Sin dal principio della sua attività come fotografo, Charles Fréger ha stabilito un suo sistema di segni, un linguaggio attraverso cui esprimere il suo interesse per l’essere umano come parte di un gruppo, per le qualità interattive mostrate dall’individuo inserito in una comunità e per le sue capacità di comunicare attraverso segni esteriori – abiti, maschere, divise, uniformi. E’ il denominatore comune di tutte le sue serie fotografiche, che per il resto sono indipendenti tra loro e caratterizzate da un ambito spazio-temporale ben delineato. L’altro tratto portante del suo lavoro è un forte gusto per l’esotismo, che Fréger rintraccia sia in civiltà distanti da noi nel tempo e nello spazio, sia in quelle europee contemporanee.
La sua penultima serie, Wilder Mann, è una riflessione sulle tradizioni tribali e rituali delle popolazioni europee. Proprio attraverso quella ricerca, l’artista ha individuato i tratti esotici e selvaggi nascosti nelle nostre società civilizzate. Diciannove i Paesi esplorati, in ciascuno dei quali Fréger ha ricreato dei set ambientali in una dimensione temporale sospesa, indefinita. L’immagine del selvaggio è riprodotta in relazione con l’ambiente naturale, in una staticità apparente delle pose che si oppone a una dinamicità interiore, legata anch’essa alla vitalità degli allestimenti, dei colori, delle maschere. Dal demoniaco all’animalesco, al primitivo, l’uomo selvaggio si riaffaccia nel nostro presente con tratti a volte spaventosi, comunque destabilizzanti, forte del suo legame con la dimensione terrena e con tutte le attività celebrative legate alla festa.
Questa serie è divenuta un libro di successo ed ha ispirato un compositore italiano, Teho Teardo, che sulla base delle sue reazioni agli uomini selvaggi in maschera ha scritto musiche poi inserite in un album (Music for Wilder Mann, Spècula Records, 2013) molto apprezzato dal suo pubblico e dalla critica di tutto il mondo. Il 26 febbraio Teardo rimetterà in gioco il valore dell’interazione tra l’arte musicale e quella fotografica, eseguendo dal vivo le musiche scritte per «Wilder Mann» mentre verranno proiettate immagini dal libro di Fréger, nell’ambito della mostra personale a lui dedicata presso la Galleria del Cembalo a Roma, aperta dal 6 febbraio al 28 marzo 2015. (Susanna Buffa)
Da cosa viene la tua intenzione di ritrarre uomini selvaggi mascherati?
Sono sempre stato interessato all’idea che anche gli europei avessero delle tradizioni tribali con radici molto profonde. Di solito, quando si parla di tradizioni di maschere o di uomini mascherati, si pensa a luoghi esotici o, ad esempio, all’Africa; nel corso di questo mio lavoro ho avuto le prove che anche in Europa ci sono tradizioni tribali radicate. So che il concetto di «tribalismo» è forse troppo ampio, ma intendo dire che c’è un certo esotismo anche in noi.
Avevo notato che in Austria erano in funzione delle tradizioni con dei tratti tribali; in Francia sono molto vive un po’ ovunque, ad eccezione delle zone del confine spagnolo e nel sud-est. Ho iniziato la mia ricerca cominciando dall’Austria, poi sono stato in Ungheria, Grecia, Italia (in Sardegna) e, un passo dopo l’altro, ho deciso di cercare in tutta l’Europa. Anche dopo aver terminato il libro nel 2011, con diciannove Paesi documentati, ho continuato a cercare e a girare; infine ora ho materiale di ventuno nazioni e la ricerca continua, perché visito uno o due Paesi ogni anno.
Mentre giravi l’Europa scattando foto, hai riscontrato una differente percezione del nostro passato nei diversi Paesi che visitavi?
Direi piuttosto che ci sono molti punti in comune, perché tutte queste tradizioni sono legate a sistemi e festività simili – la festa di San Nicola, il Natale, le celebrazioni per l’anno nuovo, il Carnevale. Ci sono momenti differenti, di solito in inverno, durante i quali queste tradizioni rivivono – Repubblica Ceca, Austria, Italia – e, benché la distanza nello spazio tra questi Paesi sia notevole, quelle tradizioni vengono vissute in modo molto simile.
Una volta pubblicato il libro «Wilder Mann», questo è capitato nelle mani di un compositore italiano, Teho Teardo, che è rimasto fortemente impressionato dal quel lavoro. Teardo ti ha subito cercato per proporti di scrivere la musica per le tue foto. Era la prima volta che collaboravi con un musicista e come hai reagito alla proposta?
Sì, per il mio lavoro fotografico era la prima volta. Quando Teho me lo ha proposto, in principio ci ho pensato un po’ perché la sola cosa che mi interessava era la possibilità di trovare qualcosa in comune tra le mie foto e la musica. Ci siamo subito trovati in accordo su questo, lui era totalmente aperto ed è stato molto bravo, molto veloce nel finalizzare il lavoro, nel realizzare la musica. Non abbiamo collaborato solo per «Wilder Mann»: Teho mi ha aiutato anche in seguito per un mio progetto di installazione con maschere della Commedia dell’Arte, basato su video che ho girato a Venezia. C’è qualcosa nel suo lavoro che si collega subito alle mie foto e questa è una cosa che non succede molto spesso. E’ stata davvero un’esperienza positiva; Teho è sempre molto efficace, ha questa energia fortissima, non è mai stanco. Percepivo che il lavoro procedeva velocemente, che lui era molto ispirato dal libro ed aveva la necessità di essere attivo, di non perdere tempo.
Credo che le tue fotografie siano davvero potenti, che abbiano una grande forza: per i soggetti ritratti, per i set che hai allestito, per i colori. Trovi che la musica abbia quella stessa potenza?
Lo spero davvero; io ho dato alcuni spunti circa i titoli dei brani – volevo ad esempio un brano che descrivesse il risveglio di un orso e in effetti lui lo ha composto, The Waking of the Bear, ed è molto efficace. Mi piace quella pesantezza, quella che è nei suoni gravi, sembra provenire da un’intimità profonda… tutto l’album ha quel peso e mi piace molto. In alcuni punti sembra quasi di sentire il ruggito di un anima
Mentre si sviluppava il progetto musicale, ti sei confrontato con il musicista?
No, non proprio; io ascoltavo la musica e lui valutava la mia reazione e lavorava di conseguenza. Non volevo influenzare il lavoro musicale perché era il «suo» lavoro, era il suo territorio, non ho voluto suggerire nulla. E’ stata un’esperienza felice, spero ce ne siano altre. Stiamo pensando ad una collaborazione, ad un progetto nuovo.
E’ una bellissima notizia.Te la sentiresti di partire dalla musica per scattare foto, quindi di seguire il processo inverso lasciandoti ispirare dalla musica?
Non ci ho mai pensato in realtà, perché non lavoro secondo quel procedimento; anzi forse mi metterebbe in imbarazzo – credo sia più giusto che le cose funzionino nell’altro modo, con le immagini che ispirano la musica. In genere sono ispirato dalla vita di una comunità, di un gruppo, quindi è improbabile che accada.
Il 6 febbraio scorso, presso la Galleria del Cembalo a Roma, è stata inaugurata una tua mostra personale con le foto di «Wilder Mann». Tu sarai a Roma il 26, in occasione del concerto durante il quale Teho Teardo eseguirà le musiche che ha scritto per le tue foto e che hanno poi composto il suo album. IL tuo lavoro ti porta ad essere sempre in viaggio.
Sì, lo faccio da quando avevo diciotto anni. Continuo a farlo perché realizzare queste serie fotografiche comporta degli spostamenti e presuppone interazioni con i territori anche se, quando trovo un nuovo soggetto per i miei progetti, a volte ho qualche difficoltà. Non sempre è possibile o è permesso fotografare ciò che vorrei. DI solito mando avanti diversi progetti contemporaneamente; ora sto lavorando al prossimo libro che uscirà tra due mesi.
Qual è il soggetto del libro?
Si intitola Bretonnes, uscirà in francese per l’editore Actes Sud e in inglese per Thames & Hudson e riguarda le donne Bretoni, i loro abiti… è un lavoro che ha preso grande ispirazione da dipinti e da vecchie fotografie. E’ un po’ l’opposto di «Wilder Mann» che era su uomini rudi, anche se in realtà esiste un punto in comune tra le due serie fotografiche perché in entrambe emerge la forza comunicativa del gruppo. Qui ci sono donne che interagiscono tra loro con una vita segreta, un sistema di segni segreto che non è un linguaggio ma è qualcosa di legato alla parte istintiva della relazione tra donne.
Per come conosco la Bretagna, trovo che la popolazione bretone sia davvero molto comunicativa.
E’ una parte a sé stante della Francia, che coltiva un legame forte con la tradizione, soprattutto celtica, ma allo stesso tempo quella cultura è calata in una forte modernità. E’ una zona molto energica e vitale del Paese.
Charles Fréger, «The Wilder Mann», Galleria del Cembalo, Roma, 06.02 – 28.03.2015. Concerto speciale di Teho Teardo, 26, febbraio, 2015 che suonerà le musiche scritte per le immagini,
Charles Fréger | Teho Teardo
[youtube id=”F33ayGx22lk” width=”620″ height=”360″]
Immagini e video (1 cover) Teho Teardo, Music for Wilder Mann cover (2) Charles Freger, Wilder Mann, 2010-2011, Skoromati (3) Charles Freger, Wilder Mann, 2010-2011. Luzifer, Kleine, Teufel (4) Charles Freger, Wilder Mann, Cover libro (5) Teardo Live, PH Simona Caleo (6) Charles Freger, Shooting (7) Video with music by Teho Teardo