Un’esposizione in bianco e nero, monocroma come il white cube che l’accoglie, ad eccezione di qualche punta dorata, a richiamare la dimensione divina, oppure, se vogliamo, semplicemente magica, delle opere in mostra. Questo fil rouge cromatico (forse sarebbe meglio dire fil noir? O forse fil doré?) è specchio, e può sembrare una contraddizione, delle tematiche espresse, delle tecniche utilizzate e delle percezioni stesse suscitate dalle diversissime opere in mostra che percorrono più di un quarantennio. Dal concettualismo di stampo femminista che vira alla poesia visiva, degli anni ’80, alle ultime opere digitali stampate su plexiglass, del 2022, infatti, a prima vista solo due cose sembrano rimanere inalterate: l’uso del colore ed una certa carica rivoluzionaria che ai giorni nostri è così difficile trovare, così raffinata e risoluta, perspicace e sottovoce, filosofica e al contempo concreta.
Ci accorgiamo, però, successivamente, che lo spazio-mostra mantiene la sua monoliticità, la sua capacità di essere un insieme di parole dello stesso discorso, senza alcuno sforzo manifesto, senza, in fin dai conti, alcuna contraddizione, neppure la più classica di questi casi che vede lo spazio digitale graffiare contro quello analogico. Proprio questa parvenza di incastro tra i diversi elementi fa pensare che i media seppur differenti siano carichi della stessa essenza, quella infusa da Bettineschi «posizionata ai confini, attivando uno sguardo allucinato, un’attenzione primitiva sulle cose» come l’artista stessa scrive nel 1999 e il testo della mostra ci ricorda. Allora quel ricamo che spesso compare nelle opere, così carico di sfumature sociali, culturali ed estetiche ci sembra quasi rivederlo, nascosto nel procedimento, nei digital painting su plexiglass, in quel segno tratteggiato che ricama la selezione dell’immagine digitale esattamente a metà degli occhi delle donne raffigurate al fine di sdoppiarli nell’elegante metafora di uno «sguardo altro» sul mondo.
Lo stesso vale per i supporti: si alternano cuscini artigianali a lastroni di plexiglass e di specchio dalle fattezze più industriali ma dalla stessa carica straniante: lo straniamento del cuscino è in sé, nel suo materiale, quello della lastra è in relazione alla sua immagine riflessa. L’immagine digitale, con le sue peculiarità (essere simulacro dell’immagine originale, essere facilmente post-prodotta, risultare «inconsistente») si fa concreta – solo un istante – per tornare subito inconsistente, ma di un’inconsistenza, questa volta, totalmente estranea al bit e all’ordine esasperato ed esasperante del database, per divenire sensazione.
La serie Morbido (1980), con quelle scritte dorate così potenti, rispecchiano l’anima, al pari di come Biblioteca Malatestiana, Cesena (2016) rispecchia piccoli frammenti del nostro corpo, piccole impressioni non del tutto chiare di noi stessi. E poi le fotografie suadenti e al contempo oscure, il collage di stampo dadaista, i ricami della serie Nuovi racconti estremamente intriganti, fino ad arrivare ai digital paintings delle donne dipinte nei secoli scorsi dai più grandi maestri della storia dell’arte, per loro stessa natura archetipi diversi eppure simili, con gli occhi sdoppiati e l’immagine trinciata orizzontalmente nel bianco, prese dal loro tempo, espropriate del loro sfondo, e portate nel nostro. Opere diventate scenografia della sfilata Prȇt-á-Porter Autunno Inverno 2022-2023 di Dior, grazie a Maria Grazia Chiuri, per la loro capacità di manifestare una carica espressiva e profonda ma al contempo essenziale nella loro presenza – nel rarefatto white cube così come nelle stanze affollate e distratte di una sfilata di moda.
Un percorso artistico espresso nella mostra, dunque, difficile da catalogare, tra sperimentazioni e mescolamenti, eppure lineare e chiaro, di una chiarezza persa nell’ossimoro però. Un’arte labirintica che trova un’entropia nell’equilibrio della soglia. D’altronde «L’arte per Bettineschi è perdita e disorientamento, conoscenza del mondo e del sé, conoscenza del non detto attraverso il superamento costante delle barriere convenzionali di spazio e tempo», come scrive Angelica Gatto nel testo critico che ci accompagna durante la visita della mostra.
Mariella Bettineschi, L’era successiva e altri racconti, Z2o Sara Zanin Gallery, Roma, 26.01 – 16.03.2023
immagini: (cover 1 – 3) Mariella Bettineschi, Z2o Sara Zanin Gallery, installation view, ph. Giorgio Benni (4) Mariella Bettineschi, «Morbido», 1980, organza, bambagia, oro