È in mostra a La Galleria Nazionale di Roma la prima grande personale romana di Franco Vimercati (Milano, 1940-2001), artista complesso, silenzioso e schivo, poco noto ai più, e comunque più noto in settentrione che in meridione, dal titolo Il mondo in un granello di sabbia, curata da Susan Bright, con il testo critico di Doris Von Drathen.
Più di cento opere fotografiche in bianco e nero datate dal 1974 al 2000 ci fanno scoprire una pratica fotografica con caratteristiche molto più concettuali che ottiche, che ha nel mostrare un attributo secondario e volge ad una sorta di metafisica contemporanea senza enigma. In qualche modo queste immagini possono essere ricondotte ai dipinti di Giorgio Morandi, anch’essi immersi in una sfumatura metafisica, così come possono essere ricondotte alle serie di lavori dei fotografi concettuali americani come Ed Ruscha e Douglas Huebler, nella minuziosità e nel rigore del processo fotografico che si fa performance, ma la verità è che l’attività artistica di Vimercati è una somma equilibrata di questi due modi di pensare la realtà, con l’aggiunta di un terzo elemento, il più nascosto, l’intimità intrinseca e inaspettata che scaturisce da queste strutturate fotografie di oggetti che rifuggono la definizione di natura morta. In esse infatti non c’è alcun memento mori, sono architettura dell’oggetto quotidiano che diventa architettura dell’attesa, evolvendosi e stabilizzandosi in architettura dell’esistenza, creando una sorta di sineddoche.
Le sue serie fotografiche sono sublimazione assoluta della contemplazione. La serie delle piastrelle e dei parquet sono un importante esempio: le fotografie sembrano identiche ma solo attraverso la contemplazione scopriamo che ogni opera rappresenta un oggetto diverso. L’oggetto fotografato è estremamente curato in ogni dettaglio, posto nello spazio con un’attenzione maniacale, illuminato in modo ogni volta diverso, ma mai casuale, uno dei pochi elementi che ci fa scorgere l’artista in questo estremo rigore. Proprio riguardo a questo la serie delle zuppiere ne è il più chiaro esempio: un’immensità di fotografie tutte diverse che rappresentano lo stesso piccolo oggetto, un oggetto quotidiano, che non ha alcuna caratteristica speciale, se vogliamo. Un oggetto che si fa specchio, perché riflette la pratica stessa della fotografia, che a sua volta è filtro artistico di Vimercati. Tra l’artista e l’oggetto vediamo un percorso tecnico ed essenziale, vediamo chiaramente la purezza dell’atto fotografico fuoriuscire da questa pratica estrema. A tal riguardo la serie Capovolte ne è un paradigma: i piccoli oggetti, a volte sfocati, ma anche in quei casi estremamente equilibrati, sono a testa in giù, esattamente come l’artista vedeva l’immagine nelle macchine fotografiche a lastre che utilizzava.
Il soggetto delle sue fotografie è sempre lo stesso, la fotografia. E allora, a questo punto scorgiamo una somiglia la quale a primo impatto non avremmo mai immaginato, l’attitudine tautologica di un altro milanese: Piero Manzoni. Certo, il processo è estremamente diverso ma similmente rivoluzionario: Vimercati ha bisogno di un soggetto da fotografare, ha bisogno di realismo, di uno specchio che rifletta le qualità tecniche del mezzo tecnologico, non può permettersi l’astrazione, che come ci ha dimostrato Man Ray perde l’essenzialità fotografica sporcandosi di assolutezza ottica. A Vimercati interessa l’atto fotografico e non il suo procedimento ottico. Fotografare la fotografia significa ripetizione ma non riproduzione, significa congelamento di un istante ma non congelamento di un evento (gli oggetti fotografati dall’artista sono emotivamente nulli).
C’è poi un altro focus importante nella sua ricerca decennale, quello sul tempo, dimostrato al meglio nella serie Un minuto di fotografia: una serie di fotografie che rappresentano una sveglia fotografata ogni 5 secondi per un minuto. Il tempo per Vimercati non è fluido, ma estremamente atomizzato, e lui lo rappresenta come fosse un metronomo. Non allunga i tempi della sua macchina fotografica per scorgere il mosso, il tempo futurista, quello dell’azione umana, ma si “limita” a scattare degli istanti atomici tra gli infiniti che strutturano l’esistenza, lo fa con metodo e con un modello, quasi un’azione scientifica, tradita però, come detto sopra, dalla fioca eppure estrema intimità che rimbalza tra l’oggetto e l’artista attraverso la macchina.
Il mondo in un granello di sabbia, in una zuppiera, in una bottiglia d’acqua minerale, nell’ombra di una caffettiera. Una cosmologia di riferimenti essenziali in fotografie banali, di oggetti quotidiani posti in uno spazio neutro, un travestimento da still life, e il bianco e nero che accentua la composizione e raffredda l’esperienza, comunque incentrata totalmente sulla contemplazione straniante di prodotti fotografici. Un’esposizione, allestita per temi, di facile fruizione, e non è scontato soprattutto con un artista come Vimercati, che si avvicina all’ontologia della fotografia contemporanea e allo stesso tempo, svela, con la giusta pazienza, come il freddo mezzo fotografico sia in grado, oltre l’impressione, di far apparire il suo fotografo.
Franco Vimercati. The World in a Grain of Sand / Il mondo in un granello di sabbia, a cura di Susan Bright
Galleria Nazionale di Roma, 07.06 – 10.09.2023
La mostra è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Franco Vimercati e la Galleria Raffaella Cortese
immagini: (cover 1) Franco Vimercati, «Senza titolo (Zuppiera)», 1991, Courtesy: Archivio Franco Vimercati, Milano and Galleria Raffaella Cortese, Milano © Eredi Franco Vimercati (2) Franco Vimercati, «Senza titolo (Zuppiera)», 1983 (3) Franco Vimercati, «Capovolte», 1995 (4) Franco Vimercati, «Capovolte», 1996 (5) Franco Vimercati, «Un minuto di fotografia», 1974 (6) Franco Vimercati, «Il mondo in un granello di sabbia», Galleria Nazionale, Roma, installation view