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Meena Hasan, Landscape #1, 2009, inchiostro su carta, 61 x 188 cm, Premio Terna 02 (categoria Connectivity)
Meena Hasan è una giovane artista di origine bengalese nata nel 1987 a New York, dove è cresciuta ed oggi lavora. Ha completato la propria formazione artistica all’Oberlin College, prestigioso istituto privato statunitense, ed in seguito si è laureata a Yale con una specializzazione in pittura e disegno. L’artista percepisce il mondo come un flusso di eventi in continuo movimento, ed i suoi lavori intendono riflettere il proprio rapporto di scambio con culture diverse. Con questa intenzione, Hasan ha scelto di esprimersi attraverso il disegno, tecnica tradizionale antica applicata in ambiti diversi, dalle mappe geografiche all’animazione, strumento malleabile e aperto alla sperimentazione. Attraverso il disegno Hasan cerca di annullare i confini, di armonizzarli creando dei punti di incontro. Dopo l’esperienza di residenza all’American Academy a Roma e la tappa a Shanghai con il Premio Terna nel 2010, l’artista ha visitato la Thailandia, la Malaysia e il Bangladesh per poi tornare a New York dove è entrata a far parte del collettivo Gowanus Studio Space di Brooklyn. I suoi lavori sono stati ospitati da numerose gallerie e istituzioni, come il Gowanus Loft (New York, 2014), la Touch Gallery (Cambridge, MA, 2014), lo Stedelijk Museum (Den Bosch, 2013), il Supec (Shangai, 2010), la Aicon Gallery (New York, 2010), il Tempio di Adriano e il MAXXI (Roma, 2009). Oltre al Premio Terna nel 2009 le è stato riconosciuto nel 2013 il Carol Schlosberg Memorial Prize for Painting, Yale School of Art.
Landscape #1, opera tra le vincitrici del Premio Terna 02, consiste in un collage realizzato con carta proveniente dal Bangladesh con l’intento di creare un paesaggio che impiega animali ibridi, provenienti dal mondo Occidentale e da quello Orientale e la figura della donna per descrivere la complessità dell’identità» (Meena Hasan).
Che ruolo rivestono gli artisti nell’attuale sistema artistico e sociale?
Non penso che esista un unico sistema artistico e sociale, bensì che esistano miriadi di sistemi che collegano gli artisti con le comunità che li circondano. Ogni singolo artista apporta innegabilmente il proprio trascorso personale e le proprie convinzioni politiche nella propria opera, consapevolmente o meno. Il semplice atto di creare un’opera d’arte e quindi condividerla con il pubblico è politico e sociale in sé e per sé.
Certo, alcuni artisti coraggiosamente parlano in modo più diretto di questioni religiose, scientifiche, politiche, storiche, ecc. Ad esempio, l’opera del visual artist Naeem Mohaiemen indaga la storia politica attraverso i suoi movimenti di sinistra e tentativi utopistici, ed è particolarmente interessato a rivelare la complessa storia del Bangladesh a un pubblico globale. La sua opera assume molte forme, date dall’utilizzo di fotografie, film, saggi e media misti. Mohaimen inoltra lavora diligentemente come studioso, scrivendo in modo esteso e analitico le proprie ricerche e scoperte. Questa attività erudita non solo si affianca alla sua pratica artistica, ma spesso diventa essa stessa arte.
Sono molte anche le istituzioni che promuovono attivamente un’arte socialmente consapevole. Ad esempio, il Brooklyn Museum of the Arts di New York ha un esteso programma pubblico che coinvolge quotidianamente la comunità locale con lezioni, conferenze, attività ed eventi di intrattenimento. Anche le mostre che organizza sono spesso rivolte verso l’impegno pubblico, ad esempio l’installazione dell’artista Heather Hart, The Eastern Oracle: We Will Tear The Roof Off The Mother, installata nel museo nel 2012. L’opera fa riferimento all’architettura coloniale, ai concetti di pubblico e privato e allo spirituale contro il naturale. L’installazione è costituita dal tetto di una casa singola appoggiato sul pavimento, sul quale i visitatori possono arrampicarsi e nel quale possono entrare, al fine di condividere la storia di questo spazio nonché l’esperienza spirituale che offre.
In una delle prime edizioni, Premio Terna ha pubblicato un’indagine sui probabili sviluppi della situazione dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno fatto luce su quella che è in effetti la situazione attuale. Le previsioni includevano anche il fatto che la crisi avrebbe portato all’eccesso l’abitudine di conformarsi alle norme dominanti, oltre a un maggiore impegno sociale dell’arte. Sta succedendo davvero?
Penso che oggi convivano simultaneamente un ritrovato entusiasmo per l’arte socialmente consapevole, e un mercato per le opere vendibili che perpetua un atteggiamento materialistico e promuove idee riguardanti lo status. E poi, naturalmente, penso che ci sia la zona grigia rappresentata da molti artisti, organizzatori e curatori che agiscono tra questi due opposti.
È una strana dicotomia che può essere riformulata come quella tra «l’arte fine a se stessa» contro l’ «arte funzionale». Questi due modi di fare, tuttavia, possono convivere parallelamente e possono motivarsi a vicenda per spingersi oltre in entrambe le direzioni. L’arte fine a se stessa domina l’attuale mercato artistico dal punto di vista degli scambi di denaro, ma sono convinto che le istituzioni artistiche e gli artisti stessi prendano parte a un dialogo attivo su un lavoro apertamente consapevole dal punto di vista sociale, in parte perché è l’opera che tende a superare i confini della forma e della presentazione. Gli artisti che anticipano le visioni sociali approfondiscono i concetti in modi nuovi e innovativi, obbligando al contempo l’osservatore a porsi domande specifiche.
Che effetto ha avuto la partecipazione al Premio Terna sulla tua esperienza e sulla tua sperimentazione artistica? Ha dato luogo a opportunità pratiche, comprese prospettive sul mercato?
Dopo le mie esperienze con Premio Terna, ho esposto i miei lavori a New York City, in Connecticut, Massachusetts e nei Paesi Bassi. Ho conseguito un Master in pittura e stampa con specializzazione in Belle arti alla Yale University School of Art nel 2013. Al momento della laurea mi è stato assegnato il Premio alla memoria di Carol Schlosberg per l’Eccellenza nella pittura. Attualmente ho un mio studio a Brooklyn, New York, espongo regolarmente le mie opere e le vendo ad collezionisti occasionali. Il Premio Terna si è rivelato importante per lanciare la mia carriera come artista e devo molti dei risultati che ho ottenuto di recente alle esperienze, all’esposizione e alla generosità rese possibili da Terna.
Cosa pensi che dovrebbe fare (ma non ha ancora fatto) l’Italia per favorire la creatività e rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese ritieni sia migliore da questo punto di vista?
Non sono particolarmente informata su come funziona il mondo artistico italiano, sfortunatamente. Però posso dire che mentre mi trovavo all’American Academy ho partecipato a qualche inaugurazione, e ho notato che a tutte le mostre partecipava grossomodo lo stesso gruppo di persone, e che il mondo dell’arte, almeno a Roma, è intimo e ha una forte comunità consolidata. Penso che probabilmente la creazione di un ambiente competitivo parta dalla comunità, che a Roma già esiste, per proseguire poi con le risorse che le vengono messe a disposizione. Immagino che aumentare le gallerie, le opportunità di residenza, i collezionisti, le fiere artistiche e le installazioni artistiche pubbliche sarebbe un modo per offrire risorse e consentirebbe alla città di diventare un mondo artistico. Terna, a mio parere, sta già facendo incredibilmente da pioniere in questa direzione, e sono certo che gli artisti italiano possano sentirne i vantaggi.
Considerando che la questione si concentra principalmente sulle risorse, potrei dire che New York, Parigi e Londra sono le tre città più competitive a livello internazionale (non lo sono necessariamente i Paesi; penso che trovare il paese più competitivo sarebbe complicato e che, invece, le città più globali e multiculturali siano le città dove prospera il mondo artistico). Sono grata ogni giorno di essere cresciuta a New York City e di continuare a vivere e lavorare qui. Sono esposta all’arte contemporanea ogni giorno, anche solo passeggiando per strada, e la comunità artistica qui è così estesa che io sono solo una piccola componente di una fiorente rete molto più ampia.
Puoi parlarci della tua esperienza come residente presso la American Academy, in seguito al Premio Terna?
Oh, è stata semplicemente la cosa più fantastica che mi sia capitata, e sono veramente grata a Terna per avermi dato un’opportunità tanto eccezionale! Sono rimasta all’Academy per tre mesi dal gennaio all’aprile 2010, durante i quali mi è stato offerto il più magnifico spazio di vita e di lavoro che abbia mai visto (davvero), oltre a deliziosi pasti gratuiti ogni giorno e una generosa borsa di studio. Gli studi dell’Academy sono splendidi e offrono molto tempo e spazio dove concentrarsi sul proprio lavoro. Gli incontri collettivi durante i pasti fornivano sostegno mentale per il nostro lavoro e ho veramente apprezzato le incredibili conversazioni intrattenute con artisti, registi, archeologi, filosofi, scrittori, poeti, storici, ecc.
Visto che a quei tempi ero la più giovane ad essere mai entrato nell’Academy, ho deciso di imparare il più possibile dai miei colleghi, sfruttando anche l’opportunità di trascorrere i giorni e le notti lavorando diligentemente nel mio studio. Ho creato numerosi disegni ispirati alle miniature persiane e ai motivi islamici, nonché all’architettura e al carattere storico dell’ambiente che mi circondava a Roma. Alla fine della mia residenza ho tenuto un Open Studio per condividere il mio lavoro con tutti i membri dell’Academy e con gli artisti di Roma.
È in quello studio che per la prima volta ho avuto lo spazio, le risorse e l’energia per sperimentare, astraendomi. È stato anche un banco di prova che mi ha dimostrato che un’artista può mantenersi attraverso il proprio lavoro. In altre parole, è stato all’Academy che ho acquisito l’impagabile consapevolezza di essere in grado, oltre che di desiderare disperatamente, di avere lo spazio per lavorare nell’arte a tempo pieno, per il resto della mia vita.
Che aspetto della cultura italiana ha lasciato il segno nel tuo percorso personale e professionale, considerando anche i lunghi viaggi che hai intrapreso all’estero dopo la mostra di Shanghai?
La mia famiglia è originaria del Bangladesh, quindi sono cresciuta viaggiano regolarmente da New York all’Asia meridionale. Al mio arrivo a Roma sono rimasta sorpresa di scoprire che la cultura italiana ha molte fantastiche somiglianze con quella del Bangladesh: lo stesso amore per il buon cibo e la stessa ospitalità, oltre a una forte venerazione per i legami familiari e il retaggio culturale. Sotto molti aspetti mi sono sentita proprio a casa a Roma e quella sensazione ha contribuito ad ampliare la mia prospettiva sulla cultura globale e ciò che dovrebbe significare un’identità interculturale.
Viaggiare per Shanghai con un gruppo di italiani è stato incredibilmente divertente e illuminante. Gli gnocchi sono diventati ravioli e Shanghai è diventato il nostro parco giochi. Ho conosciuto dei fantastici amici, sia a Shanghai che a Roma, con i quali sono ancora in contatto e che si sono dimostrati delle figure inestimabili sia nella mia carriera che nella mia vita personale; continuo a imparare da loro anche oggi.
Visto che sono americana originaria del Bangladesh, che da bambina, una volta all’anno, mi recavo a Dhaka, e poiché inoltre ho viaggiato con Terna essenzialmente all’inizio della mia carriera da artista, il viaggio è arrivato a rivestire una parte consistente del mio lavoro. Sebbene il mio reddito attuale non mi consenta di viaggiare tanto quanto vorrei, ho scoperto che posso viaggiare nel tempo e nello spazio osservando l’arte prodotta in tutto il mondo. Cerco ispirazione nell’arte americana così come in quella dell’Asia meridionale, dell’Asia orientale, africana ed europea, e spesso penso alla distinzione tra il viaggiatore, il voyeur e l’antropologo (che al suo interno contiene numerose definizioni).
Che direzione sta prendendo la tua sperimentazione più recente? Puoi parlarci dei tuoi progetti e delle tue prospettive future?
Attualmente la mia opera ritrae principalmente figure che svolgono rituali quotidiani, attraversando quei momenti banali, spesso dimenticati. Ci sono gambe piegate perché le mani raggiungano le stringhe delle scarpe, sciarpe arrotolate intorno al collo nel freddo invernale e acqua che scorre copiosa su caldi arti sporchi. Queste figure lasciano indietro materiale come capelli caduti, impronte digitali e graffi mentre svolgono le varie azioni e si spostano nei loro ambienti instabili, mutevoli.
La mia attrazione per questi momenti di transizione quotidiana è legata alla storia della mia famiglia, una specie di esperienza alla deriva, in viaggio. Gran parte della mia famiglia ha lasciato il Pakistan nel periodo della separazione nel 1971 e ora è sparsa per tutto il globo, mentre parte della mia famiglia ha radici in Bangladesh da secoli. Sono interessata allo spostamento, e all’effetto e all’esperienza di doversi sradicare, sia per motivi politici che ambientali; cosa significa esistere nel mondo come un’isola galleggiante memore della propria provenienza? Come ci si sente a ereditare il senso di essere in transizione, guardando simultaneamente avanti e indietro, pur esistendo solamente nel qui e ora? Io interrogo, sondo e destrutturo questo senso di sé dell’isola-persona. Il mio lavoro è sospeso tra l’espressione della natura dell’Assurdo e delle tendenze della nostra vita quotidiana, e l’analisi degli ideali islamici Sufi della scoperta della spiritualità e del significato nascosto nella ripetizione quotidiana e nell’individuo.
Utilizzo la pittura acrilica, sfruttandone la qualità adesiva per integrare vari giornali giapponesi, tinte per tessuti e plastica. Gli acrilici mi interessano per la loro collosità e plasticità assertiva: sono fatti dello stesso polietilene che compone molti oggetti di uso quotidiano. I giornali sono sottoposti a processi che fanno riferimento alla lunga tradizione tessile dell’Asia meridionale. Questo, insieme alla mia propensione verso il tipo di fantasie che ne descrivono bene la superficie, crea uno spazio esperienziale. I dipinti sono un accumulo di materiali e strati, le cui superfici ci invitano aggressivamente e guidano gli occhi dell’osservatore.
Nella costruzione di queste immagini, spesso utilizzo una prospettiva in prima persona, trasformando l’osservatore nell’artista, che è allo stesso tempo soggetto ed estraneo. Creo composizioni grafiche in modo tale che ciascun angolo e consistenza abbia la propria importanza. L’immagine è un’identità frammentata, eppure intera, che fa riferimento ai principi pittorici di appiattimento sia del Cubismo che della miniatura. Spero che la prospettiva destabilizzante, i colori invitanti e una materialità vigorosa creino un ambiente che sia familiare e al contempo incerto, che mette in discussione il modo in cui ci spostiamo attraverso il mondo e come percepiamo gli altri e noi stessi.
Terna è una società che trasmette energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e sulla creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del «Premio Terna» ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
La «formula» di Terna è sicuramente ancora attuale perché gli artisti hanno sempre bisogno di nuovo sostegno e di nuove reti che possano aiutare il loro lavoro a crescere e svilupparsi. Ho avuto un’esperienza bellissima e sono rimasto molto colpito da quanto i rappresentanti di Terna fossero ben gestiti e aperti alla comunicazione durante il secondo ciclo, e lo sono tutt’ora. Essendo io l’unica americana i vincitori italiani, mi sono sentita, in un certo senso, immersa nella cultura italiana, cosa che ha fatto andare il premio di pari passo con il paese, che ho trovato fantastico. Inoltre, essendo l’unico americano, penso di aver spesso offerto una prospettiva nuova e strana (e a volte mi è anche stato detto) e che i discorsi fatti con gli altri vincitori siano stati incredibilmente proficui e interessanti. Non penso di avere alcun suggerimento specifico. Terna è stata così generosa che sarebbe strano chiedere di più. Se le risorse lo consentissero, sarebbe meraviglioso continuare a viaggiare con la mostra, anche più lontano di Shanghai. Mi sarebbe anche piaciuto conoscere meglio Terna come società, capire in che modo distribuisce energia in tutto il paese, ma sarebbe solo per pura curiosità!
Immagini(cover, 1) Meena Hasan, Landcscape #1, 2009 Ink and Paper on Paper, Premio Terna 02 (2) Meena Hasan, Putting On Scarf 2014 (3) Meena Hasan, Lathering Up, 2013 (4) Meena Hasan, Untitled, 2013 (5) Meena Hasan Taking Off Shoes, 2013 (6) Meena Hasan, Pants, 2014.