Benedetta Bodo di Albaretto racconta delle ultime evoluzioni di Project Marta – Monitoring Art Archive, progetto nato come archivio di arte contemporanea a partire da tecniche e materiali, e dalle problematiche legate alla conservazione.
Elena Giulia Rossi: Puoi raccontarci come nasce il Project Marta?
Benedetta Bodo di Albaretto: Project Marta – Monitoring Art Archive è nato dalla stratificazione di percorsi ed esperienze, da un lato quelle accademiche – Conservazione e diagnostica dell’arte moderna e contemporanea – e dall’altro professionali – assistente di galleria, curatrice di piccole esposizioni contemporanee, redattrice per riviste del settore. Mi sono ritrovata ad essere un riferimento per diversi artisti in merito a temi riguardanti la conservazione delle opere, ma anche il trasporto, l’imballo e l’esposizione, il tutto perché non avevano altri interlocutori da consultare per compiere delle scelte consapevoli per la sicurezza del loro lavoro. La cosa mi ha molto colpita, al punto da farne caso studio della mia tesi specialistica; in quell’occasione ho intervistato artisti, operatori del settore, collezionisti per capire in che modo colmare questa lacuna, come offrire una consulenza utile e duratura. Grazie a mesi di lavoro e decine di scambi, alla fine ha preso forma la prima bozza di scheda tecnica, pensata per accompagnare l’opera nel tempo, impostata perché fosse facile da compilare e consultare. Per arrivare alla versione – più o meno, si può sempre migliorare – definitiva e alla presentazione del servizio vero e proprio di analisi e schedatura tecnica battezzato Project Marta ci sono poi voluti altri 7 anni.
Come è cambiato l’ambito della conservazione da quando hai iniziato ad oggi? Noti progressi rilevanti nella ricerca?
In questi ultimi 10 anni se penso ai progressi in ambito di conservazione preventiva penso al ruolo centrale acquisito dall’ archivio d’artista, non più associato solo ad artisti affermati, un approccio fondamentale che permette agli artisti di tenere le fila del loro lavoro e ai professionisti del settore di accedere a più informazioni meglio organizzate. Inoltre, nel 2017 è stato presentato dal Mibact il modello di certificato chiamato PACTA (Protocolli per l’autenticità, la cura e la tutela dell’arte contemporanea) obbligatorio per le acquisizioni di opere contemporanee da parte dei Musei. Il problema è che pochi artisti – purtroppo anche Istituzioni – sanno di che si tratta e lo impostano pensando alla sua effettiva utilità (risultato di sondaggi mirati), per cui il lavoro di sensibilizzazione continua ad essere molto impegnativo.
Quali competenze deve avere un conservatore di arte contemporanea?
La conservazione del contemporaneo richiede la conoscenza dell’opera e dell’intento dell’artista, oltre che dei materiali e delle tecniche che la compongono. Lo studio di ogni singolo caso aiuta a prevenire le possibili alterazioni e situazioni di rischio, e l’approccio di Project Marta indaga il rapporto che l’artista ha con l’idea di passaggio del tempo, con le strategie di manutenzione ed anche con il restauro vero e proprio, raccogliendo informazioni che velocizzano e circoscrivono alcuni passaggi in caso di necessità (ad esempio fornendo i dettagli dei materiali, il contatto di referenti tecnici che possono rispondere e/o intervenire per conto dell’artista su questioni riguardanti la stabilità dell’opera).
Di quali professionalità e competenze si compone il team di Project Marta?
Project Marta deve molto al network di professionisti che collabora nella redazione delle schede tecniche. Si tratta di professionisti specializzati in ambiti complementari, un team impegnato su fronti diversi che spazia dal restauro – esperti in tecniche e materiali differenti – alla realizzazione di materiali multimediali per la divulgazione, al trasporto dei beni culturali al diritto dell’arte. Si tratta di professionisti che ho contattato personalmente oppure si sono proposti perché interessati al servizio, con alcuni collaboro dall’inizio e sono riferimenti fondamentali, penso in particolare alla restauratrice Fabiola Manfredi, altri hanno contribuito per un periodo ed oggi sono impegnati su altri interessanti fronti, come ad esempio Fabiola Rocco, da poco Associate Conservator, Variable Media Art presso il West Kowloon Cultural District Authority di Hong Kong.
Nello statement si legge che “scopo del progetto è migliorare le possibilità di conservazione dell’opera d’arte, moltiplicando, in un’ottica di condivisione, le conoscenze sulla sua realizzazione, sui materiali utilizzati e sugli studi già su essa eseguiti”. Quali strumenti sono necessari perché questo progresso avvenga? Quali strumenti bisogna adottare per aggiornarsi sul contemporaneo?
Per quanto mi riguarda il modo migliore di aggiornarsi sul contemporaneo è visitare quante più mostre possibile e fare domande dirette ogni volta che capita l’occasione. Poi certamente vi sono occasioni di approfondimento mirate come le giornate studio, le riviste specializzate, gli atti dei convegni.
Quanto importante è per voi il dialogo con l’artista?
Assolutamente fondamentale, Project Marta è costruito proprio sulla testimonianza dell’artista, coinvolto tramite un’intervista molto dettagliata nel processo di approfondimento di tutto ciò che nel tempo concorre a tutelare la sua opera. L’intervista prevede quindi un focus sul percorso artistico, le motivazioni dietro la produzione dell’opera, la scelta di tecnica e materiali, eventuali collaborazioni, indicazioni su allestimento, trasporto, imballo e manutenzione, oltre che un ragionamento a lungo termine che chiama in causa un possibile restauro. Se c’è qualcosa su cui l’artista non sa rispondere, interveniamo con la consulenza di un tecnico, se c’è qualcosa su cui non aveva ancora riflettuto, è un’occasione per farlo insieme.
Oltre alla conservazione, il vostro impegno si rivolge anche nella creazione di un archivio online. Ho visto che nella divisione in categorie c’è anche una divisione per materiali. Questo è molto interessante. Come vi ponete di fronte alla questione legata alla conservazione rispetto ad opere digitali?
I time based media, ovvero quelli che comprendono immagini in movimento, suono, performance e slide, sono una produzione artistica molto fragile, che richiede il coinvolgimento di professionisti che sappiano impostare un lavoro interdisciplinare, integrando il pensiero di curatori e restauratori con quello di archivisti, montatori, ingegneri, tecnici audio-video, specialisti di conservazione digitale. Al momento non è ancora stata commissionata al team di Project Marta una scheda tecnica su un’opera digitale, quando accadrà sarà una bella sfida.
Puoi raccontarci del recente accordo con la londinese Tagsmart, società che per prima si è occupata di Certificazione digitale mediante blockchain? Cosa significa questo per Project Marta?
La collaborazione con Tagsmart si è attivata nel 2019, ma solo in questi giorni abbiamo fatto un passo in più – che ha richiesto un lungo lavoro – un level up che ci vede oggi certificatori digitali per conto della sede londinese. Abbiamo facoltà di certificare le opere degli artisti con cui collaboriamo e di tutti gli artisti che – indipendentemente dal servizio Project Marta – vogliano dotare la loro produzione di un tag. Si tratta di un adesivo che contiene un codice unico, un DNA digitale che identifica per sempre l’opera, a sua volta collegato ad un documento che attesta provenienza e autenticità del lavoro. Gli artisti che si rivolgeranno a Project Marta per certificarsi lo faranno a un prezzo di favore e avranno la nostra consulenza per completare la richiesta al meglio.
Cosa pensi del rapporto NFT e arte? In generale e, ovviamente, in riferimento al clamore suscitato dalla recente vendita del lavoro digitale di Beeple da Christie’s.
Penso che abbia ragione Zachary Kaplan (executive director di Rhizome) quando dice che non stiamo assistendo ad una rivoluzione, ma più semplicemente l’arte digitale – che esiste da anni – si sta allineando con il più ampio mercato dell’arte contemporanea, sarà interessante vedere come e se la speculazione del mercato cambierà la percezione del pubblico. Dal punto di vista conservativo, penso più concretamente alla precarietà dell’arte digitale, legata a doppio filo al rischio di obsolescenza. Il nocciolo della questione, ancora una volta, sta nel capire come queste opere verranno mostrate in futuro, se e come rimarranno accessibili nel tempo.
Immagini: (cover 1-2-4) Project Marta (3) schede 2 (5) TAGSMART certificate (6) Benedetta Bodo – portrait
Project Marta – Monitoring Art Archive