Massmedia e civiltà delle immagini, consumismo culturale e società dello spettacolo, era della riproducibilità tecnica e cultura di massa: la contemporaneità risuona continuamente di emergenze ormai non più nuovi ma ampiamente analizzati a livello storico, sociale e artistico. Concetti ricorrenti anche guardando a ciò che é successo all’arte a partire dagli anni ’50 con l’avvento della televisione. La raccolta di saggi Arte in TV. Forme di divulgazione, curata da Aldo Grasso e Vincenzo Trione, costituisce un interessante e analitico strumento atto a tirare le fila della questione. Libro quanto mai utile poiché offre lo sguardo ultimo – quindi privilegianto- al termine di due processi iniziati molto tempo fa, quello della perdita dell’ aura dell’ arte (e poi della sua morte) e quello della comunicazione di massa, incarnata dalla TV. La raccolta delinea accuratamente una storia molto particolare: il dialogo tra due mondi ben distinti, la televisione e l’ arte; fino all’integrazione della televisione (non solo in quanto medium ma anche come espressione dei fenomeni e dei mutamenti della società) all’ interno della storia sociale dell’arte.
E’ la storia di una fascinazione, di una revisione di scopi -quelli della TV inizialmente pedagogici e divulgativi- e quindi di metodi: dall’impronta accademica dei primi programmi dedicati in forma di lectio, al prevalere dell’entertainment e della spettacolarizzazione come linguaggio, tenendo bene a mente che l’opera d’arte come «testo sacro» «non ammette distrazioni mentre la televisione non può farne a meno»[1] . Arte dunque come argomento elitario fino agli anni ’60, che si apre improvvisamente all’alfabetizzazione del popolo, in ottemperanza ai propositi del Servizio pubblico; infine come prodotto mercificato, che rientra pienamente nella logica della domanda e dell’offerta nel momento in cui la TV si fa mercato, sopratutto in relazione all’avvento della TV commerciale. I canali si moltiplicano e, anche per la necessità di riempire i palinsesti, si parla di cultura in senso sempre più ampio, come lifestyle, includendo arti performative, architettura, moda, design, ambiente, eventi da segnalare.
Il racconto di questo avvincente dialogo non può prescindere dai suoi protagonisti. Non solo gli intellettuali, impegnati in un vivace dibattito su cosa fosse la TV quando nacque, evidenziandone la parentela con radio e cinema, dall’altro gli esperti/critici/istrioni/giornalisti che da sempre prestano il loro volto nella mediazione tra il pubblico e l’opera, con esiti che sfociano in «autoaffermazione talvolta anche narcisistica»[2]. Aspra fu la critica di Pasolini al medium generatore di passività antidemocratica, diffidente l’atteggiamento di Arnheim davanti al flusso di immagini «non passate al setaccio della ragione» [3]. Mentre Argan e Ragghianti cominciavano a riflettere sull’esperienza estetica televisiva, auspicando la creazione di un linguaggio visivo più che assecondando la vocazione divulgativa del mezzo.
Oggi sappiamo che la sperimentazione video ha conquistato spazi decisivi più in certi territori dell’arte contemporanea che in TV. Tuttavia, negli ultimi decenni, abbiamo assistito a un sempre maggiore utilizzo della videografica e del graphic design. Se accattivare le simpatie e l’attenzione del pubblico é necessario, orientarlo nella programmazione e nei consumi lo é ancora di più: questo lo scopo dell’immagine coordinata dei canali coi loro jingle, bumpers e promo, e dello stile internazionalizzato dell’estetica pubblicitaria.
Il vorace appetito della civiltà dei consumi che investe ugualmente TV e arte, intese come espressioni di questa stessa società, non sempre ha portato a esiti nefasti nella difficoltà oggettiva di parlare di arte con facilità e credibilità. Di fatto la televisione si é fatta spesso informatrice, promotrice, supporto e archivio di documenti audiovisivi. Eppure vale la pena ricordare il pensiero di Didi-Huberman: guardare l’arte senza fretta, nella sua funzione vitale: urgente, bruciante, tanto quanto paziente [4]. Senza contare che vi sono poi quelle emozioni di stendhaliana memoria travolgenti e totali, intime e primitive, davanti alle quali restiamo inermi, perché vissute dal vivo, senza filtro ne strumento di mediazione alcuno a proteggerci.
[1] Anna Luigia De Simone, Dentro l’immagine. Come si guarda un quadro in televisione in «Arte in TV. Forme di divulgazione», a cura di Aldo Grasso e Vincenzo Trione, Johan&Levi Editore, Milano 2014.
[2] Tommaso Casini, Critici d’arte in TV. Origine, ricerca e divulgazione di nuovi linguaggi in «Arte in TV. Forme di divulgazione», a cura di Aldo Grasso e Vincenzo Trione, Johan&Levi Editore, Milano 2014.
[3] Rudolf Arnheim, Vedere lontano, in «Film come arte», il Saggiatore, Milano 1960.
[4] George Didi-Huberman, L’immagine brucia, in «Teorie dell’immagine», a cura di Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Raffaello Cortina, Milano 2009.