Al Pastificio Cerere a Roma, ospitato nello Spazio Molini, ambiente sotterraneo ottenuto dal recupero dell’antico mulino del Pastificio, l’installazione multimediale Sol Salutis cattura i visitatori nel magico mondo dei numeri, tra dimensione razionale ed esoterica. A parlare del lavoro è il suo autore Jakub Woynarowski, artista, curatore, creatore di libri di fumetti, saggi visivi, films e installazioni, sempre impegnato in un lavoro che oscilla tra teoria e pratica.
Il progetto si ispira ad Adam Mickiewicz (1798 – 1855), scrittore e poeta del Romanticismo polacco che combinava metafisica e matematica, ma anche un profeta che ha previsto tecnologie del futuro quali aerei, astronavi e molto altro. Puoi raccontarci di più del suo incontro con le opere di Mickiewicz e dell’impatto che ha avuto sul tuo lavoro?
Benché Mickiewicz sia senza dubbio uno scrittore multidimensionale con un ampio retaggio, nel mio progetto ho deciso di fare riferimento principalmente alle sue opere nel campo della futurologia, con una sfumatura di esoterismo. Ho focalizzato la mia attenzione soprattutto sulla sua opera monumentale e inedita, Historia przyszłości (La storia del futuro), le cui sette versioni successive furono distrutte dall’autore stesso: un romanzo che va dunque considerato un progetto complesso e aperto, dal carattere eterogeneo, che oscilla tra una visione utopica e anti-utopica del futuro. Sebbene l’autore abbia iniziato a lavorare al libro negli anni Venti dell’Ottocento (molti decenni prima di Jules Verne e Herbert George Welles), il lettore può avere l’impressione che i temi descritti siano più attuali oggi rispetto a due secoli fa.
Non intendo solo le descrizioni sorprendentemente accurate di invenzioni come le apparecchiature per la registrazione e la trasmissione di immagini e suoni, la rete ottica di trasferimento dati, il sistema di monitoraggio satellitare, l’architettura modulare e mobile o i veicoli per i viaggi interplanetari; per molti aspetti, La storia del futuro è anche una diagnosi geopolitica. In quest’opera possiamo trovare sia le descrizioni dei processi di globalizzazione stimolati dall’accelerazione delle comunicazioni e dalla congestione delle rotte commerciali, sia una previsione della rivalità geopolitica tra l’Occidente e la Cina. L’autore prevede altresì la democratizzazione delle società e l’accelerazione dei processi di emancipazione. Mickiewicz, che simpatizzava con le idee del socialismo, appare come un sostenitore della rivoluzione rappresentata dalla repubblica e finalizzata alla vera uguaglianza tra i cittadini. È significativo notare come abbia previsto il ruolo fondamentale che le donne avrebbero giocato nella politica mondiale e come, carico di speranza, abbia profetizzato l’ascesa del femminismo.
Testimone dell’enorme potenziale insito nello sviluppo dinamico della tecnologia, Mickiewicz è rimasto un realista per quanto riguarda le condizioni che afferiscono all’umanità e i limiti di questo processo. Ha previsto con ansia la crescita del consumismo, che avrebbe soppresso le manifestazioni della creatività individuale e tutti gli impulsi ideologici. Secondo lui, un problema altrettanto importante sarebbe stato rappresentato dall’atomizzazione e l’insensibilità sociale, che si sarebbero tradotte in un’inerzia sistemica.
Nel 1843, parlando agli studenti del Collège de France, Mickiewicz ha affermato il potere della scienza moderna, pur mettendo in guardia contro l’assolutizzazione delle «specialità» tecnologiche a scapito della riflessione etica olistica. Mickiewicz comprendeva inoltre che persino gli strumenti più avanzati non possono essere scissi dalle condizioni psicologiche di chi ne fa uso. Noi, nell’era dei processi dinamici che avvengono all’interno delle strutture dei mercati finanziari globali, comprendiamo ancora meglio questa relazione: sembra che a tenere insieme questo sistema matematico sia un elemento extra-razionale. La sua funzionalità o meno dipende da una fiducia cieca nel potere degli algoritmi o da una generale perdita di fiducia tra gli investitori, una «crisi di fede» cui consegue il crollo del mercato azionario.
Nel contesto dell’intreccio tra razionale e irrazionale, Mickiewicz chiedeva «quale spirito governerà il mondo», non necessariamente lo spiritus sanctus metafisico, ma piuttosto uno spiritus movens strettamente umano. In questo egli vedeva i pericoli legati all’uso regressivo del progresso scientifico, oggi di grande attualità: «gli arsenali non hanno un’opinione propria, gli arsenali vengono usati dal vincitore».
Tutti questi fili si intrecciano in una narrazione complessa e non scontata, soprattutto se teniamo conto delle idee che normalmente abbiamo sull’epoca romantica. Le tensioni che ho descritto poc’anzi trovano un’interessante traduzione nell’atteggiamento di Mickiewicz verso i numeri, una componente fondamentale della nostra realtà digitale. Da un lato, nella seconda versione di La storia del futuro, l’autore annuncia la fine dell’individualismo, associata all’introduzione del sistema numerico di registrazione della popolazione e alla sostituzione dei nomi con i numeri, «perché questi non esprimono nulla e, come tali, possono essere cambiati facilmente». Dall’altro, invece, lo stesso Mickiewicz, nelle sue opere, usava un codice matematico dalle tinte esoteriche, soprattutto in Gli avi; mi riferisco al famoso numero «44» su cui si sono interrogati molti ricercatori. Una delle interpretazioni, quella di Zdzisław Kępiński, è diventata la base dell’installazione che ho preparato.
Inscritto nella forma circolare di un ampio schermo, appare un quadrato a sua volta diviso in quadrati più piccoli, ciascuno corrispondente a una lettera (dell’antico alfabeto polacco) e a un numero. Di tanto in tanto, sulla parte superiore del quadrato, appaiono parole come Lud ( Popolo ), Lud Ludów (Popolo dei popoli), Odkupienie (Redenzione), tutte in lingua polacca. Quando una serie di linee collega le lettere che formano la parola, il quadrato scompare lasciando il posto alla geometria generata. Le parole scelte contengono qualche riferimento ad Adam Mickiewicz?
Sì, tutte le parole citate nel mio lavoro provengono dalle opere letterarie di Mickiewicz, compreso il titolo Sol Salutis (eccezionalmente in latino, lingua universale seppure arcaica), che ritroviamo nella poesia Ode alla gioventù: «Ave, alba di libertà, dietro di te il Sole della salvezza!».
È utile notare che il simbolismo solare metafisico permea tutta l’attività di Mickiewicz: è presente sia nelle sue opere letterarie che nei lavori scientifici. Un esempio è la sua «lezione parigina» inaugurale al Collège de France, durante la quale l’autore ha fatto riferimento ai risultati dei ricercatori polacchi Vitellio e Copernico per quanto riguarda il movimento e la luce del sole. Anche Juliusz Słowacki, il rivale di Mickiewicz, usava immagini ispirate al sole, scrivendo di «due Dei nei loro soli opposti». È in questo contesto che la data di lancio del progetto è stata stabilita a dicembre, il mese della nascita di Mickiewicz e del solstizio d’inverno, celebrato nell’antica Roma come Sol Invictus (Sole Invitto, in latino).
La struttura stessa della proiezione si basa sul concetto di Zdzisław Kępiński, storico dell’arte polacco, che nel suo libro Mickiewicz Hermetyczny (L’ermetico Mickiewicz) ha annunciato di aver decifrato il «codice» trovandone la fonte nella cosiddetta «matrice solare», un quadrato magico che collega i numeri alle lettere dell’alfabeto polacco. Secondo questa ipotesi, le singole parole e frasi leggibili sulla tavola matematica andrebbero tradotte in somme specifiche, un multiplo del numero 44. Solo in polacco è possibile decifrare la «profezia» scritta in questo modo, e da qui provengono le parole polacche presenti nella proiezione: si tratta, tra l’altro, di concetti filosofici e religiosi (ad esempio Spirito, Salvezza, Redenzione) e di nomi propri (ad esempio Asia, Polonia e Lituania, Mickiewicz). Nella mia opera, il polacco viene privato della sua familiarità e diventa una lingua ermetica che permette la codifica di significati nascosti.
Kępiński ha attribuito questa soluzione direttamente a Mickiewicz e lo ha dichiarato autore della «tavola solare» numerica. La logica della struttura non è del tutto chiara, e in alcune parti è stata corretta da Kępiński al fine di «accordare» questo strumento matematico, per citare le sue parole. Le analogie musicali utilizzate mi hanno dato l’idea di trattare il «quadrato di Mickiewicz» come uno spartito musicale e di integrare entrambi i linguaggi, alfabetico e numerico, con una terza componente, ossia una composizione sonora. Così l’immagine visualizzata sullo schermo è diventata il punto di partenza di un brano immersivo nato dalla collaborazione tra me e Przemysław Scheller, e grazie a cui la «componente logica» di Sol Salutis ha trovato la propria controparte nella dimensione «sensuale».
Il tuo lavoro è molto eclettico e sfaccettato, sia come artista che come curatore (non che le due cose si debbano per forza separare). A prima vista, sembra che ci sia una costante nella tua metodologia e nel tuo approccio, ovvero spostare i confini spaziali e temporali della percezione e di tutto ciò che ne deriva…
Se dovessi trovare una parola per descrivere in modo quanto più esaustivo le mie attività, probabilmente sceglierei «straniamento», una strategia che spinge i destinatari a guardare le cose note da una prospettiva completamente nuova. È un principio che funziona bene sia nelle mie pratiche di gonzo curating (basate sulla modifica della percezione di oggetti esistenti tramite la creazione di nuove narrazioni intorno ad essi), sia nelle narrazioni visive prive di personaggi e dialoghi (dove lo ‘sfondo’ della realtà diventa il ‘primo piano’) e anche all’interno delle attività nel campo dell’ «archeologia d’avanguardia»: viaggi nel passato scevri di nostalgia, intesi piuttosto a trovare dei «punti di osservazione» per studiare il presente. In questo contesto, devo ammettere che, sullo sfondo di vari progetti artistici, la più profonda esperienza di straniamento che io abbia vissuto negli ultimi anni è stata lo scoppio della pandemia.
Come sono cambiati lo spazio, il tempo e la visione negli ultimi due anni?
Il tempo della pandemia ci permette di osservare il processo di networking virtuale di un individuo unito al suo isolamento fisico. L’esistenza, durante il lockdown, assomiglia alla vita in una capsula, in un ecosistema chiuso (o che si chiude lentamente). Ciò che prima passava perlopiù inosservato, ora assume visibilità. Pensiamo con ansia alla parte interna del nostro corpo, dove avvengono processi che non comprendiamo. Osserviamo attentamente gli spazi tra di noi, li dividiamo in intervalli e analizziamo la composizione dell’aria che ci circonda, che d’improvviso è diventata un «oggetto» parametrizzabile. La crescente stanchezza che accompagna la trasmissione di immagini e suoni di bassa qualità si traduce in un interesse per la dimensione tattile, ma, al contempo, all’interno della nostra mente passiamo in rassegna con nervosismo i movimenti delle nostre dita, nel tentativo di spezzare il circolo infinito della trasmissione virale. La soggettivizzazione del concetto di tempo sta progredendo; oltre ai modelli classici (come la ruota del tempo o la linea del tempo), sperimentiamo un tempo individuale contorto, sempre più difficile da sincronizzare a livello collettivo. La sincronizzazione collettiva, invece, avviene a livello emotivo, catalizzando, tramite il Web, fiammate di rabbia che si esauriscono subito o la lenta costruzione di teorie del complotto. Pensiamo sempre più spesso all’utopia, la cui etimologia, in greco, significa «non luogo» (ou – non, topos – luogo). Oggi Internet appare come un «non luogo», un diagramma ipertestuale e in rapida mutazione della conoscenza umana, in cui viene incanalato senza soluzione di continuità un flusso costante di informazioni tramite narrazioni emotive e paranoiche.
In un’intervista con Marta Kudelska in occasione della mostra alla Fondazione Memmo nel 2017, hai detto di avere «l’impressione che oggi viviamo in un ambiente molto più calmo e razionale, e che la nostra epoca sia piuttosto stabile rispetto al selvaggio Medioevo». Cosa è cambiato da allora?
La citazione proposta era un commento ironico sul tema dell’ «immunità carnevalesca» che, oggi come nel Medioevo, permette pratiche artistiche e para-artistiche trasgressive (mi riferisco, per esempio, alle messe celebrate da animali, o ai flash mob in cui i partecipanti si lanciano cibo a vicenda). In questo modo, ho voluto minare l’immagine conservatrice della cultura «armoniosa» del Medioevo, sfruttandola per valutare l’arte «degenerata» dei giorni nostri. In questo contesto, paradossalmente, la cultura contemporanea mi sembrava molto più prudente e, in questo senso, stabile e razionale. Tra l’altro, l’epoca medievale ci fornisce anche molti altri spunti per fare dei paragoni: cito, per esempio, la questione dell’anonimato artistico e la proliferazione del plagio.
Se però, fatte le debite proporzioni, volessimo confrontare le condizioni di vita di oggi e di mille anni fa, la differenza principale riguarderebbe probabilmente il rapporto tra la percezione sensoriale (compreso il grado di esposizione alla violenza diretta) e la visione del mondo dominante, un paragone che potrebbe avere sia una funzione stabilizzante che destabilizzante. In parole povere, si tratta della relazione tra il materiale e il virtuale. Possiamo ipotizzare che, per una persona vissuta nel Medioevo, i disagi fisici potessero essere compensati da una narrazione onnicomprensiva dell’universo, stabile ma forse errata. Al giorno d’oggi, con la relativa stabilizzazione della nostra dimensione corporea, stiamo sperimentando una scomposizione sfrenata dell’immagine del mondo in cui viviamo, stimolata dalla “sconfitta della fertilità” informativa cui assistiamo nella sfera virtuale.
A proposito, nel linguaggio teologico medievale, esisteva il concetto di virtualis all’interno del concetto di vis (forza, potenza): un’entità formata da forze attive era virtuale, così come qualsiasi entità potenziale la cui esistenza non era accessibile a tutti. La virtualità tecnologica dei nostri giorni è strettamente connessa alla realtà accessibile ai sensi; l’invenzione di Internet sembra aver eliminato la tradizionale dicotomia reale-virtuale.
Sol Salutis (Il Sole della salvezza), il titolo dell’installazione, fa riferimento agli specchi di Archimede, che riflettono i «segni infuocati» della scrittura solare. Cosa o chi viene salvato?
Nella prima versione di La storia del futuro, gli specchi di Archimede che compongono il sistema di relè ottici fungono da soli artificiali che permettono la fusione del mondo attraverso la rete di informazioni. Di contro, nella settima e ultima versione del romanzo, Mickiewicz descrive una civiltà tagliata fuori dalle fonti di luce cosmica, internamente connessa, ma allo stesso tempo isolata dalla realtà nel suo insieme. Troviamo la descrizione di una città coperta da un tetto come una casa, e pavimentata come un appartamento, riscaldata e illuminata, libera dall’influenza degli elementi naturali. Questa immagine può essere considerata una versione distopica di progetti quali l’ecosistema chiuso Biosfera 2 o i concetti architettonici di Buckminster Fuller, che prevedono di coprire Manhattan con una cupola geodetica. Sebbene il confine tra interno ed esterno sia sfumato nella struttura descritta da Mickiewicz, allo stesso tempo si viene a formare un sistema chiuso, tagliato fuori dagli spazi cosmici. Il guscio della metropoli di Mickiewicz rende impossibile osservare i corpi celesti, privando l’umanità non solo di una specifica area di esperienze estetiche, ma anche, in senso filosofico, del contatto con l’idea di infinito. In questo contesto, l’immagine delle stelle e del Sole, la più luminosa di tutte, appare come metafora di un impulso trasgressivo in grado di salvare l’umanità dalla degenerazione. Il Sole, rappresentazione di un’idea astratta, può rappresentare per tutta l’umanità una «salvezza» simbolica dall’entropia onnipresente che consuma un circuito chiuso ermeticamente, privo di stimoli esterni.
Nel caso dell’installazione Sol Salutis, le configurazioni di lettere e numeri che appaiono sullo schermo formano concetti più o meno astratti: idee potenzialmente regolatrici, impulsi «salvifici» che permettono l’integrazione di eventi empirici in un tutto più grande. In quel frangente, siamo partecipi del mistero pitagorico: sulla base di semplici sequenze di numeri, lettere e suoni, nonché di figure geometriche elementari (cerchio, quadrato e triangolo), nasce una struttura semantica complessa che richiede la nostra interpretazione. Allo stesso tempo, forse penseremo di avere a che fare solo con il fenomeno dell’apofenia, con un miraggio, con la magia, che riempie il vuoto creato dall’incertezza. Il tentativo di cercare l’ordine nascosto nel quadrato solare ricorda infatti il processo arbitrario di divisione dello spazio cosmico in costellazioni, in cui riconosciamo forme presenti sul nostro pianeta.
Jakub Woynarowski, Sol Salutis: il linguaggio dei numeri, Pastificio Cerere, Roma, 06 – 18.12.2021
La mostra, organizzata dall’ Istituto Adam Mickiewicz in collaborazione con l’Istituto Polacco di Roma, in partnership con la Fondazione Pastificio Cerere e cofinanziata con i fondi del Ministero della Cultura e del Patrimonio Nazionale della Repubblica di Polonia.
immagini: (cover 1) J.. Woynarowski, ritratto, ph: Justyna_Gryglewicz (2-8)Jakub Woynarowski, «Sol Salutis, the Language of Numbers», 2021, Pastificio Cerere, ph credits Carlo Romano