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Laura Cantarella, Etna, 90 x 180 cm, Fotografia tradizionale, lighbox, 2007, Premio Terna 01 (Categoria Megawatt)
Laura Cantarella nasce a Torino nel 1972, dove vive e lavora. Dopo essersi laureata in Architettura presso il Politecnico di Torino, ha conseguito un dottorato di ricerca a Barcellona con una tesi incentrata sul tema della relazione tra il territorio mediterraneo e la fotografia. Dal 2008 al 2012 è docente presso il Politecnico di Torino e con Lucia Giuliano nel 2007 ha fondato Landform, piattaforma di ricerca e diffusione sul paesaggio contemporaneo. Fotografa di paesaggio, la sua ricerca si concentra su due temi: la trasformazione del territorio in parco tematico e la topografia del trauma. «Studio i territori che hanno subito dei traumi. Attraverso i miei lavori cerco di esprimere il concetto di trauma come opportunità». Il suo lavoro è stato presentato da numerose gallerie istituzioni, tra cui Savignano Immagini (2013), il Palazzo Collicola Arti Visive – Museo Carandente (Spoleto, 2011), la Biennale del paesaggio (Barcellona, 2010), Rapallo Fotografia Contemporanea (2010) Chelsea Art Museum (New York, 2009), Palazzo delle esposizioni (Roma, 2008), Fundaciò Espais d’Art Contemporanei (Girona, 2007), Biennale di Architettura (Rotterdam, 2005).
Etna, opera tra le vincitrici del Premio Terna 01 nella categoria Megawatt è una fotografia che ritrae una casa imprigionata in una colata di lava solidificata. Il tema è la cristallizzazione dell’energia prorompente di un’eruzione vulcanica. La lava imprigiona se stessa e ingloba qualsiasi cosa trovi lungo il suo percorso, annientando qualsiasi funzionalità possano avere oggetti o luoghi come anche, appunto, una casa. Questa assume un connotato puramente estetico, quasi surreale. Lo sguardo fotografico indaga dunque il potenziale insito in eventi traumatici, che generano nuovi spazi e nuove immagini. Etna fa parte di un progetto più ampio, legato alla topografia del trauma, portato avanti attraverso la piattaforma Landform in collaborazione con Lucia Giuliano.
Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
Rispondo con le parole di David Foster Wallace: «mi sembra che una caratteristica della vita di oggi sia che tutto si presenta come familiare, quindi una delle cose che l’artista deve fare è prendere molta di questa familiarità e ricordare alla gente che è strana. Quindi prendere le immagini più banali, artisticamente più insignificanti, dalla tv, dalla politica e dalla pubblicità, e trasfigurarle…». Più in generale il ruolo dell’ artista e dell’autore dovrebbe essere quello di investigatore, di colui che svela. Anche di traduttore. Ho un interesse specifico per l’arte che si occupa del presente, del quotidiano. Penso a me stessa come a una ricercatrice e un’operatrice culturale.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. E’ quello che sta accadendo davvero?
Credo di sì. E credo che stia accadendo e non solo nel campo dell’arte contemporanea, ma nel più vasto ambito culturale. Basti pensare all’esperienza straordinaria del Teatro Valle, a Macao e ad altri vari progetti collettivi. William Guerrieri a questo proposito, ha recentemente parlato di una committenza debole (diffusa). C’è un’accresciuta capacità di auto-organizzarsi in collettivi offrendo modelli innovativi di produzione culturale, che prevedono il lavoro in rete, la partecipazione attiva dei cittadini, una diffusione orizzontale dei lavori, l’autoproduzione di libri, la nascita di piccole case editrici. Tutto ciò ha significato, tra le altre cose, l’emergere di nuovi autori e di nuovi approcci non legati alle «scuole» e agli ambiti riconosciuti e già storicizzati. Queste esperienze non sono prive di limiti, ma rappresentano comunque un’energia innovativa e sicuramente trovano le proprie ragioni anche nell’epoca di crisi che stiamo vivendo.
Cosa ha significato per la tua esperienza e per la tua ricerca la partecipazione al «Premio Terna»? Quali opportunità concrete, anche di mercato, ha generato?
Provengo dall’ambito della fotografia di paesaggio e di indagine territoriale e urbanistica. La partecipazione al premio Terna, quindi, ha significato per me un’incursione nel mondo dell’arte contemporanea molto interessante.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
Ovviamente si potrebbero dire molte cose a riguardo, ma vorrei invece dare una risposta decentrate rispetto alla domanda. Penso che per rendere il paese più competitivo a livello internazionale non serva sostenere la creatività ma riconoscere alla formazione artistica di tutte le scuole di ordine e grado, un ruolo «strutturale» e non «decorativo». Da questo punto di vista, la parola «creatività» mi sembra ambigua. Si tratta invece più propriamente di cultura artistica, visiva e musicale, quella stessa che ha avuto, nella costruzione dell’immaginario di questo paese, un ruolo fondamentale. Negli ultimi anni il ruolo delle discipline artistiche nei percorsi formativi è stata invece sistematicamente e intenzionalmente de-potenziata e, direi anche, umiliata. La formazione è per me il sine qua non.
In secondo luogo, si tratta di attribuire alla cultura contemporanea un ruolo di primo piano. Quanti dei nuovi musei e centri d’arte sorti in Italia negli ultimi dieci anni sono realmente aperti alle comunità e alla riflessione sul presente dell’Italia e dell’Europa?
Mi sembra che il MART di Rovereto costituisca un esempio assolutamente positivo in questo senso. E per cercare un altro esempio europeo, il CCCB – Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona rappresenta un modello illuminante. Entrambi sono luoghi che generano cultura contemporanea, sono inclusivi rispetto al pubblico e non piccoli (o grandi) spazi di elite. In generale, sarebbe ovvio dire che uno dei modelli è da ricercarsi nei paesi nordici, ma si tratta ovviamente di paesi con una situazione economica, sociale, demografica e anche geografica completamente diversa. Bisognerebbe, invece, dare voce e spazio agli esempi positivi che ci sono stati e ci sono in questo paese, modellizzarli e farli emergere, appunto, come modelli da replicare.
Le tue opere si esprimono prevalentemente attraverso fotografie e in relazione al territorio e alle sue trasformazioni. Ci puoi raccontare come è nato il tuo incontro con il mezzo fotografico e cosa ti ha spinto ad elevarlo a strumento privilegiato della tua ricerca creativa?
Provengo, come molti fotografi di territorio, dalla formazione in una facoltà di Architettura. Da queste basi nasce il pensare l’indagine visiva come grado zero del progetto, la comprensione fotografica come costruzione culturale di un luogo. La fotografia è il linguaggio che mi permette di interrogare i luoghi del presente. Ho iniziato il mio percorso con campagne fotografiche pubbliche in Italia e in Spagna, sempre in progetti editoriali di ricerca sui luoghi. Ho sempre lavorato con architetti e urbanisti e continuo a farlo.
Quali Maestri del presente e del passato sono fonti di ispirazione per il tuo lavoro?
Tra i Maestri del passato sicuramente la scuola (fotografica) di paesaggio italiana, in particolare Luigi Ghirri e Gabriele Basilico. Tra i Maestri del presente -tra gli altri- i fotografi Joel Sternfeld, Robert Adams e Alec Soth, ma anche alcuni registi tra cui Tonino De Bernardi, uno degli autori storici del cinema underground italiano.
In quale direzione si è evoluta la tua ricerca più recente? Ci puoi anticipare progetti e prospettive future?
Dopo anni dedicati ai luoghi interessati da vari tipi di traumi, i miei ultimi lavori fotografici si concentrano sull’idea di «nuovo mondo», sui nuovi pionieri, su ciò che nasce dalle macerie. Ho due progetti editoriali, uno riguarda le enclave straniere nella costa spagnola, l’altro i nuovi abitanti della montagna nelle Alpi nord-occidentali. Si tratta di lavori sugli insediamenti, ma soprattutto sui simboli che emergono, sulla riscrittura o invenzione delle tradizioni. Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo alla formazione, prima con un corso di fotografia del paesaggio al Politecnico di Torino, ma anche con workshop, summer school, ecc. Ritengo che i momenti formativi possano essere straordinarie occasioni di produzione culturale. A Torino, nel quartiere Barria di Milano con l’associazione ASAI sto coordinando un laboratorio di fotografia che coinvolge un gruppo di adolescenti. Sto lavorando a un progetto pluriennale di sviluppo territoriale in Valle Bormida, nell’ambito del quale, insieme alla curatrice Susanna Mandìce, mi occupo di interventi artistici e dei workshop di indagine socio-identitaria attraverso diversi linguaggi culturali. Per ultimo, ma solo in ordine di tempo, sto per iniziare un lavoro sugli straordinari progetti di Bernardo Secchi e Paola Viganò nelle Fiandre.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del «Premio Terna» ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Qualunque premio gestito in modo serio è senza dubbio utile per la promozione dell’arte contemporanea. Un suggerimento: aprire le porte il più possibile al paese reale. Fare dell’arte un motore di cittadinanza attiva.
immagini
(1 cover – 2) Laura Cantarella, Etna, fotografia tradizionale su Lighbox, 2007, Premio Terna 01 (3) Laura Cantarella, Ich bin der erste © 2014 Laura Cantarella (4) Laura Cantarella, La contesa © 2013 Laura Cantarella (5-7) ПИОНЕРЫ (Pionir) © 2014 Laura Cantarella (8) Laura Cantarella, La contesa © 2013 Laura Cantarella