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Riccardo Previdi, Test (Parrot), 2010, tecnica mista su tela, Galleria F. Minini, Milano, P. Terna 03 (menzione speciale alTERNAtiva)
Riccardo Previdi è nato nel 1974 a Milano, dove ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera e dove nel 2000 e ha conseguito la laurea in Architettura al Politecnico. Nel 2001 si è trasferito a Berlino, dove vive e lavora. È stato assistente di Ólafur Elíasson, ed ha fondato con Massimiliano Buvoli e Patrick Tuttofuoco il collettivo artistico Super!. Guidato dall’interesse per i meccanismi che stanno dietro alla forma degli oggetti che ci circondano, Previdi attraversa arte, architettura e design per analizzare le possibilità e i limiti della modernità. Le sue opere sono state presentate in numerose gallerie e istituzioni, in Italia e all’estero. Tra queste: Künstlerhaus Palais Thurn und Taxis (Bregenz, 2013), II STILE (Berlino, 2013), Galleria Francesca Minini (Milano, 2013/2009/2006), Palazzo Borghese (Roma, 2012), Waterside Contemporary (Londra, 2012), Art Basel (Basilea, 2012/2007), Istituto Italiano di Cultura (New York, 2011), Lichthaus/Kunstverein (Arnsberg, 2011), MARTA (Herford, 2011), Centre National d’Art Contemporain (Grenoble, 2010), Fondazione Arnaldo Pomodoro (Milano, 2010), Biennale di Mosca (2010), Sommer & Kohl (Berlino, 2010/2008), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino, 2010), De Vleeshaal, (Middelburg, 2009), Triennale di Milano (2009), Manifesta (2008), MART (Rovereto, 2008), MAMBO (Bologna, 2008). Oltre al Premio Terna nel 2010, ha vinto il Premio Selezione 2011 dell’Istituto di Cultura Italiana di New York.
Test (parrot), opera vincitrice del Premio Terna 03 nella menzione speciale alTERNAtiva, è parte della seconda serie dal titolo Test prodotta da Previdi, e rappresenta il diagramma colori accartocciato di una stampante laser Canon, riprodotto per mezzo di un plotter UV su tela. «La seconda serie di Test (2010) – afferma l’artista – si è allargata al concetto di test come strumento di verifica, di messa a punto, il cui obiettivo è quello di non commettere errori. Collezionare queste immagini è una riflessione sul ruolo che la tecnologia ha nella nostra società, sulle promesse e le illusioni che crea».
Quale è lo stato dell’arte oggi in Italia? Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
In Italia, come altrove, si sta attraversando un periodo di crisi. La produzione di arte contemporanea, come è normale che sia, ne subisce le conseguenze.Il ruolo dell’artista, oggi più che mai, dovrebbe essere quello di un individuo libero da condizionamenti di sorta che abbia il privilegio di poter fare la sua arte come meglio crede. Un privilegio che andrebbe tutelato con strumenti precisi e rigorosi di promozione culturale.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
La retorica della crisi come momento di superamento di dinamiche vecchie mi convince sempre meno. Anche se la ristrettezza di mezzi ha portato tanti ad auto-organizzarsi superando così le inefficienze del sistema, la verità è che con sempre meno soldi in circolo le possibilità di lavorare bene si sono di fatto molto ridotte.
Ricordi la tua partecipazione al Premio Terna? Stavi lavorando ad un progetto in particolare?
Stavo lavorando alla produzione di una serie di quadri stampati con plotter UV per una mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Quando Francesca Minini, la gallerista con cui lavoro in Italia, mi ha consigliato di partecipare al concorso, ho semplicemente immaginato che ci fosse un pezzo in più da fare.
In quale direzione si è evoluta la tua ricerca più recente? Ci puoi anticipare progetti e prospettive future?
Se all’inizio della mia ricerca il lavoro era solo di natura intellettuale e la produzione era sempre delegata ad altri, negli ultimi anni ho cercato di affiancare a questa modalità un maggior impegno nella produzione finale delle opere. Più tempo in studio, lavoro anche di natura manuale, meno tempo davanti al PC. Ai quadri stampati se ne sono lentamente aggiunti di dipinti a mano.
Molti dei tuoi lavori nascono dalla fascinazione per il linguaggio tecnologico, per i sistemi produttivi e per i suoi dispositivi. Ci sono sistemi produttivi e supporti del momento, ancora da te inesplorati, che attirano la tua attenzione e curiosità creative?
La domanda attorno alla quale ruota gran parte del mio lavoro è: «Quanto sono credibili le promesse di progresso, riscatto sociale e benessere fatte dalla modernità?». La tecnica è stata fino ad oggi lo strumento con cui l’Occidente si è di fatto imposto su altri modelli di pensiero, di sviluppo e di organizzazione sociale. Nella mia pratica artistica, l’interesse per la tecnologia è sempre innescato dai comportamenti anomali, dagli incidenti. Il mio sguardo si sofferma quando qualcosa non funziona come dovrebbe. In questo senso il processo di stampa, in tutte le sue declinazioni, rimane uno dei meccanismi che maggiormente cattura la mia attenzione.
Quali strumenti credi si possano mettere in gioco per uscire dall’«assuefazione tecnologica» e riappropriarsi di una visione oggettiva e trasversale?
Per quanto mi riguarda –ma so di non essere l’unico1– una strategia per uscire da quella che tu definisci «assuefazione tecnologica» è quella di esercitare un maggior controllo sull’uso che facciamo del tempo a nostra disposizione; questo anche riappropriandoci di modalità produttive tradizionali che ci permettano di esprimerci indipendentemente dalle «condizioni di salute» del sistema all’interno del quale ci troviamo ad operare. Questo, però, senza cascare nella tentazione di riportare le lancette indietro nel tempo, nel tentativo –pericoloso e un po’ triste– di rievocare un fantomatico bel tempo che fu. Credo che uno sviluppo sostenibile dovrebbe cercare di riconciliarsi con la tradizione e con la complessità dell’individuo.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
Premesso che non amo la parola creatività –se c’è una cosa che proprio non manca agli italiani è quella!–, se mi domandi cosa ci vorrebbe per rendere il paese più competitivo a livello internazionale circoscrivendo la domanda alle arti visive, ti direi che fondamentale sarebbe scrivere di più, in modo continuativo, con cognizione di causa sugli artisti italiani. Collezioni private e pubbliche dovrebbero comprare di più, con maggior precisione e frequenza i lavori degli artisti italiani – dove per artisti italiani intendo gli artisti che si sono formati in Italia e/o che hanno fatto una buona parte del loro percorso professionale in Italia e in ogni caso quelli il cui lavoro, per un complesso intreccio di fattori, sia in qualche modo rappresentativo di una certa qualità nazionale. Germania, Austria e Svizzera eccellono in questo. Hanno politiche di promozione dell’arte nazionale molto ben strutturate, tutt’altro che timide ma sufficientemente intelligenti da capire che per essere credibili devono essere aperte anche a ciò che viene da fuori. Il dialogo con il contesto internazionale è d’obbligo –pena l’isolamento– ma l’esterofilia capricciosa e passeggera che si riscontra spesso nei sistemi meno strutturati –e di conseguenza più deboli e vulnerabili– è totalmente al bando.
Cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta oggi per un artista il Premio Terna nel panorama Italiano e in quello internazionale?
Il premio Terna, mi ha preso solo di striscio. Essendo stato premiato con una –testuali parole– menzione speciale alTERNAtiva, per me ci sono stati una modesta somma di denaro, un cubo di plexiglas e un viaggio a Mosca con mostra inclusa. Ho un ricordo positivo del viaggio, del rapporto con gli artisti e con gli organizzatori del premio. Meno entusiasmanti invece sono state la mostra al MAMM di Mosca e la consegna del cubo di plexiglas per mano dell’allora Ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi. Considerando però che alla fine Terna ha acquisito la mia opera, complessivamente ho un ricordo positivo dell’esperienza. Detto ciò, ritengo che se Terna vuole guadagnare maggior credito posizionandosi al pari di altri premi internazionalmente riconosciuti, ci sia ancora del lavoro da fare.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del Premio Terna ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
L’arte Italiana ha veramente bisogno di essere sostenuta e un premio può contribuire in modo importante a ciò. Se Terna vuole veramente assumersi questa responsabilità, deve fare in modo che i veri beneficiari di tutta l’operazione siano gli Artisti premiati e la loro arte. Da quello che ho visto io i soldi per operare in questo modo il Premio Terna li avrebbe, andrebbero solo spesi diversamente. Ritengo che la frammentazione del premio in tanti piccoli premi non sia d’aiuto in questo senso. Una formula molto efficace è quella dei premi tedeschi Ars Viva e Preis der Nationalgalerie o dello svizzero Manorpreis, in cui il primo classificato riceve uno stipendio o una somma di denaro consistente, gli viene prodotta una mostra personale in un museo e un catalogo la accompagna. Tutto ciò dovrebbe avvenire sotto la supervisione di un curatore, che, in aperto dialogo con l’artista, abbia libertà di operare, sia per quanto riguarda l’allestimento della mostra, che per la realizzazione del catalogo. Un’altra cosa che a mio avviso dovrebbe cambiare già dalla prossima edizione, è che il Premio Terna non dovrebbe acquisire i lavori degli artisti vincitori semplicemente assegnando il premio. Questo a mio modo di vedere dovrebbe valere in assoluto ma diventa ancora più urgente se si considera che la somma di denaro attualmente offerta è, in molti casi, inferiore al valore di mercato dell’opera.
[1] a questo riguardo ho trovato molto interessanti le parole di Ivo Quartiroli nel suo libro: The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet – Sep 2011, Silens, ISBN: 9788897233015