< Interviews
Michele Manzini, Untitled (#87), 2012, fotografia digitale ai sali d’argento, Premio Terna 02 (Premio online)
Michele Manzini è nato nel 1967 a Verona, dove oggi vive e lavora. Da anni concentra la sua ricerca sul tema del paesaggio, contrapponendo all’idea di armonia la realizzazione di figure in grado di proporre l’instabilità ed il conflitto come elementi non risolti. «Io realizzo figure – sostiene Manzini – La figura è un tentativo di forma che contrappongo al fascino delle immagini le quali, seppur cariche di verità, luccicano e poi svaniscono senza trasformarsi in un sapere. Le mie figure contengono in sé polemos, nel senso che assumono in sé l’instabilità, il conflitto, l’alterità senza dissolverla, senza risolverla» (M.M., Verona 2008). Ha esposto le sue opere in numerose mostre e spazi sia in Italia che all’estero, tra cui il Triennale Design Museum (Milano, 2014), Palazzo Bembo (Venezia, evento collaterale della Biennale d’Arte 2013), alla Biennale di Venezia (2011), il SUPEC (Shanghai, Expò 2010), l’Istituto Italiano di Cultura a Praga (2009) e il MAXXI (Roma, 2009). Nel 2009 ha vinto il Premio Terna.
Untitled (#87), opera premiata dal pubblico tramite il voto online per il Premio Terna 02, fa parte di una serie di fotografie di installazioni in cui l’artista interviene nel paesaggio, collocando oggetti e geometrie che formano ciò che lui definisce «figure» e dalle quali si sviluppa la sua riflessione: «La soppressione del conflitto e dell’alterità abbassa l’orizzonte del futuro e dell’attesa. […] L’uomo di oggi è l’uomo che vive soltanto il presente. Il piacere dell’immagine è un passaggio importante nell’esperienza della realtà, ma la sua parzialità può essere superata all’interno della dimensione conflittuale di una figura». Il concetto di «figura» per l’artista costituisce una modalità diversa di pensare il reale. In essa, i frammenti di ciò che ci circonda non si ricompongono in una visione finale conciliante e definita, ma rimangono porzione, parzialità, conflitto, superando i limiti razionali del concetto e contemporaneamente oltrepassando anche il fascino dell’immagine.
Quale è lo stato dell’arte oggi in Italia? Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
È in atto, almeno in Italia, una straordinaria trasformazione. Incapacità delle istituzioni, crisi economica che investe gallerie e collezionisti costringono l’artista a rimettersi al centro del processo di produzione artistica. Un cambiamento che può portare a nuove e straordinarie possibilità attraverso collaborazioni con soggetti privati, associazioni, fondazioni e progetti dal basso. L’era dell’artista chiuso nel suo studio che dialogava solo con altri artisti, galleristi o curatori è finalmente finita.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
Più che un maggior impegno sociale dell’artista si stanno configurando nuove modalità di relazione con il mondo economico e sociale. Accanto alla tradizionale ricerca libera da condizionamenti esterni, sempre più si apre la possibilità per l’artista di trovare anche nuove committenze, dove viene richiesto un coinvolgimento preciso all’interno di progetti esistenti, il lavoro con altri professionisti, aziende e realtà economiche. Noto un grande interesse nei confronti dell’arte da parte di soggetti che fino ad oggi se ne interessavano solo marginalmente. Negli ultimi due anni mi è stato chiesto di collaborare con aziende di design, di comunicazione e ad un programma di ricerca su arte e scienza. Tutto questo non tanto perché questi professionisti fossero banalmente interessati all’elemento visivo del mio lavoro, ma ciò che invece mi veniva richiesto era di intervenire in maniera strutturale nella produzione di progetti. Solo qualche anno fa questo non sarebbe stato possibile. Sono nuove possibilità che spesso si rivelano molto feconde e che per quanto mi riguarda hanno avuto un ritorno enorme anche sulla mia ricerca più pura. Oggi i confini tra arte ed altri mondi sono molto più sfrangiati.
Ricordi la tua partecipazione al Premio Terna? Stavi lavorando ad un progetto in particolare?
In quel periodo stavo lavorando da più di cinque anni al progetto fotografico di cui faceva parte l’opera vincitrice del Premio Terna. Anni di grande concentrazione, attenzione e ricerca sia sul piano teorico che visivo. Lavoravo intensamente ma isolato, dedicando poco tempo alla promozione mia e del mio lavoro. In completa controtendenza rispetto a quello che la maggior parte degli artisti faceva in quegli anni e che moltissimi continuano a fare ancora oggi. Il Premio Terna è stata per me un’importante conferma per il lavoro che avevo fatto.
In quale direzione si è evoluta la tua ricerca più recente? Ci puoi anticipare progetti e prospettive future?
Quasi tutto il mio lavoro si struttura, da sempre, attorno all’idea di realtà come estremo, come confine. Un lavoro sempre teso tra soggetto e mondo, tra ideale e reale, tra possibile e impossibile cercando di tenere assieme aspetti della realtà spesso opposti e non superabili o negoziabili. Ho indagato quei territori cercando di superare il limite del concetto e di oltrepassare il fascino dell’immagine attraverso la realizzazione di «figure». La «figura» è il disvelamento di un’altra modalità del pensiero rispetto al logos filosofico. La «figura», come scriveva Musil ha la capacità di oscillare tra due mondi senza cancellare le differenze. Oggi la mia ricerca si muove a partire da delle riflessioni che definirei «pensieri del limite». Cerco di realizzare figure che abbiano la capacità di trattenere il dentro e il fuori, il qui e l’altrove. Per fare questo, attraverso il video e le performance, ho iniziato recentemente a percorrere i confini del corpo. L’esperienza del corpo è l’unica che ci permette di spingerci verso un sapere estremo, un sapere del limite.
Cosa significa per te, e per la ricerca in generale, l’«errore», concetto e «momento evolutivo» che sappiamo esserti molto a cuore?
La comune definizione di errore è ritenere vero ciò che è falso o falso ciò che è vero ma uno «sbaglio» non è soltanto una «svista», ma qualcosa che investe in modo più profondo e radicale la nostra vita. L’errore è un evento della nostra esistenza che cerchiamo costantemente di evitare ma che in realtà costituisce l’ombra ed il riflesso, spesso inconsapevole, dei nostri desideri e delle nostre passioni più vere e profonde. Nell’errore tutto si deforma, si trasforma ed entra in conflitto. In questa mescolanza di elementi divergenti e discordanti spesso nascono nuove visioni e nuove configurazioni delle realtà.
In un momento in cui i linguaggi dell’arte, e della cultura in generale, sono sempre più ibridi è sempre più difficile poter parlare di opere con riferimento ad ambiti disciplinari specifici. Come ti senti di commentare questa affermazione? Ci puoi, a questo proposito, raccontare della tua esperienza nel mondo del design in occasione della produzione della Libreria Errante?
Ciò che prima era racchiuso in singoli volumi e stava su scaffali dedicati ad ogni singola disciplina oggi si muove liberamente. I nostri schermi e le nostre menti sono il crocevia di dati, immagini, pensieri e contenuti provenienti spesso dai più disparati ambiti di conoscenza e mai come oggi accedervi è stato così semplice. Tutto questo è molto più di una semplice ibridazione: è un cambio di paradigma. L’industria non è immune a tutto questo e si aprono per gli artisti nuovi territori e possibilità. Il design in sé non mi ha mai interessato. Ma anche gli industriali più lungimiranti hanno capito che oggi non è più possibile fare design così come si faceva anche solo pochissimi anni fa. Immagine e ricerca formale non sono più sufficienti: oggi anche per loro è importante riuscire a veicolare contenuti. In questa prospettiva è nata la Libreria Errante per Morelato che è un’evoluzione dei concetti e dei pensieri su cui avevo costruito il progetto “L’Errore e il disincanto” per la Biennale d’Arte di Venezia del 2013.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
Non so se ha ancora senso porsi oggi questa domanda in un’epoca in cui i centri della creatività e i rapporti internazionali sono in continuo e rapido mutamento. Io forse ribalterei la questione e mi chiederei cosa può fare l’Italia per attirare arte e creatività proveniente dall’esterno. Credo che sarebbe molto più proficuo per il nostro Paese e anche per gli artisti italiani.
Cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta oggi per un artista il Premio Terna nel panorama Italiano e in quello internazionale?
Il Premio Terna è completamente diverso da tutti gli altri premi. Non si tratta di un’azienda che usa l’arte ed un premio solamente per scopi pubblicitari del proprio brand. Terna ha un rapporto con l’arte e con gli artisti completamente diverso, di tipo quasi mecenatistico. Il Premio Terna segue i propri artisti con viaggi di studio, mostre, interviste, un magazine. Personalmente, poi, ho avuto diverse opportunità e rapporti di tipo professionale con i curatori del premio.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del Premio Terna ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Il Premio dovrebbe diventare solamente uno dei poli su cui lavorare per il futuro. Un elemento importante, ma non l’unico. Credo che Terna, invece, abbia i mezzi e le competenze per porsi come piattaforma di riferimento a livello internazionale per l’arte italiana.
Immagini (cover – 1 e 2) Michele Manzini, Untitled(#87), fotografia tradizionale con stampa ai sali d’argento, 2008, cm 45×55 edizione di 7, Courtesy the Artist (3) Michele Manzini, Untitled(#65) – fotografia tradizionale con stampa ai sali d’argento, 2007, cm 55×45 edizione di 7, Courtesy the Artist (4) Michele Manzini, Untitled (#102), fotografia tradizionale con stampa ai sali d’argento, 2010, cm 45×55 edizione di 7, courtesy the Artist (5) Michele Manzini, Erranti nell’errore, Installazione e performance, Verona, Giardino Giusti, 2011, courtesy the Artist (6) Michele Manzini, L’Errore e il disincanto, installazione, opera esposta in «Personal Structures», Biennale d’Arte di Venezia, 2013, courtesy by the Artist (7) Snags in Palladio, Video, durata 6’ 03’’, 2014 (still video), courtesy the Artist.