Francesca Grilli, Effluvia, fotografia tradizionale, polaroid montata su alluminio, Premio Terna 03 (categoria Gigawatt)
FrancescaGrilli è nata nel 1978 a Bologna. Dopo essersi laureata all’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Urbino in Fotografia, ha in seguito frequentato il Corso avanzato in arti visive alla Fondazione Ratti di Como con Alfredo Jaar. Vive e lavora tra Amsterdam e l’Italia. Dall’autunno 2014, e per alcuni mesi, la sua creatività trova casa a Roma per una residenza all’American Academy.
Con una formazione da fotografa Francesca Grilli si avvicina alla performance e al video, che diventano forme espressive predilette per esternare l’esperienza che appartiene alla sua sfera più intima fino a raggiungere lo spazio d’azione dello spettatore. FrancescaGrilli indica il suo video 194.9 Mhz, nel 2006, come momento iniziale e centro nevralgico di un interesse crescente per il suono nelle sue molteplici implicazioni espressive e percettive e in quanto strumento ideale per comunicare con l’inconscio personale e collettivo. In questi ambiti di ricerca, ha lavorato molto sui vari aspetti del linguaggio, sulle sue metafore e suggestioni. Ha vinto numerosi premi: Nettuno d’oro, Lions Club Bologna (2013), Premio Terna(2010), Nuove Arti award, Mambo Museum, Bologna (2010), Artissima «Italian Wave» (Torino 2008), ICEBERG Arti Visive / Visual Arts, Bologna (2007), IT e International Prize of Performance nel 2006. Oltre a quella attuale presso l’American Academy, ha vinto numerose residenze, tra cui il Museo MACRO a Roma (2012), SYB (Beesterzwaag, Olanda 2008/2012), Centrale di Fies (Trento 2010), Red A.i.R., Residency of SMBA (Amsterdam 2009), Rijksakademie van beeldende kunsten / Dutch Ministry of Education, Culture and Science (2007-2008).
Il suo lavoro è stato presentato in Italia e all’estero da gallerie e istituzioni, tra le quali:Museo Macro (Roma 2013), Centre Pompidou (Parigi, 2013), la 55a Biennale di Venezia (Padiglione Italia, Venezia, 2013), Elgiz Museum (Istanbul, 2011), Serpentine Gallery (Londra, 2010), South African National Gallery (Cape Town, 2009), e il Mambo (Bologna, 2009), MANIFESTA 7 a Bolzano (2008).
Effluvia, tra le vincitrici del Premio Terna 02 (categoria Gigawatt) è un progetto fotografico incentrato sulla proiezione dell’energia della sfera intima verso l’esterno. L’artista ha monitorato il cambiamento del suo corpo durante la gravidanza utilizzando una camera Polaroid Auracam 600 in grado di captarne il campo magnetico. Il risultato prodotto dalle numerose riprese effettuate in un arco temporale di quattro mesi mostra l’aurea emanata dall’artista in diverse fasi della gravidanza, pari a diversi stati psichici ed emotivi. Dice l’artista: «Effluvia è un termine per definire un flusso, un’emanazione. In questo lavoro è un riferimento al magnetismo invisibile che ognuno di noi emana»
Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
Preferisco rispondere pensando a qual è il mio ruolo ideale dell’artista nella società. Partiamo dai buoni auspici. Credo che l’artista funga in qualche modo da mediatore tra il mondo reale e un mondo più alto, che può essere anche quello divino, similmente a quello che può essere il ruolo dei poeti e di tante altre figure legate alle arti eccelse. Nella mia visione, è quindi vicino allo sciamano, all’ecclesiastico. Poi però bisogna guardare alla realtà dei fatti. Non è sempre così. Nelle società greche gli artisti facevano parte del mondo politico. Dovrebbe essere ancora così. Gli artisti dovrebbero occupare delle cariche anche molto pratiche nella società, per portare quello sguardo e quella visione elevata che ‘dovrebbe essere’ tipica della visione di un artista.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
Superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti e maggiore impegno sociale sono due cose molto difficili da generalizzare perché il loro manifestarsi è legato all’evoluzione individuale e intima di ogni persona. Questo vale anche per noi artisti, che dobbiamo fare un grandissimo lavoro su noi stessi.
Ritengo fondamentale – e questo forse esula da una banale descrizione del sistema dell’arte – l’avversarsi in tutto il sistema di un «disgregamento dell’ego». Noto che in Italia c’è una resistenza maggiore a lasciare andare il vecchio sistema dell’arte, cosa che invece sta avvenendo in molti paesi europei. I musei paradossalmente si stanno svuotando, e così sarà fino al momento in cui non si sarà in grado di fare quel salto che questo momento storico richiede. Credo fermamente che per poter prendere atto del tempo presente e agire di conseguenza, il cambiamento debba partire, prima di tutto dalla sfera interiore, ha quindi a che fare con l’ego.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
L’Italia dovrebbe cambiare innanzitutto modo di pensare. Credo che in Italia ci siano degli ottimi artisti ma che le nuove generazioni non siano supportate nella maniera adeguata. Non so per quale motivo, siamo sempre proiettati verso l’estero. Questa attitudine va sicuramente cambiata così ci deve aggiornare sui nuovi modi di fruire l’opera d’arte effimera, che è quello a cui si tende in questo momento nell’arte. Forse questi grandi musei che abbiamo vanno in qualche modo rivitalizzati. A mio avviso c’è bisogno di scelte e di posizioni radicali.
Io ho vissuto, e in parte vivo, in Olanda, dove la visione è molto diversa. Anche lì ci sono delle problematiche. Non credo ci sia un paese a cui tendere. Credo, piuttosto, che ci sia uno sguardo diverso, nei paesi nord-europei, dove c’è una cura e una considerazione maggiore dell’artista, un rispetto della sua ricerca. Integrando presenza sul mercato e ricerca. Un paese senza ricerca è un paese, di fatto, senza futuro, in tutti gli ambiti.
Il tuo avvicinamento alla performance e al gesto è arrivato in un secondo momento, dopo aver iniziato con fotografia e video. Ci puoi raccontare brevemente questo tuo percorso e di come e in che misura questi generi artistici vivono nella tua ricerca più recente?
La mia ricerca performativa nasce nel 2006 quando vinco il secondo Premio Internazionale della Performance di Centrale Fies in collaborazione con Galleria Civica di Trento. Diciamo che l’idea di creare quella performance nasceva da un’immagine che conservavo nella mia memoria, poteva di fatto essere raccontata con video e fotografia, ma sentivo l’esigenza di una rievocazione live. Non mi sono posta la domanda sul medium esatto da utilizzare. È stata proprio una necessità di narrazione. E così la mia ricerca performativa è iniziata. Non è una scelta razionale a tavolino, ma piuttosto, un’esigenza espressiva del progetto; in qualche modo è lui che richiede se avrà delle gambe o un cavalletto. Non ho smesso di fare video o fotografie. Semplicemente, ho trovato nella performance la modalità più facile per me di esprimere quello che volevo dire. Ora, ad esempio, sto lavorando a un film che verrà presentato alla Fondazione del Monte a novembre. La ricerca video continua e comunque di per sé contiene una parte performativa forte, che viene però traslata dall’azione live all’immagine bidimensionale. I limiti tra una disciplina e l’altra sono sempre molto sottili.
Come affronti nei tuoi lavori questioni legate alla documentazione e alla conservazione?
Per quanto riguarda la documentazione performativa, non mi piace considerare il video come opera, ma semplicemente come documento. Detto ciò, ci sono delle collezioni di performance, come quella della Tate, che secondo me hanno trovato una modalità molto pertinente di collezionare queste azioni. Sono molto affascinata, ad esempio, da quello che è il racconto orale. Nella nostra società ci sono arrivate delle storie, vecchie anche di millenni, che in qualche modo il tempo ha trasformato. Ho sempre in mente questa idea molto idealista di documentare o di lasciare traccia delle azioni con un archivio orale, nella forma di racconto. Immagino che se in qualche modo tutta la documentazione visiva fosse spazzata via, qualcosa deve rimanere. Ogni volta che una persona riporta la sua documentazione orale l’azione cambia, nel tempo che la preserva. Questa sarebbe un’inevitabile rivisitazione del lavoro da parte della memoria umana. Ho questa idea di archivio umano, una ipotesi di preservazione alla Fahrenheit 451. Immagino questo archivio umano di azioni performative infinite dove ognuno di noi sa raccontare una performance e la tramanda. Come il Club verdiano dei 27, dove ognuno di loro rappresenta un’opera, conoscendola a memoria. Questa è il mio ideale e miro a questo tipo di documentazione.
Cosa ha significato per la tua esperienza e per la tua ricerca la partecipazione al Premio Terna? Quali opportunità concrete, anche di mercato, ha generato?
Ricordo che quando ho lavorato all’opera per il Premio Terna ero incinta di mia figlia. Quindi l’opera presentata ha un grosso legame con la mia vita privata. Per me è stato un lavoro molto importante, anche perché è l’unica traccia che documenta questo momento della mia vita, quindi sarò sempre legata a quel lavoro. Questa esperienza ha generato la considerazione di una visione di grande supporto rispetto alle giovani generazioni, una delle poche in Italia che investe nella ricerca dei giovani, un sostegno che continua ancora oggi. Penso che la collaborazione non sia finita. Sento di aver creato un contatto importante e sono sicura di poter ancora beneficiare del loro supporto.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del «Premio Terna» ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Rispetto al panorama italiano, Terna mette a disposizione delle risorse molto concrete: c’è anche una residenza, c’è l’acquisizione, tutto quello che ci deve essere in termini di sostegno alla giovane arte, ma anche alla ricerca. C’è uno sguardo al presente, che è l’acquisizione del lavoro, ma anche uno sguardo a quello che poi sarà un percorso. Suggerirei di continuare a sostenere e facilitare l’incontro tra i vincitori… Serve anche ad inquadrare una generazione: una volta c’erano i movimenti, che si facevano da sé ed erano descritti molto bene dalla critica e dalla curatela; adesso secondo me è un po’ più difficile questa cosa, per cui mettere insieme una generazione è un momento storico è importante.
Immagini (cover e 1) Francesca Grilli, Effluvia, 2010, fotografia tradizionale, Polaroid b/n montata su alluminio, serie di 7 pezzi unici, 30 x 30 cm, Premio Terna 03 (2) Francesca Grilli, 194.9 MHz, digital video, 05’ 22″, still from video, 2006 (3) Francesca Grilli, Oro, 2011, still from video (4) Francesca Grilli, The Conversation, installation | 600 balloons, wood treated by salt, 4 speakers, metal structure, audio track 14’40”, performance, 25 min., production MAMbo Museum, Bologna, Fondazione Del Monte, supported by Centrale Fies (5) Francesca Grilli,Variazioni per voce, 3 Phonographs, 3 wax cylindres, 3 audio tracks | 2012, Production: Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi, Roma, Macro, Museo di Arte Contemporanea, Roma (6) Francesca Grilli, Fe2O3, OSSIDO FERRICO, 55.Venice Biennal 2013, Performance, 156 days, sheet iron, water, voice,microphone, ferric oxide, coproduction: Centrale Fies with the support of: Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, Roma; MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Istituzione Bologna Musei, Comune di Bologna; Provincia Autonoma di Trento.