Giulia Spernazza è un’artista nata nel ‘79. Muovendosi tra varie tecniche e legandosi particolarmente oggi all’arte tessile, porta avanti una ricerca che parla di tempo, anima e spazio. Nel lavoro di Giulia Spernazza la materia, natura e simbolo si uniscono in panorami morbidi per lo sguardo, anche quando da cera e stoffa si passa a pietra e polvere di marmo.
Giulia Spernazza è un’artista nata nel ‘79. Muovendosi tra varie tecniche e legandosi particolarmente oggi all’arte tessile, porta avanti una ricerca che parla di tempo, anima e spazio. Tempo perchè, attraverso l’utilizzo di materiali fragili (o vulnerabili, direbbe l’artista) il pensiero va immediatamente a come una forza esterna o lo scorrere del tempo potrebbero intervenire sull’opera, modificandone la struttura. In questo modo nello sguardo del fruitore coesistono due dimensioni temporali diverse: da una parte l’oggetto presente, visibile, e dall’altro la possibilità immaginaria di una distruzione, un mutamento futuro. Per questo, senza bisogno di aggiunte didascaliche, il lavoro di Spernazza riflette sull’impermanenza, sulla ricerca dell’equilibrio e l’importanza del qui ed ora. Non a caso, l’indagine interiore è uno dei fulcri intorno al quale ruota il linguaggio dell’artista. Il concetto di spazio invece gioca un ruolo funzionale: inserite all’interno di un ambiente, le opere diventano microcosmi con i quali l’artista si confronta cercando nuove armonie visuali e materiche, prolungando il processo meditativo di cui tutto il processo è pregno. Nel corso del tempo, Giulia Spernazza ha sperimentato la pittura, la scultura, il libro d’artista, l’installazione, ed infine la performance, in un cambiamento che segna il passaggio da una dimensione astratta a quella più concreta della materia e dell’azione. In questo processo la pittura è stata inglobata nella tridimensionalità, anche nel caso di lavori inseriti in cornici a parete. La sua scultura, in principio composta da delicati rimandi naturali accostati a figure umane evanescenti, è divenuta sempre più essenziale e concettuale, in un’estrema ricerca della sintesi formale.
Ad oggi uno dei materiali prediletti dall’artista è senz’altro la cera, utilizzata per dare forma e sostegno alle opere. Tuttavia la sua funzione è anche quella di ricoprire delicatamente le superfici, creando tonalità morbide e luminose. Altro medium
indagato da Spernazza è la stoffa, che per sua natura ha fortissimi rimandi affettivi legati al corpo, alla pelle e alle le esperienze di vita impresse nella trama del tessuto. È la stoffa spesso a divenire il corpo stesso dell’opera, la materia che riempie e genera la forma. Giulia Spernazza è anche danzatrice, e non sembra un caso il fatto che il corpo (o l’anima del corpo) sia presente anche senza bisogno di essere rivelato.
Le tonalità predilette dall’artista sono le scale di grigi, di bianchi e di toni neutri, divenuti ormai suo tratto distintivo e peculiare. In questi panorami eterei e quasi monocromatici lo sguardo si concentra per cogliere particolari delicati, variazioni di luminosità e strati di materia appena percettibili.
Lo scorso anno ho avuto modo di parlare con Giulia Spernazza di due eventi avvenuti a Roma che hanno visto le sue opere protagoniste: per prima la mostra Vulnerabile, una personale tenutasi nella galleria Faber, e infine la scenografia realizzata per il Teatro Trastevere in occasione dello spettacolo «Il cuore a gas», rielaborazione del capolavoro di Tristan Tzara con la regia di Andrea Martella.
Nell’occasione della personale sono stati esposti lavori inediti creati durante il Lockdown, e ho notato come si fosse verificata una piccola mutazione: dalla posa naturale e morbida dei tessuti imbevuti di cera è emersa la forma del nodo, collocato come elemento perturbante e quasi in contrasto con l’aura dei lavori precedenti. Inoltre, la fine dell’esposizione ha coinciso con una performance di natura partecipativa: Giulia Spernazza, seduta di fronte ad un grande cumulo di stoffa annodata, districava i nodi uno dopo l’altro. Una lunghissima azione silenziosa e meditativa a cui il pubblico era invitato a partecipare. Una sedia vuota evocava un implicito invito a sedersi di fronte all’artista, un richiamo al contatto senza il bisogno di parole.
Chiara Amici: Giulia, il cambiamento nel tuo lavoro, per via della forma stessa del nodo e del significato iconografico che porta con sé (un arresto, un trattenimento) rievoca l’esperienza complessa che tutti noi abbiamo vissuto contemporaneamente. Ho notato, osservando la disposizione delle opere all’interno della galleria, che questi nodi tendono progressivamente a sciogliersi fino a districarsi quasi completamente, in una sorta di risoluzione. Il nodo é un elemento temporaneo o una forma che vorresti continuare ad esplorare nei tuoi prossimi lavori?
La mia ricerca è molto poliedrica ed è sempre in evoluzione, cambia continuamente pur mantenendo un linguaggio riconoscibile. La serie nodi/snodi è nata durante il lockdown, periodo in cui il mio lavoro ha iniziato ad assumere connotazioni drammatiche dapprima in maniera inconscia. Proprio per la diversa atmosfera che emanavano le opere, in contrasto con quella solitamente eterea, ho capito che stavo inevitabilmente assorbendo il clima di spaesamento, staticità e attesa in cui tutti ci ritrovavamo e ho deciso di prendere il nodo come simbolo di ciò che percepivo dentro e fuori di me… l’isolamento e il rallentamento potenzialmente potevano portare alla luce parti di noi prima ignorate. Quando concludo un ciclo di opere è come se all’interno ci fosse già il seme per quello successivo, che venendo subito dopo è inevitabilmente collegato al precedente e ne esprime lo sviluppo. Consapevolmente o inconsapevolmente. In questo momento ho delle nuove idee che seguono appunto il discorso del nodo ma trasformandolo in altro.
Nella tua serie Nodi/snodi, hai concluso l’esposizione con una performance. Da cosa è stato segnato il passaggio verso l’azione?
La performance ha concluso la mia personale Vulnerabile alla Galleria d’Arte Faber, un vero e proprio viaggio introspettivo teso alla ricerca dell’essenza, la parte più autentica dell’essere umano. L’idea è nata durante la realizzazione della serie Nodi/Snodi, Il significato concettuale dello scioglimento graduale visibile nelle Opere, passando attraverso la fase di realizzazione manuale mi eveva rivelato interessanti risvolti di natura emotiva che mi hanno poi portato a considerare quel gesto ripetuto come qualcosa di trascendentale, al di là del risultato dell’opera stessa. Aggiungo a questo un ricordo: stavo sbrogliando una matassa di fili che volevo utilizzare per un’installazione e mi sono resa conto di quanto quella semplice pratica mi portasse a stare, rallentare ed essere presente in quello che stavo facendo. Inizialmente sono emersi stati d’animo insofferenti e ansiogeni, poi mano a mano che allentavo e rallentavo i nodi si scioglievano con più facilità e sono entrata in uno stato meditativo prolungato.
Ma l’aspetto più interessante per me è stato il coinvolgimento del pubblico, la decisione di rendere la performance partecipata era legata al titolo della mostra, Vulnerabile.
Sciogliere le proprie parti buie, dopo averle viste e accettate, significa conseguentemente mostrarsi con le proprie fragilità senza che intervengano meccanismi di difesa che ci allontanano da noi stessi e dagli altri , il che ci predispone ad avere relazioni autentiche. Durante tutta la durata della performance ho sentito la forza dell’incontro, essere e rimanere aperti alla condivisione di uno spazio e di un tempo, qui e ora, in cui ha regnato esclusivamente la pazienza e il silenzio, una bellissima esperienza di intimità.
Per quanto riguarda invece la scenografia dello spettacolo “il cuore a gas” sei intervenuta sul materiale (la gommapiuma, un medium nuovo per te) tagliando e rimuovendo strati, anziché aggiungerli. Pensi che questi cambiamenti (annodare, tagliare, rappresentare con il corpo) stiano segnando una svolta nella tua ricerca artistica?
L’installazione scenografica che ho realizzato per Il cuore a gas è stata un lavoro realizzato ad hoc. Sono partita dall’idea che i personaggi, come lo stesso autore ce li presenta, prigionieri delle proprie paure e dei condizionamenti, fossero accumunati da una metafora visiva che conteneva in sé l’illusione della realtà: credevano erroneamente di trovarsi davanti ad un muro che impediva loro di esplorare lo spazio e di relazionarsi con gli altri ma in realtà questo muro aveva solo le sembianze di una parete solida e inattraversabile… era soltanto gommapiuma. Essa aveva la peculiarità di essere soffice, cedevole e facilmente forabile ed immaginando che uno di loro andasse a sbatterci per puro caso causandone un piccolo foro, ecco svelato l’enorme (auto) inganno … abituati a vedere quel muro con rassegnazione e pretesto per non esplorare il mondo e continuare a vivere separati dagli altri, grazie ad un imprevisto si accorgono che bastava toccarlo e farne esperienza per accorgersi che, in qualsiasi momento, sarebbe stato possibile ‘demolirlo’. La materia, frammenti dei loro indumenti, che si insinuava nei fori accidentali uscendo completamente fuori in alcuni casi, stava a simboleggiare la progressiva liberazione dalla paura di quegli esseri umani che fino ad allora si servivano di quel limite perché per assurdo dava loro sicurezza.
Questo lavoro mi ha consentito di misurarmi con le grandi dimensioni, di deviare leggermente dalla mia ricerca e questo mi ha dato diversi spunti che sto sviluppando per progetti futuri. Nell’ultimo anno mi è capitato altra volte di riflettere su temi nuovi, penso a quello della ri-costruzione (installazione dimORA e soft floor) che mi hanno portato ad indagare il concetto di casa ad esempio, come luogo dell’intimità e del prolungamento dell’essere.
Non so se si possa definire svolta, mi piace pensare che questo lavoro sia un eterno divenire, un percorso che rispecchia, nella maniera più autentica che concepisco, la mia evoluzione come essere umano.
Il mio dialogo con Giulia si è riproposto in occasione della mostra Diagonale/Spazio, tenutasi questa volta in Fondamenta Gallery, a Roma, dove Giulia si trova in residenza di artista insieme al suo collettivo. Anche in questa occasione ho notato come fossero subentrati elementi innovativi nella produzione dell’artista: l’opera proposta per l’occasione, Delicate Moment, si colloca orizzontalmente sul pavimento della Galleria sotto forma di una grande sfera di polvere di marmo e sabbia, dal quale emergono frammenti di pietre. I frammenti, piccolissimi sul limite della circonferenza e progressivamente più grandi andando verso il centro, si uniscono infine in un piccolo cumulo, una «costruzione», dove le rocce appaiono avvolte da scampoli logori di stoffa cerata. L’artista per la realizzazione ha minuziosamente filtrato sabbia e polvere di marmo fino ad ottenere delicatissime variazioni di spessore.
Giulia, puoi parlarmi del tuo ultimo lavoro, Delicate Moment?
L’Opera nasce da una riflessione sulla necessaria creazione di un nuovo spazio-mondo in cui abitare, partendo da una rinnovata consapevolezza interiore e con il quale l’essere umano interagirà in un modo diverso attraverso un dialogo costante ed intimo con la natura.
Essa è inscritta in un cerchio, simbolo di un mondo spirituale e trascendente in rapporto dialettico con la Terra, la cui materia è rappresentata dai diversi materiali che la compongono. In tal senso la grande distesa di sabbia e polvere di marmo testimonia l’importanza della natura, dopo il lungo periodo difficile che abbiamo attraversato, nella ri-costruzione, evocata dai frammenti di mattoni dapprima spogli e poi avvolti da brandelli di indumenti che simboleggiano l’essere umano. Nel loro progressivo aumentare la dimensione verso il centro gli elementi si avvicinano tra loro fino a sovrapporsi, creando un cumulo che simula la creazione di qualcosa che cresce in altezza. Lo spostamento minimo di un singolo frammento finirebbe per alterare l’equilibrio dell’insieme, comportando inevitabilmente, per ritrovare l’armonia, lo slittamento di tutti gli elementi . Questo pone in evidenza sia l’importanza di ogni singola parte che contribuisce stando al proprio posto alla “nascita” della forma centrale, che quella dell’azione del ricostruire, una forza vitale basata su nuovi presupposti nella consapevolezza di ciò che è stato. Le scaglie sono protette da resti di indumenti logori perché intrisi di vita, il loro progressivo allentarsi ed espandersi denota il crescente dialogo tra tutti gli elementi. L’opera nel suo insieme emana un misterioso senso di vuoto e un’apparente sospensione del tempo che si verifica solitamente a seguito di un trauma, interiore e nella collettività. Essa sprigiona un silenzio profondo, suggerendo la necessità di ripartire con un’attitudine nuova volta all’essenzialità, all’equilibrio e al rispetto della natura.
immagini: (cover 1) Giulia Spernazza, «dimORA», installazione site specific. Ph Manuela Giusto (2) Giulia Spernazza, «Delicate moment», 2022. Ph Manuela Giusto (3) Giulia Spernazza, «La casa del vento», Installazione2018 (4) Giulia Spernazza, «Sciogliere», Performance partecipata (5) Giulia Spernazza, «Affiorano frammenti», 2020. Ph Manuela Giusto (6) Giulia Spernazza, «Serie Nodi-Snodi», 2021. Ph Manuela Giusto (7) Giulia Spernazza, «Nodi-Snodi», 2021. Ph Manuela Giusto (8) Giulia Spernazza,«Delicate moment», dettaglio 2022. Ph Manuela Giusto