Il libro d’artista INCITE: DIGITAL ART & ACTIVISM è nato dal bisogno di mantenere una traccia materiale di un evento dedicato alle arti digitali e all’attivismo al V&A Museum of Design di Dundee avvenuto il 13 maggio del 2022 nell’ambito del Digital Art and Activism Network coordinato dall’artista Joseph DeLappe (Abertay University) e la curatrice Laura Leuzzi (Robert Gordon University). Difatti, come racconta Nuno Sacramento, curatore mozambico-portoghese e direttore del Peacock Visual Arts: “la mia memoria nonostante le mie migliori intenzioni, relega nell’oblio le informazioni più interessanti quando non è aiutata”. Così ha proposto di stampare INCITE, un libro in formato A5 in cui ogni coloro che hanno partecipato alla giornata e altri membri del Network ha avuto a disposizione tre pagine per documentare l’esperienza vissuta e piu’ in generale il proprio approccio ad arte e attivismo.
INCITE si propone quindi come una collaborazione tra attivisti, artisti e studiosi incontratisi nell’ambito del Digital Art and Activism Network, rete fondata nel 2019 grazie al sostegno della Royal Society of Edinburgh avente lo scopo di indagare lo stato dell’arte e dell’attivismo e che utilizza tecnologie emergenti che stabiliscono legami di collaborazione di ricerca creativa internazionali.
Il progetto, si legge nelle prime pagine del libro, è frutto di uno sforzo collettivo e diversificato nato per condividere l’attivismo, le pratiche e le ricerche disparate ma connesse rappresentate da coloro che sono coinvolti nella rete.
Agli editori del progetto sono stati suggeriti contributi che andavano da manifesti, istantanee di pandemia/sopravvivenza politica, Xerox art, lettere, narrazioni visive, e istantanee. Uno dei contributi prende la forma di una “ricetta” esplorando il concetto di blockchain, mettendone in luce alcune peculiarità e aporie. L’obiettivo era suscitare l’interesse dei partecipanti e permettere loro di pensare in modo più ampio a ciò che avrebbero potuto creare.
È giusto soffermarsi sul tipo di stampa utilizzato per questo progetto, la risografia, una tecnica che implica inchiostri a base di soia e matrici in fibra di banano. Il nome deriva dalla parola giapponese “Riso” che significa “ideale”. Si tratta di una tecnica che utilizza una stampante-duplicatrice inventata nel 1986 dalla RISO Kagaku Corporation, strumento che ha trovato una nuova vita nella versione a più colori, e che ha rivelato il suo valore artistico sperimentale. Questa ha infatti caratteristiche particolarmente distintive: è inevitabile riscontrare delle piccole variazioni di intensità e di fuori registro tra colori, e uno dei maggiori vantaggi del sistema è che non è necessario investire molto tempo o risorse. Questi “difetti” nella loro stampa, fanno sembrare il risultato più artigianale.
Il volume include contributi di : B.D. Owens, Donna Holford-Lovell, Elaine Shemilt, Ellie Harrison, Emile Shemilt, Eve Mosher, Gair Dunlop, Giulia Casalini con Niya B e Va-bene Elikem Fiatsi, Hadi Mehrpouya e Duncan Nicoll, Iliyana Nedkova, John Butler, Jon Blackwood, Joseph DeLappe, Laura Leuzzi, Maja Zećo, Malath Abbas, Martin Zeilinger, Moza Almatrooshi, Niya B, Tom Demajo, Zoyander Street
DeLappe nel suo contributo racconta dell’impegno profuso in un atto di espiazione critica e ricordo, attraverso la realizzazione delle scritte composite utilizzando le lettere dei nomi delle vittime dell’attentato dell’11 settembre 2011 al memoriale del World Trade Center col fine di comporre i nomi di ogni membro della famiglia Ahmadi, sterminata nell’agosto 2011, durante un attacco di droni a Kabul, in Afghanistan. Il governo statunitense ha insistito sul fatto che l’obiettivo americano fosse un manipolo di terroristi dell’ISIS-K, in realtà un gruppo familiare, tra cui sette bambini, era stato ucciso.
I familiari che visitano il memoriale nazionale a New York sono invitati a scrivere sui nomi dei loro cari, incisi su parapetti di bronzo, utilizzando i pastelli a cera neri e la carta forniti.
Una volta recatosi al memoriale il 17 settembre 2021, DeLappe, ha realizzato un’incisione del nome di ogni membro della famiglia afghana, utilizzando le lettere degli iscritti sul monumento per creare nomi compositi in onore degli innocenti Ahmadi uccisi. Lo stesso giorno, il Pentagono ha ammesso l’errore di aver ucciso la famiglia durante l'”attacco al di là dell’orizzonte”.
L’azione di DeLappe collega la commemorazione dei 2.983 civili nominati nel memoriale dell’11 settembre e i 71.000 civili che, secondo le stime, sono stati uccisi nelle zone di guerra dell’Afghanistan e del Pakistan dal 2001.
Concettualmente questo progetto cerca di invocare la riflessione: Chi viene ricordato? Chi viene pianto? E come, e perché?
Tra i contributi si legge anche di curatela femminista, come nel caso di Laura Leuzzi, storica dell’arte e curatrice che concentra la sua ricerca sulla videoarte, più approfonditamente sulla videoarte femminista degli anni ’70 e ’80. Tra le pagine di In Dialogue: for an approach to activism curating, Leuzzi racconta in che modo sia stata ispirata da Tu che mi guardi, tu che mi racconti, un testo della filosofa Adriana Cavarero (già docente di Filosofia Politica all’Università di Verona) sull’autonarrazione e sui processi relazionali. L’ascolto è il primo atto della curatela: mantenere viva la voce dell’artista è un approccio funzionale per le opere d’arte che abbracciano e si fondano su prospettive femministe, ampliando il messaggio dell’opera e coinvolgendo il pubblico a un livello più profondo. Difatti sono proprio le opere di video arte femminista che spesso si poggiano su narrazioni personali, questioni di identità ed esperienze individuali. Esse riflettono visioni politiche e civiche, e incarnano lotte per i diritti umani, molte delle quali ancora in corso. Nelle pagine, si può leggere un vero e proprio statement della curatrice, una promessa ai fini del valore dell’arte: il messaggio dell’opera può sovraestendersi e il pubblico può impegnarsi a un livello più profondo se l’artista mantiene una posizione non gerarchizzata, instaurando un rapporto di collaborazione tra gli artisti attivisti e i colleghi curatori.
Pioniera della video arte femminista è Elaine Shemilt, che contribuisce ad INCITE illustrando Blueprint for bacterial life, un progetto realizzato in collaborazione con due scienziati, Ian Toth e Leighton Pitchard, in cui è stato esaminato il primo agente patogeno interbatterico delle piante ad essere sequenziato con l’obiettivo di migliorare la comprensione dell’acquisizione genica nei batteri. Per l’esplorazione e lo sviluppo del progetto è stato realizzato uno strumento software – il GenomeDiagram – attraverso la pratica artistica creativa. Il progetto studia come i dati e le immagini complesse attraverso l’interpretazione e l’espressione in una serie di forme d’arte, possano contribuire allo sviluppo e all’evoluzione degli stessi strumenti scientifici.
Shemilt ha sviluppato una serie di stampe, presenti nel capitolo dedicato, a partire dai dati scientifici e successivamente animazioni in due e tre dimensioni per la proiezione, combinate con installazioni e suoni. La reinterpretazione artistica dei risultati sperimentali ha contribuito ad identificare la presenza di altri geni in tutti i batteri.
Su un fronte geopolitico opera Maja Zećo, artista interdisciplinare la cui pratica spazia tra performance art, suono e video. Le sue installazioni sono il prodotto di una negoziazione tra narrazioni personali, di gruppo, di identità e storia. Dal 2015 affronta la sua esperienza inerente all’ostilità politica del Regno Unito nei confronti dei migranti. Analizza le identità nazionali e politiche come quella bosniaca, jugoslava, europea, britannica, scozzese e molte altre. Per INCITE, Zećo ha proposto una raccolta grafica di tre citazioni, rispettivamente di: Boris Johnson, Zoltàn Kovàcs e Josep Borrell messe per iscritto su carta, come fossero manifesti politici, riguardo l’immigrazione. Nonostante l’estetica dai colori pop coniugati a motivi decorativi islamici il contenuto si dimostra stridente in quanto xenofobo e colonialista.
Jon Blackwood, curatore e studioso di arte contemporanea, in Aphorisms On Art & Activism, si esprime riguardo i principi attuali dell’attivismo e il legame che può esserci con l’arte. Per lo studioso se gli artisti sono d’aiuto o un ostacolo nelle dinamiche dell’attivismo non è ancora chiaro, lascia dunque la riflessione aperta. Blackwood si chiede cosa può dire l’arte in maniera significativa all’attivismo, chi ascolta gli artisti e qual è la differenza tra attivismo e sollevamento di coscienza. Per lui, l’attivismo presuppone una comprensione approfondita delle relazioni strutturali e sociali, e così come le pratiche artistiche, questo deve essere scomodo, agile, non facile e non deve essere posto sotto i riflettori dello spettacolo, perché risulterebbe un prodotto mercificato dalle conseguenze politiche.
Laura Leuzzi e Joseph DeLappe sono riusciti a concretizzare in questo progetto la questione intersezionale dell’attivismo nell’arte, lasciando la possibilità ai lettori di rispondere personalmente a quella che è la riflessione lasciata aperta da Jon Blackwood. Così come fa l’arte quando dà inizio a forme di azione che oltrepassano la contemplazione artistica, lasciando il posto a un tipo di coinvolgimento più diretto e pratico.
INCITE: DIGITAL ART & ACTIVISM, a cura di Joseph DeLappe e Laura Leuzzi, Peacock & The Worm, Aberdeen, Novembre 2023
Riproduzioni: Courtesy of the artists and Peacock & the Worm, Aberdeen.
immagini: (cover 1) Incite, cover, 2023 (2) Elaine Shemilt, «Blueprint for Bacterial Life», 2023 (3) Joseph DeLappe, «The Atone Project. Remembering the Ahmadis», 2021 (4) Maja Zeco, «European Values», 2023 (5) Martin Zeilinger, «Proof of cake», 2023