L’arte contemporanea, poiché spesso realizzata con materiale effimero, pone non pochi problemi dal punto di vista della conservazione e del restauro. Le tendenze artistiche del ’900 sono caratterizzate dalla sperimentazione di nuove tecniche, dall’utilizzo di materiali extra-artistici ed effimeri e dalla realizzazione di opere il cui deperimento è previsto dall’artista stesso. L’innovazione tecnologica, l’uso diffuso di media elettronici e l’avvento del digitale hanno contribuito a far collaborare storici, critici e artisti con restauratori e specialisti al fine di elaborare una teoria del restauro dell’arte contemporanea. Se è vero infatti che gli interventi sull’arte contemporanea condividono l’impostazione teorica del restauro dell’intero patrimonio artistico e il principio posto da Brandi per cui “il restauro è il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro” bisogna anche riconoscere che i nuovi materiali e le tecniche innovative non permettono al restauratore di rifarsi esclusivamente a una tradizione già consolidata e lo spingono a intervenire in maniera specifica con metodi altrettanto sperimentali[1].
Dunque, può sembrare un paradosso ma anche l’arte contemporanea necessita di restauro: è sempre importante infatti valutare lo stato di conservazione delle opere che spesso rende necessario un intervento di restauro anche a distanza di pochi anni dall’esecuzione. È il caso del video che presenta notevoli problemi di conservazione per via della deperibilità dei supporti magnetici e della rapida obsolescenza degli strumenti e che, a causa del continuo perfezionamento tecnologico, rende problematica la fruizione delle opere meno recenti. Nel caso dei formati video un supporto diventa obsoleto dopo pochi anni, in presenza di questo problema si può intervenire attraverso un’operazione di riproduzione – provocando però una perdita di qualità – se il trasferimento su supporti diversi riguarda video che vengono trasferiti da pellicola cinematografica a nastro magnetico o da nastri magnetici a supporti digitali; oppure mediante la duplicazione, se una copia non può essere distinta dall’originale[2]. È possibile intervenire sull’obsolescenza dei media impiegati dall’artista trasferendo le opere su un nuovo supporto, ma in questo caso è necessaria la definizione di parametri oggettivi che permettano di non alterare l’immagine mantenendo la qualità del colore e della luminosità[3].
Nel caso delle video-installazioni, inoltre, si rivela fondamentale ricostruire la storia della fruizione di quell’opera specifica ed è indispensabile la collaborazione del restauratore e del conservatore con l’artista per stabilire in che modo proporre le opere al pubblico o come sostituire le apparecchiature che, anche col passare di pochi anni, cadono in disuso. Si pensi, per esempio, agli apparecchi televisivi a tubi catodici presenti in gran parte delle videoinstallazioni di Nam June Paik e non più impiegati dalla tecnologia moderna; l’intervento sulle videoinstallazioni dell’artista coreano si rivela relativamente semplice perché lo stesso Paik si è pronunciato più volte a favore della sostituzione delle parti obsolete delle sue opere con nuovi apparecchi e strumenti più avanzati dal punto di vista tecnologico. Dagli anni ’90 si sviluppa una particolare attenzione per i new media non solo da un’angolazione storico-critica ma anche sotto il profilo della conservazione. I musei d’arte contemporanea che avevano aperto le proprie raccolte alle opere d’arte elettronica, si trovano infatti dinanzi al problema dell’obsolescenza dei supporti e alla necessità di garantire al pubblico la fruibilità delle opere. Negli ultimi anni la ricerca sulla preservazione delle opere video è stata caratterizzata da un grande incremento, nel 1997 lo studio sullo stato di conservazione del patrimonio audiovisivo in America, commissionato dalla Library of Congress, ha messo in luce la necessità di stabilire dei procedimenti condivisi per la conservazione del patrimonio audiovisivo mondiale. Agli inizi degli anni ’90 il Netherlands Media Arts Institute, Montevideo/Time Based Arts ha proposto un approccio interdisciplinare alla conservazione della video arte e nel 2000, con la collaborazione della Foundation for the Conservation of Modern Art, ha dato il via a un progetto di studi dedicati alle tecniche e alle metodologie di conservazione della video arte condiviso da musei e collezioni pubbliche, il Project Preservation Video.
Oggi, tali problematiche hanno acquisito importanza a livello internazionale e attualmente si sta sviluppando un’elaborazione teorica interamente dedicata al fenomeno; i siti internet delle più importanti collezioni di arte contemporanea e di importanti archivi presentano pagine web dedicate alle strategie e alle metodologie di conservazione dell’arte contemporanea e della video arte. L’esigenza di continui confronti e aggiornamenti sull’argomento hanno spinto archivi e musei, in collaborazione con artisti, critici e restauratori d’arte contemporanea, a realizzare iniziative comuni finalizzate alla tutela e al restauro delle opere video, tra le più significative citiamo il Variable Media Network del 2002, al quale partecipano musei e istituzioni quali il Guggenheim Museum di New York, la Daniel Langlois Foundation for Art, Science and Technology di Montreal; il network Media Matters, promosso nel 2003 dalla Tate in partnership con i musei d’arte moderna di New York (MoMa) e di San Francisco (SFMoma); il Variable Media Initiative, una rete che valuti le possibilità di trasferimento delle opere da media in formati obsoleti a sistemi alternativi; e il grande network on-line Incca-International Network for Conservation of Contemporary Art, composto da conservatori, storici dell’arte e archivisti di 26 paesi.
Anche l’Italia si è mostrata sensibile a tale problematica, la Direzione generale per la qualità e la tutela del Paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee (Parc) e il MAXXI di Roma promuovono la creazione di un network di musei italiani per la conservazione del patrimonio contemporaneo e di una Carta del restauro contemporaneo. L’Archivio e la Biblioteca della Quadriennale di Roma (ArBiQ), nell’ambito degli studi sulla conservazione e documentazione della new media art, hanno realizzato Media Matters, un progetto di restauro di alcune opere presentate alla XV Quadriennale e comprendenti il video. In Italia, inoltre, è stato realizzato un importante restauro dedicato ad opere video, e cioè l’intervento di preservazione digitale di una delle più importanti collezioni di video-tapes degli anni ’70, la collezione art/tapes/22 dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia (ASAC).
[1] Francesco Poli, a cura di, Arte Contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad oggi, Electa, Milano 2007, p. 12.
[2] Francesco Poli, a cura di, Conservare l’arte contemporanea. Problemi, metodi, materiali, ricerche, Electa, Milano 2005, p. 176.
[3] Cfr. Conservare l’arte contemporanea…, 2005, p. 46.
Immagini
(1) Francesco Vezzoli, Amalia Traida, 2004, courtesy MAXXI -Museo nazionale delle arti del XXI secolo; (2) Bill Viola, Il Vapore, 1975, courtesy MAXXI -Museo nazionale delle arti del XXI secolo, photo by Patrizia Tocci