Esattamente 3 anni fa, nell’autunno 2020, in piena seconda ondata pandemica, l’Haus der Kulturen der Welt di Berlino presenta una mostra incredibilmente accurata sul tanto leggendario quanto affascinante Bilderatlas Mnemosyne dello storico e critico d’arte tedesco Aby Warburg (1866-1929), per poi chiuderla subito per via delle restrizioni per il contenimento del virus. Il periodo, lo ricordiamo tutti, era florido di scialbe “esposizioni virtuali” e tutti noi, frustrati e amareggiati, vagavamo con il mouse su queste illusioni ottiche, fotografie panoramiche a 360 gradi delle stanze museali con un grottesco “allungamento” grandangolare agli estremi, che nel movimento del cursore si facevano come liquide, false nella loro essenza sia di mostra che di immagine. Questa esposizione non è da meno ed è tuttora possibile “visitarla” digitalmente dal sito del The Warburg Institute. Ma andiamo con ordine.
In realtà le mostre erano 2 e se questa presentava l’archivio Mnemosyne, un’altra, alla Gemäldegalerie, presentava una collezione di 50 oggetti raffigurati nell’Atlante di Warburg, provenienti da 10 musei statali berlinesi. Entrambe le mostre volevano omaggiare il grande inauguratore di un filone della storia dell’arte fino all’inizio del XX secolo inesistente: l’iconologia.
La mostra in oggetto presenta il suo lavoro (critico ma anche artistico, fosse stato fatto negli anni ’60 si sarebbe detto “concettuale”) più importante: l’Atlante Mnemosyne – ricostruito attraverso un’ampia documentazione che lo storico aveva prodotto prima di morire. Stiamo parlando di una serie di pannelli neri affiancati l’uno all’altro, ognuno caricato di immagini che spaziano temporalmente in tutta la Storia e spazialmente in tutta la Terra, che dimostrano le emigrazioni e le sopravvivenze delle antiche immagini nella cultura moderna, dimostrano, in parole povere, il senso iconologico della storia dell’arte.
La sala in cui sono esposti questi 63 pannelli è perfetta: enorme, permette ai pannelli di relazionarsi, com’era nelle intenzioni di Warburg, in quanto ogni pannello ha un tema ma poi ogni tema si può ritrovare e si può “collegare” ad un altro attraverso un segno, un oggetto, un vero e proprio link, un collegamento ipertestuale ante litteram, un’apparenza digitale nella meccanica, a tratti elettrica, società di inizio ‘900.
Ed ecco che l’Atlante di Warburg acquista un valore nuovo visto con gli occhi della contemporaneità, acquista un carattere digitale, un modo di pensare all’immagine “contemporaneo”, estremamente adatto ad una fruizione online, in cui ogni pannello, con le sue immagini ordinate e relazionate ad un tema ci appare quasi come una raffinata ricerca di Google Immagini, che, nella sue dinamiche essenziali, è fortemente legata all’iconologia, infatti ogni ricerca ci porta difronte ad un’immensa quadreria di immagini che rappresentano in tempi e in spazi diversi ciò che è stato ricercato, mantenendone un fattore comune, un carattere dell’immagine costante.
E arriviamo al simulacro della mostra, la sua controparte virtuale. L’esposizione virtuale è, in generale, in linea con gli altri esperimenti di questo tipo, riprendendo in qualche modo la fruizione di Google Street View per spostarsi da un lato all’altro della mostra e con la possibilità di zoomare sulle opere che desideriamo vedere meglio. Come detto, l’enorme fatica di Warburg si presta particolarmente bene a questa traduzione digitale, le qualità spaziali della mostra, invece, si prestano difficilmente ad essa. L’effetto Google Street View trasforma inevitabilmente la “visita” in un gioco didattico difforme al senso della mostra analogica, fortunatamente però lo zoom sulle immagini che desideriamo contemplare digitalmente è estremamente accurato, a differenza della maggior parte delle mostre simili a questa (eccezion fatta per alcuni pannelli secondari che si aprono al fascino della pixellizzazione, di una qualità molto minore, è impossibile vederli bene, incomprensibilmente).
Ciò non toglie che ci sarebbero alcune questioni su cui riflettere riguardo il progetto di Warburg, estremamente a suo agio nello spazio digitale e traducibile in pixel in modo molto più facile di come lo sarebbero la maggior parte delle opere d’arte contemporanee. Perché non aver creato un supporto virtuale adeguato all’opera? Perché limitarsi ad un Google Street View della mostra, concentrandosi solo sulle qualità visive e mimetiche di essa? Perché non costruire un archivio (Mnemosyne non è altro che questo) virtuale in cui palesare, grazie ai collegamenti ipertestuali intrinseci al progetto, i collegamenti che si possono trovare tra i pannelli analogici? Perché non permettere all’internauta di mettere in relazione, con uno strumento digitale apposito, le diverse immagini di Mnemosyne così come analogicamente facciamo attraverso il movimento dei nostri occhi e del nostro corpo, difficilmente replicabile alla perfezione in forma digitale? Non sarebbe potuto essere un elemento in più della mostra, che la potenzia grazie alle qualità tecnologiche, invece di essere una simulazione bidimensionale fruibile attraverso uno schermo, che non può che avere qualcosa in meno rispetto ad essa?
In conclusione le politiche anti-Covid uccisero una esposizione estremamente interessante, ora ci resta la sua riproduzione virtuale, che ci mostra perfettamente il significante ma meno il significato di essa. Ovviamente questo ha un risvolto positivo, la mostra è, così, potenzialmente virale, la possono “visitare” tutti da tutto il mondo e sempre, ma che spreco non sfruttare il potenziale digitale, relegandolo a mera simulazione menomata del reale. Il Bilderatlas Mnemosyne è elemento importante per comprendere la nostra cultura visuale e concretizzazione degli studi, nonché del genio, di Warburg, con questa mostra virtuale possiamo sfiorarlo e affascinarci, ma non possiamo immergerci in esso, il livello d’attenzione cala in fretta davanti lo schermo ed un altro modo di presentazione dell’esposizione, affiancato alla sua mimesis digitale, avrebbe di certo migliorato la fruizione. Non è tanto la fotografia in alta definizione a fare di una mostra analogica una mostra digitale, quanto la sua progettazione difforme da quella della sua controparte analogica.
Aby Warburg: Bilderatlas Mnemosyne exhibition at Haus der Kulturen der Welt, Virtual Tour
immagini: (cover 1) Aby Warburg, «Bilderatlas Mnemosyne», dettaglio (2-5) Aby Warburg, «Bilderatlas Mnemosyne» alla Haus der Kulturen der Welt di Berlino, panoramica dell’installazione