MIC_Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (RA). Vince il premio 900 IN ARTE – Confini Globali, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e Accademia Albertina di Torino a Torino (TO).
Studio sull’impossibile, lavoro con cui ha partecipato e vinto al Premio Terna 04 (2012) nella categoria Gigawatt (under 23) è un tentativo, attraverso un video in loop, di scolpire un sasso nella speranza di un futuro successo, metafora dell’instancabile fare artistico. «L’elemento archetipo del sasso rappresenta l’importanza di percorrere la situazione contemporanea dell’uomo in una visione antropologica, dove per capire l’oggi ci si riappropria della memoria, come storia e come origine. Una ri-esplorazione di sé non solo come essere individuale, ma come essere universale» (Marco Servadei Morgagni).
Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
Chiaramente in via ipotetica, l’artista dovrebbe aiutare la società a riflettere su sé stessa. È un compito che ciascuno con il proprio linguaggio, in stile «alto» o ironico che sia, ha la capacità di fare.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. E’ quello che sta accadendo davvero?
In Italia, l’arte ha mantenuto sempre un rapporto con la società ed è sempre rimasta più lontana alle dinamiche di globalizzazione e di mercato che si sono manifestate altrove (da questo punto di vista la «povertà» del nostro paese si è rivelata anche produttiva).
Cosa ha significato per la tua esperienza e per la tua ricerca la partecipazione al «Premio Terna»? Quali opportunità concrete, anche di mercato, ha generato?
Essendo abbastanza giovane, dopo la vincita del Premio Terna nella mia ricerca c’è un prima e un dopo. L’approccio alla ricerca è più consapevole, ma forse questo sarebbe avvenuto comunque crescendo. Da un punto di vista del mercato non credo che nel mio caso specifico il Premio Terna sia stato particolarmente significativo. Forse in qualche caso il collezionista si è sentito appena un poco più sicuro del proprio investimento.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
Il concetto di competizione in arte è pericoloso. Un artista non deve essere competitivo, ma efficace. Un’azienda può essere competitiva a livello internazionale, non un artista (è legittimo che sia competitivo solo all’interno di un concorso, ad esempio). Detto questo, l’Italia potrebbe fare sicuramente di più per accrescere il tessuto sociale culturale legato al contemporaneo: attraverso l’educazione e attraverso investimenti pubblici locali.
In quale direzione si è evoluta la tua ricerca più recente? Ci puoi anticipare progetti e prospettive future?
La mia ricerca più recente si sta sviluppando sulla lettura ambigua stereotipata dell’immagine. La ricerca si è meglio sviluppata in due direzioni: le Apolidie e le Agiografie.
Il titolo delle Apolidie rimanda esplicitamente a una riflessione dal risvolto sociale nella quale, anche per motivi legati al proprio vissuto familiare, instauro uno stretto rapporto identitario tra popoli, individui e geografia. Le carte geografiche sono un materiale vivo, perché già carico di significati stratificati e condivisi da tutte le culture, un testo con un suo idioma visivo proprio e codificato ma che allo stesso tempo rimanda immediatamente ad una realtà percepita e vissuta. A metà tra realtà e astrazione il linguaggio della cartografia permette così, attraverso un sofisticato e accattivante assemblaggio di più mappe, di dare corpo all’utopia di nuovi paesaggi sia fisici che culturali. Luoghi inizialmente distanti e incomunicanti trovano nuove relazioni grazie a nuove condizioni spaziali di contigua (così Merano può specchiarsi sul golfo di Napoli, o la Svizzera essere finalmente lambita dal tanto sognato mare Mediterraneo…).
L’Apolidia, la non cittadinanza più che specchio di una condizione giuridica e vitale di spaesamento, diventa libertà di trovare il mondo che più ci rispecchia e di definire nuove coordinate culturali ed esistenziali in un mondo dai confini sempre più labili. L’intento di trovare un proprio spazio nel mondo, nell’era dell’incertezza, si risolve nella possibilità di costruire una propria «isola che non c’è».
Per quello che riguarda invece le Agiografie il significato è amplificato dal rimando alla serialità, alla pluralità dei soggetti rappresentati. La scelta è di ricorrere alle immagini più tradizionali e conosciute dei santi, i santini, disgregandole e ricomponendole, offre una riflessione sui risvolti che la comune matrice storica e devozionale delle figure dei martiri ha comportato nella loro comune iconografia.
Nei santi, infatti, sono molti i tratti standardizzati della rappresentazione, dovuti all’intento celebrativo, alla semplificazione dei segni per una più facile lettura del messaggio devozionale da trasmettere a un pubblico vasto e non colto, e per la volontà di trasmettere dei martiri non tanto il loro lato umano e fragile, seppur eroico, di resistenti alle torture, ma quello di trionfanti già glorificati e intercessori dei fedeli presso Dio. Dunque nella rappresentazione dei santini i martiri non vengono mai ritratti nel momento del supplizio, ma appaiono sempre sorridenti o rapiti in estasi, tutti a mezzo busto e stereotipati, accompagnati solo dal loro attributo. E’ come se, queste similitudini, questi continui rimandi potessero addirittura permettere il passaggio da un’identità all’altra, suggerita anche, come si è detto, da diversi elementi comuni nei tragici destini dei martiri (la virtù e l’eloquenza dimostrate nel processo, il tentativo di infangare la reputazione della vergine, la tenace resistenza alle torture per intervento soprannaturale, la morte finale quasi sempre per spada). L’intervento di distruzione e ricomposizione dell’immagine originale, per la sua nuova configurazione, oltre ad essere un accenno alla sorte drammatica dei soggetti, costituisce quindi metafora di ridefinizione di un’identità per i martiri.
Qualche tempo fa, hai intrapreso un progetto che, attraverso i lavori dell’artista Anacleto Margotti, analizzava il problema estetico della fruibilità e non fruibilità dell’opera d’arte. A cosa ha portato questa tua ricerca?
Il lavoro su Margotti, nasce da una catalogazione che mi è stata chiesta da un privato per la sua collezione privata. Dopo aver passato diversi mesi a catalogare le opere (inedite, mai pubblicate) ho pensato ad un opera audio dove veniva letta la parte di catalogazione senza poter prendere visione delle opere narrate. Cosi la richiesta che viene fatta al fruitore non è di vedere ma d’immaginare un opera solo con elementi tecnici di archiviazione.
Quali sono, a tuo avviso, le nuove mappature del contemporaneo?
Penso di essere nata in un mondo già ampiamente globalizzato, che dunque è l’unico che conosco. Fatico a pensare a un mondo con confini netti, perlomeno da un punto di vista culturale (forse anche per questo alcuni conflitti geopolitici sembrano ancora più assurdi oggi..). La rete ha reso poi tutto più vicino e più immediatamente fruibile. Forse è la parola ricerca che oggi ha cambiato significato….
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del «Premio Terna» ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Il Premio Terna è un modo d’investire in arte a favore dell’immagine dell’azienda, una visione che fa ancora fatica ad affermarsi in Italia. Per questo, credo che sia ancora uno dei premi più attuali per l’arte contemporanea italiana.