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Vanessa Alessi è nata a Palermo nel 1979. Vive e lavora a Berlino. Dopo essersi laureata in Architettura al Politecnico di Milano nel 2005, ha conseguito una seconda laurea magistrale in scenografia nel 2008 presso la AMU Academy of Performing Arts di Praga. Spaziando attraverso diversi media e coinvolgendo professionisti di settore – quali sociologi, filosofi, musicisti – porta avanti una ricerca interdisciplinare incentrata sull’esplorazione dei concetti di limite e di transizione all’interno dei processi di creazione/dissoluzione di identità. Secondo l’artista «Ogni esperienza è anche la storia dei limiti che ci hanno condotto ad essa e del contesto sociale in cui sperimentiamo quel limite. In quest’ottica è proprio sui confini possibili di un sistema, e non al suo interno, che si colloca il mio sguardo.(…) Ogni opera è un’epifania lungo un processo di cui conosciamo solo il prima, sfugge al controllo del suo stesso creatore».
Il suo lavoro è stato presentato in diverse gallerie e istituzioni, in Italia e all’estero. Tra queste: Kreuzberg Pavillion (Berlino, 2014), Schau Fenster (Berlino, 2014), 798 Art District (Pechino), Terme di Diocleziano (Roma, 2014), Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi/Giardino di Villa Aurea (Agrigento, 2014), Tempio di Adriano (Roma, 2013). Ha svolto attività di ricerca al Politecnico di Milano nel Laboratorio di composizione urbana e architettonica coordinato da Maurizio Carones e ha lavorato come performer e scenografa al Museum of Czech Fine Art e al teatro Divadlo Na Zabradli di Praga. Ha inoltre esposto alla Quadriennale di Scenografia di Praga (PQ 2007), nel padiglione della DAMU, premiato dall’UNESCO. Nel 2008 ha vinto l’AMU Dean’s Award 08 con il progetto di tesi Monsters of Grace, con musiche di Philip Glass. Nel 2014 concorre per il Premio FAM giovani per le Arti Visive ed è finalista per Centro/Periferia, concorso internazionale per giovani artisti istituito da Federculture.
W-HOLE, tra le opere vincitrici del Premio Terna 05, è una bandiera trasparente che l’artista pianta nei diversi luoghi in cui ha vissuto o sostato, e in quei paesaggi che collega al concetto di «casa». Per il Premio ha presentato la prima foto della serie, scattata ad Agrigento (sua città di origine) su un’altura che guarda il Mediterraneo. «W-HOLE è un’opera sul bisogno di appartenenza ad un luogo, unito al senso di smarrimento dell’individuo nella società contemporanea. La mancanza di un posto fisso, unitamente alla necessità di trovare il proprio posto – genera Migrazione e una nuova percezione del concetto di Limite. […] Una bandiera privata dei suoi colori vaga nel vento, indossando di volta in volta le sembianze del paesaggio circostante». (Carolin Deufhard, sociologa).
Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
Il Sistema dell’Arte è un paradosso in termini perché l’arte non può essere sistema; la vera arte dovrebbe sposare l’anarchia non la certezza; dovrebbe sovvertire le Istituzioni o perlomeno averne l’ambizione. Il ruolo – e il dovere – di un artista non possono prescindere dalla sua autenticità, non possono essere che il risultato di un’innata necessità. Questo imperativo interiore vive in tutti gli artisti che per una curiosa condizione dell’animo sono a loro modo dei Deviants, perché violano l’immaginario collettivo, perché abbracciano con disagio le norme sociali, perché si pongono continuamente davanti a domande che forse non avranno risposte e perché – come un’inevitabile conseguenza – scelgono di convivere con il fallimento, e con un sottile ma perenne senso di emarginazione sociale, nell’infantile incapacità di comprendere – per lusso o per vocazione – la parola compromesso. Ma è proprio non accettando ma deviando che ci costringono a vedere oltre e trasgredire i limiti dell’immaginazione sociale.
Premio Terna pubblicò, in una delle sue prime edizioni, una ricerca previsionale dello stato dell’arte dal 2010 al 2015. I risultati hanno aperto una finestra su quello che è agli effetti il panorama attuale. Tra questi, anche il fatto che la crisi avrebbe portato ad un superamento dell’assuefazione rispetto alle regole dominanti, oltre ad un maggiore impegno sociale dell’arte. È quello che sta accadendo davvero?
Il ruolo sociale dell’arte contemporanea è un tema centrale di tanti dibattiti oggi. L’atto stesso di parlarne è difatti sintomatico di un malessere collettivo, di un bisogno crescente di liberare una disciplina che rischia di invecchiare all’interno di circuiti elitari attorno cui noi artisti danziamo come scimmiette ammaestrate. L’impegno sociale è una possibile cura, ma non l’unica strada percorribile lungo i confini di una criticità che in scala più ampia sta investendo tante altre discipline che oggi devono re-interrogarsi, sul loro stesso significato. Arte, design, urbanistica, teatro, sociologia, filosofia… possono trovare nel dialogo una via di fuga alla claustrofobia della nicchia. Un dialogo già presente in passato ma che oggi sembra accettare il fatto di sollevare questioni instabili e irrisolte, come riflesso di una società che vive nella crescente impossibilità di riconoscere le linee di demarcazione tra gli insiemi di uno stesso discorso. I confini diventano sempre più labili, come conseguenza di una crisi che investe anche una codificazione sociale che va sgretolandosi nella rigidità della scacchiera e della sua gerarchia, per ricomporsi all’interno di un modello a rete flessibile. Personalmente la mia ricerca non avrebbe valore se non si fondasse su preziose collaborazioni. Non bisognerebbe più preoccuparsi di trovare la propria casella, quanto invece di abbracciare un processo.
Cosa ha significato per la tua esperienza e per la tua ricerca la partecipazione al «Premio Terna»? Quali opportunità concrete, anche di mercato, ha generato?
Sono un Architetto deviato, il mio approccio all’arte contemporanea è quello dell’autodidatta. Nel mio caso il Premio ha significato molto. Alcuni curatori hanno notato la mia ricerca aprendo le porte a preziose opportunità. Qualche esempio? Avere la possibilità di lavorare in luoghi assolutamente unici come il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, in occasione della mostra Sub Divo/sotto il cielo curata da Giusi Diana; esporre in diverse mostre a Berlino, tra cui «Give Way to Give a Way» allo Schau Fenster curata da BOCS-Catania o l’ultima «It’s not about pain when you look at it» inaugurata lo scorso settembre a Kreuzberg Pavillon; o prendere parte ad un progetto di curatela indipendente a Pechino curato da Catherine Cheng. Ma il Premio non ha solo significato un elenco di opportunità concrete generando nuovi incontri e viaggi, ma soprattutto ha rinforzato quel push interiore di cui ogni artista ha bisogno, unito ad una maggiore consapevolezza di quanto sia lunga incerta ed impervia la strada nella colorata giungla dell’Arte.
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? E quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
Vivo da due anni a Berlino. Come ogni città, anche Berlino è la conseguenza della sua storia: durante gli anni del muro la gente che viveva nella parte occidentale era esente dal servizio militare, facendo sì che questo luogo divenisse un nido per tanti spiriti liberi in fuga da regole imposte dall’alto. La reazione a catena ha portato in questa Isola una creatività crescente, producendo un circo culturale in cui l’estrema varietà paesaggistica corrisponde ad altrettanta varietà sociale. La cultura è diventata quotidianità e parte fondamentale dell’economia di questa capitale che pur offrendo tutto mantiene un costo della vita accessibile per un artista, continuando così ad attrarre creativi da tutto il mondo. L’effetto collaterale è l’apertura mentale, la propensione verso il nuovo, la libertà di espressione e un concetto di valore che non è dettato da mode consolidate negli anni. La Fantasia, la capacità cioè di trasfigurare la realtà, ha risanato le ferite di questa Città, dove sorge un parco e i suoi aquiloni sulla pista di atterraggio di un aeroporto in disuso in cui prima sfilavano i caccia bombardieri, dove si affittano appartamenti all’ultimo piano di una chiesa, dove puoi assistere ad una performance dentro una pista di go-cart, o ammirare una mostra nel gabinetto di una casa, qui a volte si riesce a visualizzare il mare anche dove non c’è. Cosa manca all’Italia a sostegno della creatività? Direi i poeti, gli artisti, i ricercatori, gli artigiani, i pensatori, i visionari e i ribelli che ogni giorno scappano dal nostro Paese portando la loro fantasia in valigia. L’identità di un luogo la fanno le persone che lo abitano e una Società che accetta l’uguale, medicalizzando il diverso, rischia di perdere qualcosa di importante.
Quanto spazio dedichi alla ricerca pura?
La ricerca è incalcolabile in unità di misura temporali perché è una condizione dell’animo. Ogni libro, ogni persona, ogni viaggio, ogni imprevisto, ogni oggetto che ci circonda può diventare soggetto della nostra attenzione. La genealogia di un’opera non è che la storia dei limiti che percorriamo, delle scelte che facciamo o che non facciamo, il frutto di una crisi che ciclicamente ritorna invadendo in modo incontrollabile lo spazio della ricerca.
Quali sono i tuoi riferimenti letterari?
I grandi pensatori, che sono spesso i più grandi trasgressori. Simone de Beauvoir e consorte, Erving Goffman, Sarah Kane, Woody Allen, Luigi Pirandello, Fëdor Dostoevskij, Franz Kafka, Eugène Ionesco, Arthur Rimbaud, Dylan Thomas, Philip Roth, Pier Paolo Pasolini, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Judith Buttler… l’elenco è troppo lungo per esaurirsi in una risposta. Aggiungerei che amo il cinema, il design, l’architettura, la cucina, la scienza, la musica e chiunque abbia sottoposto queste discipline alla lente di un occhio critico. Credo che ogni artista tenda ad essere un tuttologo non professionista.
Terna è un’azienda che si occupa di trasmettere energia al Paese. Il suo impegno con Premio Terna si focalizza sulla trasmissione di energia all’arte e alla cultura e nella creazione di una rete di sostegno e sviluppo del talento. Ritieni la formula del «Premio Terna» ancora attuale per la promozione dell’arte? Hai qualche suggerimento da dare per la prossima edizione?
Terna ha lanciato una formula che funziona semplicemente perché applica la logica dell’azienda ad un sistema spesso illogico come quello artistico. Molti concorsi ed Istituzioni in Italia promuovono una falsa positività che spesso si nasconde dietro la parola visibilità. L’arte non può essere gestita esclusivamente da creativi ed intellettuali o da borghesi colti e annoiati, ma va affiancata a figure professionali con capacità imprenditoriali che permettano di ridurre al massimo gli sprechi per direzionare i fondi in modo puntuale, permettendo una reale promozione del talento che come tutti i comuni mortali deve mangiare e pagare affitto e bollette. Tanti talenti autentici abbandonano il circuito perché non hanno nonni, mariti o genitori alle spalle, né la forza di continuare a lavorare per mantenersi un lavoro. L’arte non dovrebbe essere un lusso. Fortunatamente esistono anche lodevoli eccezioni. Per la prossima edizione del Premio Terna suggerirei di dare la possibilità ai vincitori di realizzare progetti di rigenerazione di spazi urbani dimenticati o feriti in Italia, per rimetterli, anche se in maniera temporanea, a servizio della comunità, per ridisegnare le nostre Città.