Eva Kekou intervista Hypercomf, identità multidisciplinare, per attraversare le loro pratiche collaborative, partendo dal Film Seed Festival avviato nella primavera 2022 nell’isola di Tinos come parte della European Commission’s S+T+ARTS initiative, in collaborazione con Onassis Stegi con l’intenzione di esplorare impieghi della tecnologia per migliorare le pratiche agricole e per farne dei modelli di sostenibilità e prosperità.
Il Festival è avvio di un racconto che ripercorre la natura del collettivo, costituita come profilo aziendale fittizio ad Atene nel 2017, e da allora impegnato ad indagare la relazione tra natura e cultura, tra industria e scienza, e si proietta verso la loro visione sul futuro.
Eva Kekou: Come è nata l’idea dell’agricoltura intelligente per un futuro sostenibile, come è stata sviluppata e come è stata accolta dal pubblico?
Hypercomf: Viviamo sull’isola di Tinos, nel villaggio di Komi, uno dei tanti piccoli centri che circondano la zona agricola di Leivadi, dove si svolge il Film Seed Festival. Anche noi coltiviamo a Leivadi, per consumo personale, e pratichiamo l’apicoltura in modo più professionale.
Leivadi è un labirinto di alte canne, diviso in piccoli “appezzamenti” di terreni agricoli che sono stati tramandati per generazioni, coltivando un’esperienza secolare che ha nutrito migliaia di abitanti del luogo. Negli ultimi decenni la professione dell’agricoltore è stata vittima di una spirale negativa, che ha coinvolto anche l’indipendenza alimentare dell’isola, bloccata dal mare, e ha cancellato lentamente un ruolo sociale molto importante che, oltre a fornire cibo, alimenta anche la cultura locale e rafforza la resilienza sociale. Il mestiere dell’agricoltore sta diventando meno attraente per le giovani generazioni perché è un lavoro impegnativo e solitario, che crea un senso di isolamento sociale e culturale, oltre che per aspetti legati alla redditività della professione e alla mancanza di forza lavoro causata dallo spostamento verso le zone urbane. Il tutto è accentuato dall’economia stagionale dell’industria del turismo, che si espande a un ritmo sostenuto e crea una sorta di carriera obbligata per i residenti. Le piccole comunità agricole di tutto il mondo sono spesso escluse e trascurate in termini di accesso alle risorse e alle infrastrutture, mentre si chiede loro molto in cambio. Riteniamo che siano necessarie più iniziative per potenziare la resilienza culturale, riunire persone che normalmente non dialogano al fine di dare vita a occasioni di scambio e celebrazione e fornire esempi davvero emozionanti, coinvolgenti e motivanti delle opportunità offerta da un progresso sostenibile.
Abbiamo affrontato la questione dell’agricoltura intelligente nel programma S.T.+ARTS Repairing the Present e ci siamo candidati per avere l’opportunità di esplorare le modalità con cui un approccio collaborativo basato sull’arte può aiutare ad affrontare alcune delle difficoltà sopra menzionate. Nell’organizzare il Film Seed Festival come un processo abbiamo tenuto conto di questioni quali la laboriosità dell’agricoltura, la sfida economica di ridurre i costi o fornire un valore aggiunto al prodotto finale e il legame spezzato tra agricoltore e consumatore, nonché tra terra e cultura. Abbiamo esaminato come l’arte possa sfruttare la propria capacità di aggiungere valore alle idee, accentuarne l’importanza e comunicarle in modo coinvolgente per contribuire a risolvere le questioni di cui sopra, ma soprattutto come il processo artistico possa costruire narrazioni che richiedono una collaborazione interdisciplinare e favorire incontri inaspettati tra diversi attori. In questo caso si è trattato di agricoltori, associazioni dei residenti, artigiane locali, consulenti nei settori dell’ambiente, dell’ingegneria, della tecnologia e della cultura e, a un altro livello, dei registi e dei partecipanti ai documentari che sono stati proiettati all’interno della selezione ufficiale del Film Seed Festival.
Il Film Seed Festival è, in breve, una moderna festa del raccolto. Mille metri quadrati sono stati coltivati collettivamente da un gruppo di agricoltori con arachidi di varietà Arachis Hypogea, con l’aiuto della tecnologia per l’agricoltura intelligente fornita da Agenso, che ha ridotto significativamente i tempi, i costi e la quantità di acqua necessaria. Il raccolto ottenuto ha fornito energia per 3 sere di proiezioni e per gli oltre 300 partecipanti che sono arrivati al campo di arachidi trasformato in cinema, camminando sulla strada serpeggiante della fattoria che abbiamo dovuto percorrere ogni giorno per occuparci del raccolto. Metà del raccolto è stato trasformato in olio di arachidi e poi in biodiesel per alimentare un generatore e fornire elettricità a questa località agricola isolata, per far funzionare un proiettore cinematografico, gli altoparlanti e le luci, mentre il resto è stato trasformato in snack da cinema preparati con diverse ricette e offerti ai partecipanti al festival. La conversione in biodiesel è stata effettuata da Act4Energy, spin-off tecnologico dell’Università Democrito di Tracia, lo schermo cinematografico è stato cucito da una sarta locale, le sedie sono state prestate da un’associazione di residenti che le utilizza per le feste e i balli del villaggio, mentre le arachidi sono state cucinate da cuochi e ristoratori locali.
Siamo stati travolti dalla reazione positiva della gente, il festival si è concluso a ottobre e già a novembre ci veniva chiesto con entusiasmo quando si sarebbe tenuto il prossimo. I partecipanti hanno dovuto usare le torce per tornare alla strada asfaltata principale, perché l’illuminazione dell’intero percorso per noi sarebbe stata molto dispendiosa. Temevamo la loro reazione, ma tutti hanno detto che camminare al buio in una zona agricola illuminata dalle stelle è stata una delle passeggiate più interessanti e piacevoli mai fatte.
In definitiva, stiamo solo cercando di fornire esempi di come le piccole comunità possano impegnarsi per riconquistare la propria autonomia culturale ed energetica. Ci auguriamo che possa ispirare altri a sviluppare strategie adatte alle proprie comunità e alle proprie esigenze.
In che modo le “ecologie dei media” affrontano un nuovo modo di avvicinarsi al pubblico e creano nuove “ecologie dell’attivismo” intorno a temi di scottante attualità?
Mentre lavoravamo nel campo di arachidi sotto la calura estiva, abbiamo spesso pensato a quanto impegno viene profuso in questo festival: mesi di lavoro da parte dell’uomo e di altre specie, e tutto per 3 sere di festa. Questo ha aggiunto molta importanza a quelle giornate, che avevano un passato, non erano “nate dal nulla”. Ci è sembrato un processo simile alla preparazione di un matrimonio di famiglia di tanti anni fa. Si annunciava il matrimonio del proprio figlio in autunno e poi si coltivavano ortaggi e si allevava bestiame per mesi per invitare la comunità a unirsi ai festeggiamenti. Una celebrazione lenta, o un intrattenimento lento, se preferite.
Per quanto riguarda l’intrattenimento in particolare, le persone hanno sempre giustificato lo spreco perché è piacevole ed è considerato una “pausa” da preoccupazioni come l’impatto ambientale e quant’altro. Inoltre, a volte indulgiamo nello spreco in cerca di divertimento o per “sfoggiare” la nostra ricchezza, una reazione all’horror vacui resa possibile dall’accessibilità dei beni della nostra cultura ed economia iperproduttiva.
Per questo è essenziale affrontare la questione della sostenibilità dei media e dell’intrattenimento. Proprio perché significherebbe guardare con più attenzione alla filosofia generale dell’economia e dell’essere con cui ci stiamo confrontando.
Qual è la semiologia del vostro lavoro, che parla di sostenibilità con modi e formati innovativi?
Attraverso il nostro lavoro mettiamo in relazione la complessità con la semplicità, la tecnologia con la tradizione, il locale con il globale, diventiamo progettisti di narrazioni e strategie tra specie, materiali e forme di energia. Spesso familiarizziamo con l’estetica, le forme e le narrazioni delle tecnologie e delle scienze “all’avanguardia”, forse è questo l’aspetto più evidente che lascia emergere un gioco semiologico. Ad esempio, tutti i componenti tecnologici e i sensori per l’agricoltura intelligente che abbiamo usato per coltivare le arachidi erano alloggiati in una struttura scultorea a quattro gambe che li sollevava al di sopra del terreno, in modo da non ostacolare la coltivazione. In seguito, durante il festival, questa stessa struttura ha ospitato il proiettore. La forma della struttura si ispira agli attrezzi agricoli, alle zampe degli insetti ma soprattutto ai veicoli per l’esplorazione spaziale. Allo stesso modo, nell’ambito di un progetto precedente chiamato biosentinel.services e incentrato su lievito, pane e viaggi nello spazio, abbiamo ideato un fornello solare trasportabile, una tecnologia molto semplice, con una forma che ricorda un rover lunare dotato di fornello parabolico. Si tratta di una sottile presa in giro della costante promozione di nuove “tecnologie all’avanguardia”, quando non siamo ancora riusciti a incorporare correttamente le conoscenze e le tecnologie esistenti nella nostra vita. Soprattutto perché il pianeta non si sta sviluppando in modo uniforme, ci sono enormi divari tra le diverse popolazioni e lo sviluppo delle diverse comunità urbane e rurali, eppure siamo sempre alla ricerca della prossima novità imperdibile da cui lasciarci ipnotizzare.
Come si incontrano tecnologia e natura e perché questo è più importante che mai?
La tecnologia può essere usata soprattutto per proteggere la natura, ed è così che cerchiamo di sfruttarla in ogni progetto.
Qual è la missione di Hypercomf e quali saranno i vostri prossimi passi?
Abbiamo molti progetti in corso, come Biosentinel.services, Anthemis, Film Seed Festival e Benthic terrazzo, che mettono in comunicazione le comunità con il loro ambiente e il loro bioma, ricercando le possibilità di una vita più sostenibile in tutti i sensi del termine. Tutti i progetti sono scalabili e presentano ampi margini di sviluppo. In base ai finanziamenti che si presentano, dedichiamo i nostri sforzi a espanderli, con l’obiettivo ideale di portarli a un punto tale da poter essere presi in carico da altre persone.
Qual è la vostra visione del futuro?
È difficile dirlo, non c’è una strada segnata o una soluzione perfetta per qualsiasi problema, sicuramente non aiuta accelerare in modo superficiale solo perché ci piace nutrirci di “pensiero futuro”, come sembra stia accadendo in alcuni campi. Ogni giorno, il minimo che possiamo fare è evitare che le cose peggiorino, il che è già un bel lavoro; se parallelamente riuscissimo a portare avanti alcune soluzioni, non perfette ma perlomeno migliori, per questioni sociali e ambientali, questi piccoli e lenti progressi potrebbero diventare un punto di partenza e con il tempo il loro effetto risulterà moltiplicato. Così potremmo sperare in un futuro più luminoso.