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Luigi Ontani, Electricthrone, 2007. Premio Terna 01 (categoria Terawatt)
Luigi Ontani nasce a Vergato (Bologna) nel 1943. Ha compiuto la sua formazione artistica da autodidatta e frequentando il «Corso libero di nudo» all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. Trasferitosi a Roma nel 1970, dove attualmente vive nello studio che fu di Antonio Canova, comincia a viaggiare con sempre maggior frequenza in Oriente. Artista a 360 gradi, Ontani travalica barriere spazio-temporali, manipolando con grande maestria culture, idiomi e tecniche espressive difformi, con esiti mai scontati. Assumendo come regola il proposito dannunziano di fare della vita un’opera d’arte, mette sempre in scena e al centro della sua ricerca sé stesso, proponendosi come «oggetto artistico» e, nel contempo, come laboratorio d’identità e di trasformazione, alla costante ricerca di un «altro da sé» e di un «altrove». Da questa idea di arte e di vita, nascono i suoi lavori, a partire dagli emblematici Oggetti Pleonastici degli anni’60, calchi in scagliola di barattoli di borotalco, scatole di uova e cioccolatini che espone e poi indossa, e dai Tableaux Vivants, iconografie viventi in cui Ontani impersona figure storiche, mitologiche, letterarie e popolari come Pinocchio, Dante Alighieri, Giuseppe Garibaldi, San Paolo di Caravaggio. Ontani si esprime attraverso una varietà di tecniche, pittura su olio, acquerello, video, performance e quant’altro si presti ad esprimere al meglio la sua ricerca di «alterità dell’arte». Per la realizzazione delle sue maschere si è spesso avvalso anche della collaborazione di artigiani virtuosi della cartapesta, del legno, della ceramica, del bronzo, del marmo. Nonostante questa varietà di stili e interessi, Ontani ha sempre mantenuto nel suo lavoro un carattere unico, lontano da mode e tendenze, sempre coerente con un linguaggio creativo che coincide con la sua personalità che si esprime anche attraverso i suoi abiti dai colori sgargianti, realizzati in India e Tailandia. Ha presentato il suo lavoro in tutto il mondo, in numerose e importanti mostre personali e collettive. Fra le istituzioni che hanno ospitato il suo lavoro in tempi recenti: GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo (mostra in corso fino all’11 gennaio, 2015); Museo Archeologico Nazionale di Napoli; Galleria Mazzoli arte contemporanea di Modena; Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea; Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro; Museo di Capodimonte a Napoli; MAMbo a Bologna; P.S.1 Contemporary Art Center di New York; Palazzo delle Esposizioni a Roma; Museo Pecci di Milano; Isabella Sewart Gardner Museum di Boston e al IVAM a Valencia.
Electricthrone è l’opera vincitrice del Premio Terna 01 nella categoria Terawatt. Una fotografia lenticolare ritrae l’artista nei panni di un prete inquieto, vestito di rosso e seduto su un trono, in realtà è una sedia elettrica a cui è legato con cinghie in pelle di serpente. L’immagine è il frutto della relazione diretta tra arte e vita, la risultante dei suoi «viaggi» che gli permettono di attraversare tempi e spazi di cui non gli sfugge mai l’essenza, una riflessione profonda sulla contemporaneità trasportata nella sua personalissima dimensione poetica. «È palese che io viva e respiri in coerenza con la mia indole, e cerchi in qualche modo una coerenza dentro e fuori la cornice…».
Quale è lo stato dell’arte oggi in Italia? Quale è il ruolo dell’artista nel sistema attuale dell’arte e della società?
Prima tra artisti ci si incontrava sempre in occasioni conviviali. Vivere socialmente significava incontrarsi in alcuni luoghi. Questa tipologia di scambio oggi è scomparsa del tutto. Per quello che mi riguarda, non c’è stato un cambiamento radicale perché i miei viaggi in India sono sempre stati, in qualche modo, una fuga da quella convivialità alla quale comunque prendevo parte.
Ricorda la sua partecipazione al Premio Terna? Stava lavorando ad un progetto in particolare?
Si in quel momento ero impegnato in diversi progetti. Per Terna ho scelto di presentare Electricthrone perché mi sembrava un’opera esemplare e la più adatta in quel contesto tematico, anche se si erano poste delle problematiche rispetto alla sua presentazione in mostra in Cina. Quello che posso auto-criticare del mio comportamento in occasione del Premio Terna è che, per carattere, durante questa avventura di viaggio, non sono riuscito ad instaurare un dialogo con gli artisti, che in parte conoscevo in parte non conoscevo affatto.
In quale direzione si evolve la sua ricerca più recente?
Io sarei disponibile da molto tempo, perché questo risale agli anni Novanta, a realizzare anche lavori in rapporto ad una tecnologia avanzata. il Grillo Dante, per citare un esempio, è un robot che parla e cammina. Una scelta come la mia di essere fuori dal tempo, può rivelarsi molto contemporanea. In occasione della mostra al MAXXI, dove poi presentai tutt’altro, immaginai di fare della sculture volanti. Penso che potrei fare delle cose anche con materiali per cui non ho una particolare attrazione, come mi sono espresso con la scultura dipinta, tentando anche con materiali più classici, come il marmo, il bronzo, le patine oppure le vetrate. Sarei anche propenso a realizzare dei lavori con il computer. Quando feci il video per MTV erano i primi computer con cui si potevano manipolare le immagini, il primo art-break che durava pochissimi secondi.
In un’intervista descrive l’Oriente come una possibilità non di evasione ma di «consapevole altrove». Lei che lo ha vissuto nel corso del tempo crede che riuscirà a resistere alle contaminazioni occidentali e a mantenere integra la ricchezza della sua dimensione spirituale?
L’idea di una commistione in cui scompare l’Occidente e scompare l’Oriente può essere anche interessante ma è un’illusione creata dalla società. Il pensiero è sostenuto anche dall’indole e dal carattere dei singoli. Non può cambiare anche se si evolve, si trasforma o si deforma. Ho avuto quest’impressione già diversi anni fa, quando tentai di far delle maschere a Nara, in Giappone, dove questa possibilità di prestanza del pensiero orientale era dato nel privato, la ritualità, come anche a Bali, indipendentemente dagli spettacoli condotti per il turismo di massa, e anche in India. Gli individui delle collettività riescono ancora ad essere integri nel privato ma proprio a livello di comportamento, di costumi, di usi, mentre in pubblico sono costretti a assoggettarsi alle dimensioni del lavoro, della comunicazione. Può sembrare una schizofrenia, perché vedere qualcuno che sta ancora compiendo dei gesti arcaici e che usa poi le tavolette dei telefonini (che hanno tutti) è un contrasto secondo me molto interessante. C’è l’impressione, in certi momenti, che il contesto culturale stia scomparendo, poi risorge all’improvviso proprio nella forza dei costumi, che non sono domabili, ed è bello che sia così.
Come dovrebbero comportarsi i musei in questo momento di crisi, ma soprattutto di cambiamento profondo, per potersi conformare alla missione che si attribuisce al termine che li definisce? O si dovrebbe trovare un’altra definizione per indicare i luoghi del contemporaneo?
Decidere se chiamarlo museo o altro va bene lo stesso. Si potrebbe mettere anche la parola allo specchio. Secondo me il fatto è che non è cambiato niente, ed è questo il problema. È lo stesso discorso dell’Occidente, dell’Oriente, delle contraddizioni: la cosa lampante e significativa, di questo momento in particolare, è proprio l’evidenza delle contraddizioni. L’obbligo a cambiare non è un effettivo cambiamento e le dichiarazioni non equivalgono alla sostanza delle storie, delle cose. Si sono rovinati molti musei. Gli architetti hanno cercato di farne un belletto, qualcosa che ha a che fare col plagio, come certe donne o anche uomini che cambiano il volto per avere un anonimato, piuttosto che accettare i propri difetti come fisionomici, come nostre straordinarie debolezze da controllarle ed esprimere, senza che queste diventino una cosa negativa, un peso. Piuttosto, i musei dovrebbero essere più «casa».
Cosa dovrebbe avere (che ancora non ha) l’Italia a sostegno della creatività per rendere il nostro paese sempre più competitivo a livello internazionale? Quale paese, su scala globale, ritieni sia il migliore da questo punto di vista?
In Italia c’è sempre stata un’esterofilia per quanto riguarda la cultura e l’arte che negli altri paesi non c’è, a cominciare dall’America. È molto bello che esista l’esterofilia, però esprimendola nelle giuste proporzioni. Io spero che gli artisti, senza essere estremamente eccentrici, abbiano la qualità, l’armonia, il pensiero, il fare che gli permetta di «essere», indipendentemente dalle deformazioni del mondo.
Per quanto riguarda quale sia il paese migliore o meno, non riesco a fare una classifica, a giudicare o dare una priorità. Mi limito a frequentare il mondo e a osservare. Quasi per dispetto io spero che l’Africa diventi quello che si merita di essere, cioè una forza di origine – in quanto c’è anche la mitologia della nascita dell’uomo in Africa – ci sono delle miniere, dei tesori, delle potenzialità in tutti i sensi. C’è ancora una foresta, ci sono degli umani che sono stati torturati e schiavizzati e che tutt’ora vengono speculati da tutte le parti del mondo. È strano che io, dal punto della mia frivolezza, ritengo sia interessante considerare questo fatto, che non è questione soltanto dell’arte, perché non a caso gli stimoli che ha dato la cosiddetta «arte primitiva» vengono dall’Africa, non soltanto ai cubisti. Il viaggio con la maschera è stato per me molto importante. E’ partito non solo dalla commedia dell’arte, ma anche da una collezione di arte primitiva che aveva una mia amica a Bologna durante la mia adolescenza, Marisa Capra. Penso sia inutile decidere adesso se l’Indonesia, il Brasile, l’India, la Cina o la Tailandia. Sono tutti paesi in cui sicuramente il malessere ha creato benessere, gli onori e i dolori e gli umori del «Vecchio Mondo» hanno delle lacune delle mancanze che sono dovute a un eccesso di protagonismo.
Cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta oggi per un artista il Premio Terna nel panorama Italiano e in quello internazionale?
Terna può essere un sostegno per intraprendere diverse iniziative ed esperienze, soprattutto per quegli artisti che non hanno possibilità e carattere per farlo da soli.
Le immagini qui riprodotte sono attualmente presentate nell’ambito dell’importante retrospettiva: Luigi Ontani. “er” “SIMULÀCRUM” “amò”, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, in corso alla GAMEC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, 03.10.2014 – 11.01.2015
Immagini (1 cover – 2) Luigi Ontani, Electricthrone, 2007. Premio Terna 01 (categoria Terawatt) (3) Luigi Ontani – exhibition (4) Luigi Ontani, CiniComico, 2007, fotografia, versione lenticolare, 220 x 130 cm (con cornice), Collezione dell’artista, Roma (5) Luigi Ontani, Ecce-Homo, 1970, Fotografia a colori su carta, 85 cm (con cornice), Collezione dell’artista, Roma (6) Luigi Ontani, Pinocchio, 1972, Fotografia su carta, 85 x 67 cm (con cornice), Collezione privata, Courtesy L’attico di Fabio Sargentini (7) Luigi Ontani, Meditazione aprËs de la Tour, 1970, stampa fotografica a colori su carta, 163 x 106 x 3,5 cm (con cornice), Roma, Galleria Nazionale díArte Moderna. Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attivit‡ Culturali e del Turismo, © Galleria Nazionale díArte Moderna, Roma