David Rokeby’s (1960, Tillsonburg) è un artista che lavora con installazioni sonore interattive e video, con base a Toronto, in Canada. Il lavoro pionieristico, Very Nervous System (1982-1991), è stata una delle sue prime opere di arte interattiva, dove gesti fisici sono trasformati, in tempo reale, in ambienti sonori interattivi. E’ stato presentato alla Biennale di Venezia nel 1986 ed è stato riconosciuto con il Prix Ars Electronica Prix Ars Electronica Award of Distinction for Interactive Art nel 1991. Diversi suoi lavori hanno trattato il tema della digital surveillance, compreso Taken (2002), e Sorting Daemon (2003). Altri lavori hanno indagato in termini critici le differenze tra intelligenza umana e artificiale. The Giver of Names (1991-) and N-cha(n)t (2001) sono realtà artificiali soggettive, provocate da oggetti o parole enunciate per provocare una formulazione immediata di frasi e per parlare ad alta voce. David Rockeby ha tenuto conferenze e seminari negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Tra i suoi riconoscimenti, il Governor General’s Award in Visual and Media Arts (2002), il Prix Ars Electronica Golden Nica for Interactive Art (2002), e il British Academy of Film and Television Arts BAFTA Award in Interactive art (2000). Intervistato da Eva Kekou, David Rokeby analizza il ruolo del suono delle sue installazione interattive, la sua prospettiva sullo stato attuale di sorveglianza e l’influenza di Marshall McLuhan
Eva Kekou: Potresti parlarci del tuo primo lavoro, Very Nervous System (1982-1991), riconosciuto come un’opera pionieristica dell’arte interattiva, che traduce i gesti fisici in ambienti interattivi sonori in tempo reale? Come si ricollega il suono al luogo e allo spazio nel tuo lavoro?
David Rockeby: Il suono è immersivo, molto più di quanto non lo sia l’immagine. Il suono tocca la pelle. I subwoofer rimescolano le nostre viscere. Non possiamo prendere le distanze dal suono. Non ho iniziato a lavorare al suono con Very Nervous System per questa ragione. Mi piaceva semplicemente l’idea di giocare con il suono. Lavorare con il suono come mezzo per creare ambienti interattivi immersivi negli anni ’80 aveva due principali vantaggi. Uno era costituito dalla natura immersiva intrinseca al suono stesso. L’altro era che i computer riuscivano a malapena a generare qualsiasi tipo di immagine in tempo reale che fosse soddisfacente, mentre erano perfettamente in grado di riprodurre e manipolare il suono.
Il suono è una realtà facilmente «trasferibile», nel senso che può materializzarsi in molti diversi ambienti o contesti senza che questo implichi un grande sforzo. Il collage sonoro è intrinsecamente differente da quello delle immagini; i suoni si mescolano tra loro in modo fluido ad un livello percettivo, anche quando il mix è incoerente. Riguardo a Very Nervous System, questo implicava che l’esperienza di interazione con i suoni si riversasse in modo impeccabile nell’esperienza sonora esterna all’installazione. Se ti capitava di camminare per la città dopo aver interagito con Very Nervous System per 15 minuti, ti ritrovavi ad instaurare con i suoni della strada un legame contraddistinto da un livello di interattività; si trattava di una sorta di prolungamento curiosamente naturale dell’esperienza di Very Nervous System. Anche le esperienze visive possono lasciare questa sorta di risonanza persistente, ma per la mia esperienza personale, tendono a essere più disgreganti.
L’esperienza dello spazio è ancora diversa. L’utilizzo del suono in Very Nervous System mi ha consentito di permeare lo spazio di possibilità invisibili. Questi potenziali del suono sono estese da una determinata qualità del movimento, talvolta ulteriormente limitata ad una certa porzione dello spazio. Liberando questi potenziali attraverso il movimento nello spazio, e dato che il suono viene ascoltato, non solo dall’orecchio, ma anche da tutto il corpo, si avverte la presenza di un determinato suono come caratteristica di un determinato spazio, per esempio quello dove si sta muovendo la mano. A McLuhan piaceva dire che «lo spazio è qualcosa di improvviso per l’uomo cieco», e questa è la sensazione di Very Nervous System: un’esperienza sorprendente e improvvisa, ma allo stesso tempo molto tangibile e coerente dal punto di vista spaziale.
L’interattività (diretta) è un fattore di primaria importanza nella media art. Quanto tutto questo ha inciso nella scena dell’arte e dal punto di vista della prospettiva del pubblico? Come si è evoluto il tuo lavoro dopo questa opera, grazie alla quale hai ottenuto vari riconoscimenti?
Non credo che l’interattività abbia cambiato la realtà artistica in modo determinante. Ma penso che sia stata sorprendente per la gente: il pubblico era abituato ad un ruolo passivo, e mi riferisco ai mezzi di comunicazione recenti come la televisione. Qualsiasi opera d’arte degna di questo nome attrae il pubblico verso una sorta di dialogo, dove l’individuo non è assolutamente passivo come potrebbe sembrare inizialmente. Per me l’aspetto ironico è che il mio intento iniziale nel creare un’opera d’arte interattiva non era quello di evidenziare quanto interattivo potesse risultare il lavoro, ma piuttosto ricordarci la nostra responsabilità come pubblico nel portare a completamento la creazione artistica, attraverso le nostre idee, ricordi, sogni e paure.
Credo che l’interattività renda più semplice il compito di presentare metafore e relazioni attive, e di trasformare un’idea in un’esperienza, secondo modalità che erano difficili da realizzare in precedenza. Ti consente di attribuire una presenza tangibile ad un’idea astratta… ti permette di vivere l’idea non come un insieme manipolabile di simboli nel tuo cervello, ma come un qualcosa da interrogare ed affrontare con il tuo corpo nello spazio fisico. La verità, tuttavia, è che sono pochissime le cose che sono state fatte nei sistemi interattivi che non venissero già realizzate in precedenza, forse in un altro modo o altre forme d’arte, dagli artisti che erano interessati a questo tipo di creazioni. Le tecnologie interattive hanno fornito un mezzo ideale attraverso il quale poter proseguire queste esplorazioni. Hanno dato la possibilità di prendere le idee associate all’interattività, che erano precedentemente rimaste latenti in varie pratiche, e di consolidarle in un insieme di modalità consapevoli, dove queste tematiche di coinvolgimento del pubblico diventavano il punto cruciale, in un modo che in passato non era stato possibile. Sfortunatamente, il «movimento» artistico interattivo è rimasto un po’ troppo legato ad una specie di esaltazione per i progressi delle tecnologie ad esso sottese, e ad una sorta di positivismo tecnologico. Penso al mio interesse per l’interattività come a qualcosa di essenzialmente sociale, politico e filosofico, e alla tecnologia come ad un fantastico mezzo funzionale alla realizzazione di questo tipo di esplorazioni.
La sorveglianza sembra avere un ruolo cruciale nel tuo lavoro. Se passiamo in rassegna le tue opere troviamo Watch (1995), Taken (2002) e Sorting Daemon (2003). In che modo pensi che l’attuale sistema di sorveglianza basato sul segnale sia una tematica attuale correlata alla politica, all’arte e all’attivismo, a livello globale?
Credo che la sorveglianza basata sul segnale sia una delle problematiche più importanti che coinvolge la politica, l’arte e l’attivismo su scala mondiale. Già con la mia installazione Guardian Angel del 2001, pensavo che la sorveglianza on-line fosse una tematica preoccupante, di portata molto più ampia rispetto alla semplice video-sorveglianza. Le recenti rivelazioni di Edward Snowden ci dimostrano quanto stiamo diventando vulnerabili rispetto al crescente impiego di tecnologie che lasciano una traccia elettronica, istantanea ed accessibile. Florian Rotzer faceva notare, già alla fine degli anni’80, come l’interazione completa necessitasse di una sorveglianza totale. Ora lo stiamo vedendo con i nostri occhi. Le nostre vite on-line altamente interattive e interconnesse ci offrono beni e servizi in cambio di un’ampia e continua concessione di dati personali. La mia preoccupazione principale è che finiremo per ritrovarci in una situazione di totale dipendenza, già in un contesto di relativa calma politica. E se dovessero mai esserci dei sovvertimenti politici nell’ambito della nostra comunità, città, stato o paese che sia, la struttura per una forma di controllo sociale estremo sarebbe già pronta per essere messa in atto. Proprio recentemente, i dimostranti dell’Ucraina hanno ricevuto dal loro gestore telefonico dei messaggi che li informavano di essere stati identificati come partecipanti ad una manifestazione anti-governativa. Questo grazie alla localizzazione delle celle telefoniche e del GPS. Come abbiamo potuto vedere durante la primavera araba, queste tecnologie possono essere strumenti di attivismo, ma solo fino al momento in cui non subentrino i poteri costituiti, che possono decidere di utilizzare questo potenziale a modo loro.
Il progetto McLuhan ha fatto tappa nelle città principali, ad inclusione di Toronto, Londra, Berlino (ambasciata canadese) e in Francia. L’importanza di McLuhan è ormai nota. In che modo questo si rapporta con il progetto del suono e in particolare con un’installazione sonora digitale che ha già visitato con successo diverse città? Quanto è influente la sua personalità?
Per la realizzazione di Through the Vanishing Point, il mio apporto è stato di tipo visivo, mentre Lewis Kaye ha contribuito per la parte audio. In realtà, la sfida che ho affrontato nel presentare una rappresentazione video di McLuhan consisteva nel fatto che lui detestava essere fotografato, filmato o registrato su videocassetta, e non si trovava per niente a suo agio con la rappresentazione visiva in generale. Ho deciso che volevo creare un ritratto visivo che McLuhan avrebbe approvato. Per fare questo, ho dato uno sguardo ai suoi scritti sul suono e sull’esperienza acustica dello spazio, e ho provato ad applicare nella realtà queste idee dell’immagine e le loro modalità di rappresentazione. È stato un processo assolutamente naturale per me, perché i miei esordi come artista sono stati nel mondo del suono, e sento che le mie creazioni visive sono tuttora influenzate dall’estetica e dalle posizioni tipiche dell’arte del suono.
Uno dei problemi di McLuhan relativamente all’arte visiva riguardava la rappresentazione di un’esperienza eccessivamente continua, nel senso di un’esperienza visiva dello spazio che riversa tutto quanto è presente in ambito visivo in un continuum chiaro e ininterrotto di posizione spaziale e distanza. La completezza di questa esperienza visiva dello spazio va a discapito degli altri sensi e del corpo, oltre a costituire un limite per l’immaginazione. Era molto appassionato dell’arte figurativa pre-prospettica, dove la continuità dello spazio viene interrotta da linee, figure fluttuanti e cambi di scala non realistici. Preferiva l’arte dove l’artista aveva dipinto quello che conosceva, e non quello che vedeva.
A differenza dello spazio visivo, per lui lo spazio acustico era qualcosa di molto risonante, interrotto, e disgregato … aperto a nuove possibilità. Ho provato, nell’ambito del mio contributo a Through the Vanishing Point, a presentare l’immagine in modo disgregato, con 7 schermi semi-trasparenti allineati attraverso lo spazio e una sovrapposizione al campo visivo dello spettatore; si viene così a creare uno spazio discontinuo. Ho usato anche l’elaborazione di immagini di film e video d’archivio per presentare un campo stratificato dei lineamenti in movimento della sua testa/torso/corpo: questo ha creato qualcosa che sembrava un po’ come una rete vibrante di neuroni che si estendeva attraverso lo spazio.
Per quanto riguarda l’influsso di McLuhan nei miei primi lavori sonori, posso dire che l’influenza diretta era inizialmente limitata. Credo che a Toronto McLuhan sia nell’aria…le sue idee sono nell’acqua che si beve. In ogni caso, devo aver assorbito qualcosa per osmosi. Quando ho letto Understanding Media per la prima volta, alla fine degli anni ’80, sono rimasto stupefatto da quanto il mio lavoro di allora fosse in linea con il suo pensiero. E’ stata una lettura davvero emozionante!
A partire dal 1985 sono poi stato coinvolto nel programma di McLuhan all’Università di Toronto perché il co-direttore dell’epoca, Derrick de Kerckhove, aveva visto una prima versione di Very Nervous System alla Hart House Gallery dell’ateneo, e ne era rimasto entusiasta. Ha parlato del lavoro e lo ha presentato molte volte nel corso degli anni, e ha condiviso alcune delle idee di McLuhan e aneddoti fantastici su di lui. Tuttavia, per McLuhan il mio livello di istruzione non era ancora sufficiente; in seguito, mi è stato chiesto di creare Through the Vanishing Point con Lewis Kaye, che doveva essere presentato alla Coach House dell’Università di Toronto dove McLuhan lavorava e insegnava.
Ho trascorso molto tempo guardando i film e i video già esistenti di McLuhan e leggendo altri suoi lavori. Ho iniziato ad apprezzare sempre di più l’ approccio coraggioso e innovativo di questa personalità multi-disciplinare. Mi sento vicino a lui come artista … Credo che tra le altre cose, fosse uno straordinario artista performativo sotto le mentite spoglie di un docente universitario.
Immagino che il suono abbia un ruolo di primo piano nella sua funzione di collegamento tra materialità e immaterialità, in particolare riguardo ai progetti di arte digitale e media art, dove la materialità riveste un’importanza primaria.
Non ho capito bene la domanda, cercherò di fare del mio meglio per rispondere. Il suono è immaterialmente materiale. Può essere fisico e viscerale e contemporaneamente privo di massa ed effimero. Questo fa del suono un mezzo particolare, in grado di fungere da «ponte», funzionale ai collegamenti. D’altro canto, il suono può essere facilmente modificato, sintetizzato e manipolato. Ecco perché viene spesso aggiunto alle opere di media art, senza una reale riflessione sul motivo della sua presenza. La maggior parte dei miei lavori recenti sono privi di suono: mi sono ripromesso 13 anni fa di aggiungerlo solo nel caso in cui fosse strettamente necessario. Questo perché il suono è importantissimo per me, e lo apprezzo molto come mezzo espressivo. Sono stanco di vederlo utilizzato, in molti casi, come una sorta di integrazione abituale, o nel mero ruolo di accompagnamento musicale. Ho ricominciato ad aggiungere il suono al termine di questa moratoria che mi ero imposto. Alcuni pezzi che ho realizzato recentemente avrebbero potuto beneficiare del suono, e quindi ci sto lavorando.
Puoi dirci qualcosa sui tuoi progetti attuali? Quali sono i tuoi progetti e piani per il futuro?
Sono attualmente impegnato in un lavoro audio e video intitolato Hand-held. Si tratta di una scultura tridimensionale invisibile, che si rivela solo quando la si tocca. Si mostra come una serie di immagini che appaiono sulla mano dello spettatore. E’ un progetto dove lavoro al confine dell’esperienza tattile e della virtualità. In un certo senso è un po’ come un’incursione di Very Nervous System nel mondo visivo. Il lavoro è stato iniziato quando ero un artista invitato a Le Fresnoy, in Francia. Originariamente non era accompagnato dal suono, ed è uno dei pezzi dove lo sto attentamente integrando. Sono anche interessato ad estendere questo lavoro all’ambito del linguaggio… per creare una scultura spaziale del linguaggio, che sia possibile leggere con le mani. Il testo si dirama nello spazio, ma contiene anche strati di significato simultanei… la dimensione della profondità contiene uno spazio di ambiguità semantica.. e questi testi simultanei, paralleli e spesso contradditori appaiono come in uno sfarfallio e scompaiono uno nell’altro attraverso le mani durante la lettura/esplorazione.
Immagini
(cover) David Rokeby, VNS in 2003 at the Ace Art gallery (Winnipeg, Manitoba), photo by William Eakin, Risa Horowitz and Liz Garlicki, courtesy of David Rokeby and Ace Art Inc. (1) David, Rokeby, Through the Vanishing Point, 2010, photo by Toni Hafkenscheid. (2) David, Rokeby, Taken, 2002, installation view at the National Art Museum of China (2008), photo by David Rokeby. (3) David, Rokeby, Through the Vanishing Point, 2010, photo by Toni Hafkenscheid. (4) David, Rokeby, the artist in Very Nervous Systems in Potsdam, 1994, photo by Lambert Blum (5) David, Rokeby, Through the Vanishing Point, 2010, photo by Toni Hafkenscheid. (6) David, Rokeby, Taken, 2002, installation view at the National Art Museum of China (2008).