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Giancarlo Norese, Precarious Home, 2011, fotografia digitale, stampa lambda, 30 x 40 cm, courtesy Neocampobase, Bologna, Premio Terna 03 (categoria Megawatt)
Giancarlo Norese nasce a Novi Ligure nel 1963 e vive attualmente a Firenze. È stato uno degli artisti fondatori del Progetto Oreste e l’editor delle sue pubblicazioni. Sin da metà degli anni Ottanta è stato partecipe di pratiche collaborative con altri artisti e con istituzioni, di azioni pubbliche, di progetti editoriali applicati all’arte. La sua ricerca artistica si è spesso realizzata in opere che indagano il tema della fragilità e dell’accoglienza, degli spazi interstiziali, delle contraddizioni del paesaggio o della bellezza auto-generata dal caso. Accoglie e sostiene un’arte partecipata perché, come egli stesso ammette, «le idee e la capacità di un individuo possono essere condivise con chiunque, contro ogni monopolio del pensiero e del linguaggio». Ha esposto in gallerie, istituzioni e esposizioni quali Villa Medici a Roma; Neon a Bologna, 42ª e 48ª Biennale di Venezia; P.S.1 Clocktower Gallery e Performa a New York; Galerija Škuc a Lubiana; Arte Continua a San Gimignano; Viafarini e Careof a Milano; Tent a Rotterdam. È stato artista in residenza a Red Gate Gallery a Pechino, e all’Arizona State University a Phoenix. Recentemente ha collaborato con «Free Home University», un esperimento educativo supportato dalla fondazione canadese Musagetes.
Per il Premio Terna 03 presenta il lavoro dal titolo Precarious Home, che riceve il primo premio nella categoria Megawatt. È una fotografia digitale in cui un’abitazione imprigionata tra i tralicci elettrici diventa l’icona di una società troppo attenta a soddisfare le esigenze del presente per pensare di salvaguardare e di credere nel futuro. Un monito affinché si cominci a «immaginare il futuro come una risorsa, non come una minaccia».
Qual è lo stato dell’arte oggi in Italia? Qual è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
È uno stato dell’arte in uno stato senza apparente speranza, senza futuro, con un popolo che pare vivere unicamente del credito del proprio passato: un’enorme carta di credito che non si sa con che cosa si pagherà… Chi ha detto «Visitate l’Italia, prima che gli italiani la distruggano»?
L’arte in Italia sembrerebbe adeguarsi da un lato alle più evolute forme di capitalismo finanziario e, dall’altro, a raggrupparsi intorno a piccole unità di resistenza. Vedo queste «sacche» di resistenza, e non solo nel nostro paese, come l’ultima vera possibilità di condizionare il corso degli eventi, di sostenere il valore simbolico della gratuità e del lavoro «vivo» (come dirrebbe Matarrese), contro ogni forma di futura schiavitù. Questo dovrebbe fare ogni artista che si è «dato alla macchia».
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato a un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre a un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
Per quanto mi riguarda, anche rispetto alle persone che incontro e che frequento, alle urgenze che si manifestano, sì, sta accadendo. Sono attualmente coinvolto in un progetto educativo, iniziato col supporto di una fondazione canadese, nei pressi di Lecce (Free Home University) e non a caso il titolo di questa sessione è Come vogliamo vivere. Significa che si sente la necessità di guardarsi intorno, e di prendere le proprie decisioni.
Ricordi la tua partecipazione al Premio Terna? Stavi lavorando a un progetto in particolare?
Come mi accade da tempo, lavoravo sulla sopravvivenza e sulle forme di accoglienza, sull’instabilità, gli equilibri precari, l’estetica della sconfitta… Visto che era sufficiente una sola foto per partecipare al concorso, ho pensato di proporre qualcosa che non avesse bisogno di tante spiegazioni, un’immagine che parlasse da sé, quella che poi è stata premiata (una casa costruita dentro un traliccio). Paradossalmente, non mi ero reso conto che la foto aveva molto a che fare con l’attività dell’azienda che promuoveva il premio, anche se capisco che sia difficile da credere.
Cosa significa arte pubblica nell’epoca delle reti (e con questo riprendo nello specifico il testo di Cecilia Guida che ingloba l’arte pubblica all’interno della definizione «spatial practice»)?
L’affermazione della necessità di ribadire la supremazia del «pubblico dominio» contro ogni forma di sopraffazione, di saccheggio e di alienazione: uno spazio condiviso, aperto, accogliente, sia nella sfera della comunicazione sociale che in quella fisica della compresenza dei corpi e della condivisione delle risorse naturali.
«Oggi – scrive sempre Cecilia Guida nel suo libro – il confine tra pubblico e privato non è più definito e ancor meno lo è quello tra pubblico e autore; inoltre al posto della sfera pubblica habermasiana esistono una pluralità di spazi di discussione, sia online che off-line, mentre le nozioni otto-novecentesche di individuo e di pubblico sono sostituite da una pluralità di modi di soggettivarsi della città post-moderna e da pubblic-i autori connessi della Rete». Ci puoi commentare questa affermazione sulla base della tua ricerca ed esperienza?
Vedo questa metamorfosi della sfera pubblica come un insieme di «layers» di realtà sovrapposte, oppure di una schiuma fatta di piccole bolle, ciascuna con la propria economia, il proprio campo di influenza, le proprie unità di conto, le proprie idiosincrasie. Ma più si intensificano e moltiplicano questi livelli, più ci si dovrà porre veramente la domanda che vale per tutti: «Come vogliamo vivere?». Quindi credo che si dovrà lottare, ma in un modo diverso dal passato.
In quale direzione si è evoluta la tua ricerca più recente? Ci puoi anticipare progetti e prospettive future?
Ultimamente mi sono interessato a questioni che ritengo non inconciliabili: all’agricoltura biodinamica, alle criptovalute, allo slittamento del significato delle parole (ci hanno rubato le parole!), al «diritto alla pigrizia», alle non-cose e al non-lavoro… All’economia e alla rivoluzione, per usare una parola antica.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
Guarda, «competitività» è una parola che odio, non riesco nemmeno a pronunciarla, ci metto sempre qualche «titì» di troppo… Potrei citarti un appunto che ho scritto sul libro che sto leggendo, aspetta che lo prendo, ecco, Vita attiva. La Condizione Umana di Hannah Arendt (non c’è sul libro, è la mia nota): quando scrive della crescita innaturale del naturale, riferita alla produttività dell’attività lavorativa, ho segnato «è più importante la collaborazione della competitività; più importante il dialogo che la difesa a oltranza dei propri privilegi». Ti risparmio il mio commento su «creatività»… Poi, purtroppo o per fortuna, non sono nazionalista, e vorrei sempre essere da un’altra parte.
Cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta oggi per un artista il Premio Terna nel panorama italiano e in quello internazionale?
Per me ha rappresentato l’opportunità di vivere un po’ di tempo in un paese, la Cina, dove proprio non volevo andare… Che però ora mi manca, e di cui invidio la capacità di immaginarsi un futuro e tutte le piccole graziose libertà della vita quotidiana. Devo dire che il sostegno pubblico per un artista italiano è inesistente, perché apparteniamo a un paese né troppo ricco, né troppo povero, che sa essere contemporaneamente iperprotettivo e assente, ma mai con le stesse persone. Così ben venga il Premio Terna, se ci fa comodo.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del Premio Terna ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Un suggerimento. Si dovrebbero istituire dei luoghi reali e ospitali, studi con spazi parzialmente condivisi dove artisti e curatori possano incontrarsi, lavorare, studiare per qualche mese, e fornire a questi le condizioni per farlo nel modo più efficace, più consapevole, più autentico e anche più piacevole possibile. E invitare pure me, perché no!
Immagini (cover – 1 e 2) Giancarlo Norese, Precarious Home, 2012 (3) The Celebration of the Living (who reflect upon death), Phoenix, 2013 (con Emilio Fantin) (4) Gelosia, Kunsthalle Marcel Duchamp, Cully, 2014 (con Emilio Fantin, Luigi Negro, Cesare Pietroiusti, Luigi Presicce) (5) Giancarlo Norese 1, 2, 3, 4, five in Mount Lemmon, 2013 (6) Giancarlo Norese, Intrusi, Progr, Berna, 2014. Scritta pre-esistente modificata. (7) Archives of Nothing, Berlino/Firenze, 2013